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Il Mostro

1 stagioni - 4 episodi vedi scheda serie

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John_Nada1975

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La recensione su Il Mostro

di John_Nada1975
3 stelle

Prima puntata de "Il Mostro" di Stefano Sollima, ** Prodotta per Netflix dalla Apartment di Lorenzo Mieli figlio di Paolo ed ex Wildside, ora coinvolta nelle indagini della Gdf per i finanziamenti statali gonfiati a film di Saverio Costanzo(30 milioni di €, 30!!), Paolo Virzì e altri ugualmente o meno noti, che poi non hanno minimamente ripreso le spese. Co-prodotto e aiuto regista Ludovico Purgatori, costumista Laura Muccino....

Vabbè la solita nazionale italiana delle famiglie del cinema. Pare che la si butti già dalle prime battute con un certo movimento di oggi, dall'inizio prima dei titoli con la sostituta  procuratrice Silvia Della Monica(interpretata da un'attrice che non conosco e unica donna che si occupò delle indagini nel primo pool sulla "pista sarda" ), che a Baccaiano di Montespertoli al ritrovamento dei corpi di Paolo Mainardi e Antonella Migliorini, si lancia in un "questi sono omicidi rivolti esclusivamente contro le donne, atti di violenza e di odio rivolti a loro...", o qualcosa del genere. Quando è stato appena portato via dall'ambulanza della Croce Verde di Montespertoli verso l'ospedale di Empoli il Mainardi, che ancora vivo spirerà all'alba. Un ragazzo ventenne, un giovane uomo.

Le ricostruzioni degli omicidi viste nel primo episodio(Castelletti di Signa/Antonio Lo Bianco-Barbara Locci, 22 agosto 1968e questo del 19 giugno 1982 a Baccaiano di Montespertoli), sembrano buone e non certo poveristiche come quelle scalcinate e completamente sgangherate nei dettagli e sopralluoghi posteriori degli inquirenti inverosimili, della serie orrenda di Grimaldi del 2009, ma inficia molto la fotografia mai naturale e artificialmente oscura, molto moderna dai monocolori virati e caramellosi tipicamente Netflix, e al contrario sempre iperilluminata delle scene notturne degli omicidi. In cui vi è sempre troppa luce per incutere davvero terrore. Chi è stato davvero sui luoghi dei delitti sa bene che all'imbrunire vi è già buio pesto e non si vede assolutamente nulla se non alla luce dei fari, o di una torcia. Questa oscurità poteva essere resa meglio, senza ovviamente non nascondere quello che succede per ovvie esigenze sceniche.

Errori già nei primi minuti quando i giornalisti chiedono conto degli otto omicidi del mostro fin lì avvenuti, quando nel 1982 erano solo sei, perché solo a posteriori nell'estate di quell'anno venne fatto il collegamento con il primo delitto del 1968, pare su imbeccata o spontaneo ricordo del Maresciallo dei CC Fiore di Lastra a Signa, che aveva indagato su quel duplice omicidio, e lo si vede anche nella serie. 

Non certo come mostrato invece qui da Sollima e collaboratori, perché è sempre la "eroina" Della Monica a pensare ispirata e grande investigatrice, scartabellando nei fascicoli dei precedenti omicidi in ufficio-e fornendo così un veloce elenco di date, nomi vittime, età, ecc, "spiegone" per lo spettatore neofita della nuove generazioni,sul caso-, e proporre al giudice Rotella, di cercare casi precedenti e affini di delitti, al delitto del 9 settembre 1974 a B.go S.Lorenzo, Pettini-Gentilcore.

Andrebbe aggiunto che nelle parti dei sardi-per chiunque abbia ben presente la fisionomia e il modo di parlare del vero mezzo se non del tutto oligofrenico Stefano Mele-, si evidenzia del tutto la carenza oggi di certe facce nel cinema italiano, a meno che di non avere il coraggio di scegliere dei non professionisti, delle facce veramente pasoliniane da "Decameron", "che oggi se fra gli italiani non esistono quasi più sardi o non sardi, a meno che di non cercarle fra livornesi, albanesi, etc.

Che sarebbero state molto più adatte a un verismo che così la serie non ha, e forse non sarebbe stato gradito per gli algoritmi di Netflix, dover mettere dei sottotitoli in tutti i mercati internazionali al sardo stretto parlato da personaggi sdentati e semianalfabeti come il Mele vero o lo stesso Giovanni Vinci, certo non un grand acculturato, che sarebbero stati ben resi da caratteristi che oggi non ci sono più tipo Tano Cimarosa, Tiberio Murgia, ecc. Non certo questi interpreti sardi della serie che recitano con il loro accento ma perfetta dizione, appena vestiti fuori moda pronta anni '60, con le acconciature da poche pretese dei barbieri di paese del tempo, ma per il resto che potrebbero benissimo essere dei tanti professori, o ricercatori sardi del CNR. Con praticamente nulla in comune con i personaggi veri, alle soglie ancora negli anni' 60, del sottosviluppo genetico, fisiognomico e culturale.

