Una meteora in cielo. Appare e subito scompare: il tempo di un “Oooh!”. Ma alla fine le meteore non lasciano nessun rammarico: sono oggetti coerenti nel loro corso rispetto alle nostre esistenze.
Pensate invece a qualcosa che cresce lentamente e matura lentamente, molto lentamente. Una pianta per esempio: la guardate crescere nel vostro giardino, anno dopo anno la vedete farsi più forte e più grande. E quando è diventate un bell’albero, non vi aspettereste mai che in una settimana possa avvizzire e morire stecchita. Ecco questo sì che lascerebbe spiazzati: una lunga lenta crescita prevede almeno tempi adeguati di invecchiamento.
Credo che ciò che ha tormentato e seminato malcontento negli spettatori di Game of Thrones, che nell’ultimo mese ha fatto più parlare di sé delle appena concluse elezioni europee, celi nascostamente in sé qualcosa del genere. E credo che ciò non sia stato sufficientemente analizzato: io almeno non l’ho letto da nessuna parte.
Ricapitoliamo. Game of Thrones - Il Trono di Spade in italiano - è una serie nata nel 2011 e durata appunto fino al 19 maggio scorso, quando è andato in onda l’ultimo episodio della ottava stagione. Stiamo parlando di un rito collettivo mondiale durato 8 anni. Parlare di rito non è esagerato: Il pubblico che ha visto in diretta l’ultimo episodio è stato di 19,3 milioni di utenti nei soli USA. Pensate che è stato valutato che circa la metà di questi il giorno dopo non è andata al lavoro, con un perdita di produttività di oltre 3 miliardi. Senza contare le ore passate a commentare la serie o a confrontarsi sui social.
Si è parlato in passato di come le serie abbiano permesso un diverso rapporto con la temporalità della narrazione. L’ora e mezza in cui il cinema condensa la sua narrazione, nelle serie si dilata: The Big Bang Theory, conclusasi anch’essa poco fa dopo 12 stagioni, dura complessivamente 4 giorni, 6 ore e 18 minuti. Game of Thrones invece dura 3 giorni e 1 ora. (se vi va qui potete calcolare il tempo della vostra vita passato a guardare serie tv).
Pensate a quanto più si possa dire in 3 giorni rispetto ai 90-100 minuti medi di un film: a quanti sviluppi, a quante sottotrame si rendano possibili. Pensate a quei film che in due ore raccontano saghe generazionali e osservateli dispiegare il loro potere narrativo in un tempo 36 volte più lungo. È un po’ come valutare la differenza tra un racconto breve di poche decine di pagine e la Recherche di Proust. Il che non vuol dire naturalmente che una cosa sia meglio dell’altra, beninteso.
Dipende, come sempre. Va tuttavia da sé che per raccontare una saga corale avere più tempo sia meglio: i tre capitoli del Padrino durano comunque tutti insieme 9 ore. Novecento di Bertolucci dura 5 ore.
Game of Thrones, per chi non lo sapesse, segue le vicende di sette regni, con una moltitudine di famiglie e di personaggi. L’arco temporale è di pochi anni - credo 5 - ma le casate sono tante e tanti i viaggi, gli scenari. I personaggi considerati “main” per almeno una stagione sono 43: 43 personaggi principali di cui conosciamo aspirazioni, legami, vicissitudini e - in parecchi casi - triste epilogo.
A fronte di tutto ciò, posso dire che il vero problema che ha motivato la delusione dei fan di fronte all’ultima stagione (una delusione motivata soprattutto dalla trasformazione delle linee narrative, non dalla qualità filmica) non sia che uno: Game of Thrones è semplicemente durata troppo poco. 8 stagioni non bastavano, non potevano bastare, soprattutto considerando quante linee narrative, al finire della settima stagione, fossero ancora aperte, quante storie attendessero ancora il loro svolgimento. E se per quasi tre giorni mi si racconta di una regina che vuol portare la libertà laddove vi è la schiavitù, posso anche accettare che qualcosa in lei si rompa e che avvenga una trasformazione, ma la voglio comprendere questa trasformazione, la voglio assimilare, capire. Altrimenti è solo un finale, e dei finali, francamente, ho imparato a fare a meno. Insomma ci volevano quanto meno almeno un altro paio di stagioni.... Peccato.
A fronte di tutto ciò sono convinto che - tra i grandi creatori di serie - solo Vince Gilligan, fino ad ora, sia quello che ha capito davvero come stare nella "nuova" durata che le serie consentono: ma su questo mi fermo. Mi ci vorrebbero almeno altre due o tre newsletter per spiegarlo.
PS: nel dovere dare un titolo a questo scritto mi sono accorto di aver usato il titolo che un uomo che stimo molto ha dato a un breve video visto tempo addietro su YouTube. Mutatis mutandis è sempre attuale, fate un po' voi.
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