35 litri d’acqua
20 chili di carbonio
4 litri di ammoniaca
1,5 chili di calce
800 grammi di fosforo
250 grammi di sale
150 grammi di salnitro
80 grammi di zolfo
7,5 grammi di fluoro
5 grammi di ferro
3 grammi di silicio


Quando il protagonista quindicenne ci mette appena due episodi a fornirti gentilmente la lista della spesa per tentare di resuscitare con l’alchimia una persona amata prematuramente scomparsa – e in tutto questo non c’è niente di buffo – si ha già la certezza che Fullmetal Alchemist: Brotherhood non sia il solito (infinito) anime tratto dal solito (per quanto esaltante) shonen manga. Fullmetal Alchemist (pubblicato in patria fra il 2001 e il 2010) si rivolge tecnicamente e anche praticamente allo stesso (giovane) pubblico di fumetti come Naruto, One Piece, Bleach, Dragon Ball o Attack on Titan, ma rispetto agli illustri colleghi è ancora più bravo nel manipolare gli archetipi del genere a cui appartiene per raccontare con potenza memorabile una storia di portata universale.

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Fullmetal Alchemist: Brotherhood

Il mondo e la storia creati dalla mangaka Hiromu Arakawa sono governati dalle leggi e dalla filosofia dell’alchimia, la scienza della comprensione, della scomposizione e della ricomposizione della struttura della materia. Magia e chimica insieme, che attraverso studio e talento permettono di creare solo apparentemente dal nulla qualsiasi cosa, a patto di poter dare in cambio qualcos’altro che abbia valore equivalente. La trasmutazione umana, ovvero il tentativo di riportare in vita una persona morta, è l’unico, intoccabile tabù dell’alchimia e viene precocemente infranto dai dotati fratelli Elric, Edward e Alphonse, figli d’arte d’un padre assente (e ricco di segreti antichi ed enormi) che cercano di resuscitare la madre, deceduta a causa di un’epidemia.

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Fullmetal Alchemist: Brotherhood

Il primo, il maggiore, ha quindici anni e perde una gamba nel suo primo incontro con la Verità. Il secondo, quattordicenne, perde il corpo per intero; solo il sacrificio del braccio destro di Edward riuscirà a salvargli l’anima, che si lega alchemicamente a un’armatura.

L’ordalia dei fratellini viene notata dal governo di Amestris, che propone a Edward il titolo di alchimista di stato, dando la possibilità a lui e ad Albert di girare il paese alla ricerca dell’unica cosa che potrebbe aiutarli a riottenere i loro corpi: la pietra filosofale. Ovviamente ci sono altre forze all’inseguimento della mitologica pietra – la cui esistenza rivelerà concatenazioni logiche inquietanti, ma direttamente proporzionali alle possibilità oscene garantite dal suo potere. Il mosaico che ne viene fuori è, come nella tradizione degli shonen più completi, composto da tessere di politica, di religione, di allegoria storica e di monito per il futuro, tenute insieme da un collante – quello del percorso dell’eroe – che stavolta stravolge ogni aspettativa. 

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Fullmetal Alchemist: Brotherhood

Edward non è un predestinato nascosto che, partendo da zero, scopre il proprio talento attraverso il duro lavoro e il sacrificio, giungendo dopo ettolitri di sangue e sudore a diventare la migliore versione di se stesso, necessaria a salvare le sorti del mondo. Quando Fullmetal Alchemist: Brotherhood – il sottotitolo è importante: segnala l’unico adattamento fedele e ben fatto del manga di Arakawa – esordisce in medias res, Edward è già un alchimista geniale, consapevole dei propri mezzi e della propria missione. Non è il fato che lo muove, è uno straziante senso di colpa e di responsabilità nei confronti del fratello Alphonse. Non è tramite passi falsi e goffaggini che lo vediamo raggiungere la maturità e il pathos necessari per prendersi carico della difficile missione che ha davanti: gli errori peggiori che poteva commettere sono già stati commessi. Ora rimane solo il fardello della vergogna, soffocato dalla necessità di fare tutto il possibile per riscattarsi.

In 64 episodi spalmanti su cinque stagioni, Fullmetal Alchemist: Brotherhood fa quello che non era riuscito a nessun altro adattamento di uno shonen di successo: distillare in una durata umana un arco narrativo complesso, rispettando filologicamente il materiale di partenza senza perderne un grammo dell’efficacia emotiva e di attaccamento ai personaggi e alle loro parabole. I tassativi del genere, quelli che rendono lo shonen un tipo di narrativa così coinvolgente e avvincente, ci sono tutti, ma reinterpretati e sintetizzati con una sensibilità unica.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per Film Tv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.