Ridicolo volere mettere in bocca alla Locci del 1968 fin dall'inizio una consapevolezza femministoide e ribelle di sposa del sud costretta contro la sua volontà dalla dote, nelle risposte al marito cornuto e inerme Mele quando esce da sola con il Lo Bianco la sera in cui saranno uccisi-altro segno dei tempi e di una certa scrittura "revisionista" , portandosi Natalino a vedere al cinema estivo Giardino in centro a Signa, "Nuda per un pugno di eroi"(Akai tenshi) (1965), di Yasuzo Masumura. 

Il secondo episodio che si incentra su Francesco Vinci la butta ancora di più sui temi nel menù di oggi, quindi praticamente ci si focalizza sul "patriarcato"(già utilizzato dalle riviste femminili che parlano della serie) degli uomini e del clan sardo nella Signa del 1968, che prima sfrutta e si approfitta, poi umilia davanti a tutti la povera Barbara Locci vittima indifesa e donna libera ante-litteram, più che a sembrare un serial incentrato su "8 duplici delitti e 16 omicidi(Sollima cambierà, perché nel 1994 "femminicidi" ancora non esisteva"", come avrebbe detto Ognibene . Perdendo quasi del tutto nel corso dell'episodio, interesse per quello che potrebbe essere il lato investigativo-poliziesco con i mezzi e gli uomini dell'epoca.

L'episodio famoso del pacchetto stritolato e vuoto di sigarette che non è più nulla, come mezzo indizio più mezzo indizio non sono e rappresentano nulla, il sardo dalla palla di ghisa Francesco Vinci lo fece interrogato-e parola del suo avvocato, davanti al Procuratore Pier Luigi Vigna-, (qui una figura sulla destra di sfondo, che bofonchia qualche battuta in toscano),  non alla Della Monica, di nuovo, che si vuole fare come secondo convenzione la vera protagonista al femminile fiera e risoluta donna con alto incarico e intelligenza, contraltare della povera vittima e sottomessa Locci, sottoproletaria e senza gli strumenti dati dallo studio per emanciparsi.

L'illuminazione finta stile tenebroso immutabile di Netflix, brumosa e sempre invernale-autunnale, rende poca grazia all"ambientazione rurale toscana, fiorentina, delle campagne. Che oltretutto per i delitti si svolse quasi esclusivamente d'estate, in notti di gran calore, perché allora questa perenne ambientazione invernale pure ad agosto? 

Il terzo episodio, meno a piegare la vicenda di un'indagine su un maniaco sessuale e assassino, ad un pamphlet accomunante la violenza l'immancabile "patriarcato", e la sopraffazione a praticamente tutti gli uomini della serie, e incentrato su Giovanni Mele migliora un poco. Seppure l'attore che lo interpreta un massiccio barbuto ticcione, è talmente lontano dal magro e distinto Giovanni Mele, che chi conosce un poco il caso e i suoi protagonisti non può non trovarlo ridicolo, e non si capisce perché certe libertà in una serie che faceva vanto nel suo lunghissimo periodo di presentazione, della massima attenzione ai dettagli e alla veridicità delle ricostruzioni. Anche la sequenza che prende maggiore spazio nell'episodio, del grottesco tour "macabro-erotico" notturno sulle orme degli assassini,  con la amante Jolanda Borri-che poi lo accuserà ai CC di essere il vero mostro, e verrà pure incarcerato per alcuni indizi-, è gustosa ma troppo abbellita ed esagerata rispetto a quella vera. 

Ma è proprio con  il quarto e ultimo episodio de "Il Mostro", praticamente facendo della vicenda del mdf solamente quella di tanti omosessuali più o meno repressi e diabolici dando credito a tutte le dicerie possibili immaginabili sui Vinci collezionate in anni a uso e consumo dei sedicenti "mostrologi" che ci scrivono migliaia di libri e tengono conferenze per i nuovi veri mostri di oggi, i criminologi e criminologhe d'assalto, al sensazionalismo e pura autocompiaciuta uniformità agli algoritmi di Netflix, Sollima si è giocato tutta la sua reputazione, pregressa e futura.

