Diceva non so chi – ma a naso c’ha ragione da vendere – che molti dei razzisti di oggi tutti belli ripuliti e aderenti al tessuto democratico (quelli che hanno assunto la stessa impresa di pulizie dei fascisti) sono buffi perché mettono i bastoni fra le ruote alle minoranze che poi cantano le loro canzoni preferite, scrivono le loro serie e i loro film del cuore, giocano nella squadra di baseball, di calcio o di pallamano della loro città. Ai razzisti, in pratica, piace che ognuno faccia le cose a casa propria o nel proprio ambito, ma poi non ha problemi a gustarsi i frutti (rigorosamente colti dal ramo più basso) di quell’incontro e scontro di culture che vorrebbe limitare nascondendosi dietro la legalità. Insomma, era per dire che senza l’ottantina d’anni con i fascisti a cuccia, di cui ci stiamo godendo gli ultimi fuochi, non sarebbero esistiti i prodotti di intrattenimento che più ci hanno divertito o emozionato.

Il manga Afro Samurai, per fare un esempio – di quelli importanti, visto che è un rarissimo caso di fumetto completamente auto-pubblicato (i cosiddetti dōjinshi) in grado di raggiungere il successo internazionale e le stellette di franchise – non sarebbe mai esistito se il suo creatore e disegnatore, Takashi Okazaki, non fosse stato così profondamente affascinato dalla cultura afroamericana e dall’hip hop. Nel 2005, tre anni dopo il termine della pubblicazione, uno studio d’animazione da battaglia (Gonzo, gli stessi di Gantz) decide di adattare il fumetto in una serie animata realizzando un trailer da presentare agli investitori. Il trailer finisce sulla scrivania di Samuel L. Jackson, e già qui tanta roba; ma anche su quella di RZA, ovvero una delle anime del Wu-Tang Clan, il collettivo hip hop che ha rivoluzionato e radicalizzato il genere accogliendo nella propria estetica una cultura (apparentemente*) distantissima come quella dei film di kung fu. Ancora una volta quell’incontro che tanto ci fa storcere il naso, che arriva da distante e che unisce in maniera sublime due culture lontane.
*RZA ha sempre detto che i film di kung fu hongkonghesi e cinesi che vedeva da ragazzo negli anni ‘80 esaltavano perché innanzitutto erano gli unici film divertenti in cui l’eroe era una persona di colore e non un bianco; ma anche perché i combattimenti erano come le battaglie rap a cui partecipava in quartiere. Era tutta questione di stile e di onore, di amore e di fratellanza, di annientare lealmente l’avversario con la propria forza e la propria tecnica.

RZA e Jackson raccolgono abbastanza fondi da garantire alla versione animata di Afro Samurai – cinque puntate disponibili su Crunchyroll, aggiungeteci anche il film sequel Afro Samurai: Resurrection – un milione di dollari di budget a episodio per poter fare le cose come si deve. Il risultato è la trasposizione fedele di un manga che nel suo genere – una storia di vendetta al servizio dello stile, della violenza grafica inscritta nelle regole del mondo e della rule of cool – è stato e sarà sempre al limite della perfezione essenziale. Un protagonista, Afro, che parla poco o niente – pareggiato dal compagno di viaggio logorroico doppiato da Jackson – e che soprattutto, da quando ha assistito da bambino alla morte del padre, non può che andare solo avanti, in direzione della sua vendetta. Non c’è praticamente spazio per niente che non sia combattimento, morte, sacrificio e onore.

Quello di Afro Samurai è un mondo che è andato fin troppo avanti, come direbbe Stephen King, e assomiglia a un retro-futuro post-apocalittico insanguinato da armi da fuoco, cyborg e katane. È anche un mondo in cui il più forte guerriero in circolazione, colui o colei in possesso della lunghissima fascia bianca del Numero 1, può vantare uno status pari a quello di un dio. L’unico che può permettersi di sfidarlo per prenderne il posto è il guerriero che indossa la fascia del Numero 2. Quest’ultimo, tuttavia, deve prima rintracciarlo, quel mattacchione con le manie divine; ma nel frattempo è anche il target di tutto il resto del mondo che vorrebbe essere al suo posto.

Afro ha assistito all’esecuzione del padre, l’ex Numero 1 Rokutaro, per mano del pistolero Justice, ex Numero 2. Dopo un’infanzia a dir poco disgraziata, raccontata in piccoli flashback nelle prime due puntate, Afro è diventato uno stoico e inarrestabile Numero 2, pronto ad avventurarsi fra i monti Shumi per esigere la sua vendetta. Tutto il resto è stile, nell’animazione e nelle scelte grafiche per i personaggi, ma anche in una messa in scena plasticamente ritmata dalla colonna sonora originale di RZA.
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