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Jam

Regia di Sabu (II) vedi scheda film

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La recensione su Jam

di supadany
7 stelle

Far East Film Festival 21 – Udine.

Talvolta, il destino è davvero beffardo, come se un folle burattinaio mettesse scientemente alla prova i suoi pupazzi umani, incanalandoli nelle contingenze più improbabili. Malgrado ogni supposizione superiore alla vita terrena, nessuno parte sconfitto, dalla situazione più ostica è possibile ricavare indicazioni rigeneranti e, nei casi più fortunati, il soggetto coinvolto è messo talmente male che qualsiasi alterazione subita è ben accetta, una chance per scrollarsi di dosso l’apatia assordante e le delusioni debilitanti.

Nel giro di poche ore, le vicissitudini di tre personaggi finiranno per condurli sulla stessa strada. Hiroshi (Shô Ayoagi) è un cantante melodico che si ritrova tra le grinfie di una fan accanita e fuori controllo. Tetsuo (Nobuyuki Suzuki) è appena uscito di prigione ed è fermamente intenzionato a vendicarsi di chi l’ha tradito. Infine, Takeru (Keita Machida) dedica anima e corpo alle buone azioni, convinto da un’apparizione che solo così la sua ragazza potrà risvegliarsi dal coma.

scena

Jam (2018): scena

Come da titolo internazionale, SABU - regista di Miss Zombie e Mr. Long, nonché attore nel cult Ichi the killer - prepara una marmellata mescolando frutti di origine diversa, giostrando le sfere d’interesse tra un passato da svelare (o immaginare), un presente incerto e un futuro tutto da (ri)costruire. Parimenti, l’autore nipponico fonde generi con una fluidità incomparabile, assemblando suggestioni che stanno in piedi singolarmente sulle proprie gambe anche qualora fossero svicolate dalla composizione complessiva.

Così, la fan che sequestra il suo idolo piomba direttamente da Misery non deve morire, con la differenza riscontrabile in un dirimpettaio di tutt’altro lignaggio, mentre la vendetta di un ragazzo tradito è perpetrata a suon di martellate e relativi zampilli di sangue, tra il pulp del Tarantino più irruento e la stilizzazione di Park Chan-wook.

Dopo di che, SABU è dirompente in tutte le fasi, sale in cattedra e mette fieno in cascina apparecchiando aneddoti in libera uscita, bizzarrie sfrenate e strappi di violenza, per poi spargerli su più vie che in seguito andranno a incrociarsi, con punti di contatto stabilizzati e ulteriori allontanamenti, senza concedere certezze anticipate, tali da far abbassare la guardia.

Con uno spirito d’iniziativa del genere, Jam diventa un fiume in piena, suscettibile di variazioni ex abrupto, con la furia cieca e numerosi innesti surreali a darsi vicendevolmente il cambio. Un infuso polifonico che rallenta per incrementare l’effetto di accelerazioni che arrivano fino a produrre esplosioni fragorose, capace di tutto e del suo contrario, per germogliare infine in un prolungato showdown che rispolvera un velo di tristezza e si ricorda addirittura di avere – e mettere in risalto - un cuore, per giunta di dimensioni notevoli.

Eccentrico e imprevedibile, sfacciato con cognizione di causa.

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