Prima puntata de "Il Mostro" di Stefano Sollima, ** Prodotta per Netflix dalla Apartment di Lorenzo Mieli figlio di Paolo ed ex Wildside, ora coinvolta nelle indagini della Gdf per i finanziamenti statali gonfiati a film di Saverio Costanzo(30 milioni di €, 30!!), Paolo Virzì e altri ugualmente o meno noti, che poi non hanno minimamente ripreso le spese. Co-prodotto e aiuto regista Ludovico Purgatori, costumista Laura Muccino....

Vabbè la solita nazionale italiana delle famiglie del cinema. Pare che la si butti già dalle prime battute con un certo movimento di oggi, dall'inizio prima dei titoli con la sostituta  procuratrice Silvia Della Monica(interpretata da un'attrice che non conosco e unica donna che si occupò delle indagini nel primo pool sulla "pista sarda" ), che a Baccaiano di Montespertoli al ritrovamento dei corpi di Paolo Mainardi e Antonella Migliorini, si lancia in un "questi sono omicidi rivolti esclusivamente contro le donne, atti di violenza e di odio rivolti a loro...", o qualcosa del genere. Quando è stato appena portato via dall'ambulanza della Croce Verde di Montespertoli verso l'ospedale di Empoli il Mainardi, che ancora vivo spirerà all'alba. Un ragazzo ventenne, un giovane uomo.

Le ricostruzioni degli omicidi viste nel primo episodio(Castelletti di Signa/Antonio Lo Bianco-Barbara Locci, 22 agosto 1968e questo del 19 giugno 1982 a Baccaiano di Montespertoli), sembrano buone e non certo poveristiche come quelle scalcinate e completamente sgangherate nei dettagli e sopralluoghi posteriori degli inquirenti inverosimili, della serie orrenda di Grimaldi del 2009, ma inficia molto la fotografia mai naturale e artificialmente oscura, molto moderna dai monocolori virati e caramellosi tipicamente Netflix, e al contrario sempre iperilluminata delle scene notturne degli omicidi. In cui vi è sempre troppa luce per incutere davvero terrore. Chi è stato davvero sui luoghi dei delitti sa bene che all'imbrunire vi è già buio pesto e non si vede assolutamente nulla se non alla luce dei fari, o di una torcia. Questa oscurità poteva essere resa meglio, senza ovviamente non nascondere quello che succede per ovvie esigenze sceniche.

Errori già nei primi minuti quando i giornalisti chiedono conto degli otto omicidi del mostro fin lì avvenuti, quando nel 1982 erano solo sei, perché solo a posteriori nell'estate di quell'anno venne fatto il collegamento con il primo delitto del 1968, pare su imbeccata o spontaneo ricordo del Maresciallo dei CC Fiore di Lastra a Signa, che aveva indagato su quel duplice omicidio, e lo si vede anche nella serie. 

Non certo come mostrato invece qui da Sollima e collaboratori, perché è sempre la "eroina" Della Monica a pensare ispirata e grande investigatrice, scartabellando nei fascicoli dei precedenti omicidi in ufficio-e fornendo così un veloce elenco di date, nomi vittime, età, ecc, "spiegone" per lo spettatore neofita della nuove generazioni,sul caso-, e proporre al giudice Rotella, di cercare casi precedenti e affini di delitti, al delitto del 9 settembre 1974 a B.go S.Lorenzo, Pettini-Gentilcore.

Andrebbe aggiunto che nelle parti dei sardi-per chiunque abbia ben presente la fisionomia e il modo di parlare del vero mezzo se non del tutto oligofrenico Stefano Mele-, si evidenzia del tutto la carenza oggi di certe facce nel cinema italiano, a meno che di non avere il coraggio di scegliere dei non professionisti, delle facce veramente pasoliniane da "Decameron", "che oggi se fra gli italiani non esistono quasi più sardi o non sardi, a meno che di non cercarle fra livornesi, albanesi, etc.

Che sarebbero state molto più adatte a un verismo che così la serie non ha, e forse non sarebbe stato gradito per gli algoritmi di Netflix, dover mettere dei sottotitoli in tutti i mercati internazionali al sardo stretto parlato da personaggi sdentati e semianalfabeti come il Mele vero o lo stesso Giovanni Vinci, certo non un grand acculturato, che sarebbero stati ben resi da caratteristi che oggi non ci sono più tipo Tano Cimarosa, Tiberio Murgia, ecc. Non certo questi interpreti sardi della serie che recitano con il loro accento ma perfetta dizione, appena vestiti fuori moda pronta anni '60, con le acconciature da poche pretese dei barbieri di paese del tempo, ma per il resto che potrebbero benissimo essere dei tanti professori, o ricercatori sardi del CNR. Con praticamente nulla in comune con i personaggi veri, alle soglie ancora negli anni' 60, del sottosviluppo genetico, fisiognomico e culturale.

Ridicolo volere mettere in bocca alla Locci del 1968 fin dall'inizio una consapevolezza femministoide e ribelle di sposa del sud costretta contro la sua volontà dalla dote, nelle risposte al marito cornuto e inerme Mele quando esce da sola con il Lo Bianco la sera in cui saranno uccisi-altro segno dei tempi e di una certa scrittura "revisionista" , portandosi Natalino a vedere al cinema estivo Giardino in centro a Signa, "Nuda per un pugno di eroi"(Akai tenshi) (1965), di Yasuzo Masumura. 

Il secondo episodio che si incentra su Francesco Vinci la butta ancora di più sui temi nel menù di oggi, quindi praticamente ci si focalizza sul "patriarcato"(già utilizzato dalle riviste femminili che parlano della serie) degli uomini e del clan sardo nella Signa del 1968, che prima sfrutta e si approfitta, poi umilia davanti a tutti la povera Barbara Locci vittima indifesa e donna libera ante-litteram, più che a sembrare un serial incentrato su "8 duplici delitti e 16 omicidi(Sollima cambierà, perché nel 1994 "femminicidi" ancora non esisteva"", come avrebbe detto Ognibene . Perdendo quasi del tutto nel corso dell'episodio, interesse per quello che potrebbe essere il lato investigativo-poliziesco con i mezzi e gli uomini dell'epoca.

L'episodio famoso del pacchetto stritolato e vuoto di sigarette che non è più nulla, come mezzo indizio più mezzo indizio non sono e rappresentano nulla, il sardo dalla palla di ghisa Francesco Vinci lo fece interrogato-e parola del suo avvocato, davanti al Procuratore Pier Luigi Vigna-, (qui una figura sulla destra di sfondo, che bofonchia qualche battuta in toscano),  non alla Della Monica, di nuovo, che si vuole fare come secondo convenzione la vera protagonista al femminile fiera e risoluta donna con alto incarico e intelligenza, contraltare della povera vittima e sottomessa Locci, sottoproletaria e senza gli strumenti dati dallo studio per emanciparsi.

L'illuminazione finta stile tenebroso immutabile di Netflix, brumosa e sempre invernale-autunnale, rende poca grazia all"ambientazione rurale toscana, fiorentina, delle campagne. Che oltretutto per i delitti si svolse quasi esclusivamente d'estate, in notti di gran calore, perché allora questa perenne ambientazione invernale pure ad agosto? 

Il terzo episodio, meno a piegare la vicenda di un'indagine su un maniaco sessuale e assassino, ad un pamphlet accomunante la violenza l'immancabile "patriarcato", e la sopraffazione a praticamente tutti gli uomini della serie, e incentrato su Giovanni Mele migliora un poco. Seppure l'attore che lo interpreta un massiccio barbuto ticcione, è talmente lontano dal magro e distinto Giovanni Mele, che chi conosce un poco il caso e i suoi protagonisti non può non trovarlo ridicolo, e non si capisce perché certe libertà in una serie che faceva vanto nel suo lunghissimo periodo di presentazione, della massima attenzione ai dettagli e alla veridicità delle ricostruzioni. Anche la sequenza che prende maggiore spazio nell'episodio, del grottesco tour "macabro-erotico" notturno sulle orme degli assassini,  con la amante Jolanda Borri-che poi lo accuserà ai CC di essere il vero mostro, e verrà pure incarcerato per alcuni indizi-, è gustosa ma troppo abbellita ed esagerata rispetto a quella vera. 

Ma è proprio con  il quarto e ultimo episodio de "Il Mostro", praticamente facendo della vicenda del mdf solamente quella di tanti omosessuali più o meno repressi e diabolici, dando credito a tutte le dicerie possibili immaginabili su Mele e i f.lli Vinci collezionate in anni a uso e consumo dei sedicenti "mostrologi" che ci scrivono migliaia di libri e tengono conferenze per i nuovi veri mostri di oggi(in particolare ovviamente Salvatore per alcuni da decenni il "mostro perfetto", sul quale però al di là di tante suggestioni non vi è mai stato lo straccio di un vero riscontro, non parliamo di prove se non le accuse di una moglie tradita più volte e separata, alla pari del Pacciani) i criminologi e criminologhe d'assalto intopate a tacco 12, al sensazionalismo e alla pura autocompiaciuta uniformità agli algoritmi di Netflix, Sollima si è giocato tutta la sua reputazione, pregressa e futura.

Tanto alla fine se vuoi avere a che fare con i grossi media fai quella fine lì…. decidono loro, mica l’autore.

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