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I soldi, i sogni
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Da un po’ di tempo, saranno due o tre anni, compilo al lunedì mattina sul sito la lista degli incassi del weekend: la famosa top ten. È un servizio che offriamo noi come molti altri: diciamo che su un sito di cinema ci deve essere: anche se vedo che sono in pochi a leggere quel post del lunedì mattina, qualcuno che commenta tuttavia c’è sempre (e alcuni sono anche molto competenti, più di me). Non è un osservatorio privilegiato, non possiedo informazioni speciali: riporto i valori e mi sforzo di commentarli brevemente, anche sulla base di quel che leggo in giro ma soprattutto sulla base dei ragionamenti che l’osservazione prolungata favorisce.
È naturale che la questione degli incassi non sia di grande interesse per i più. Se non mi occupassi di cinema professionalmente forse non la seguirei nemmeno io. Normalmente è un tema che salta alla ribalta solo quando qualche film fa incassi record (vedi il caso Zalone). Eppure quei dati - osservati in prolungata sequenza - dicono tanto.

 


Non dicono che il cinema è in crisi: non necessariamente. C’è chi sta facendo ancora molti soldi con il cinema. Dicono però che a guadagnarci sono solo in pochi: diciamo una trentina di film l’anno, più o meno equamente divisi tra le grandi major. Molti di questi sono film di animazione, alcuni sono film di supereroi, altri sono sequel e remake. Parlo naturalmente del panorama italiano, ma anche guardando all’estero (o al mondo intero) non si sposta di molto la cosa: cambiano i valori e le forze in gioco, ma non il senso generale.
Come forse avrete notato spesso ci piace parlare di presente guardando al futuro: del resto quando il sito è nato nel 2002 sembrava già un pezzo di futuro che si faceva realtà, oggi pare già passato (sì, anche internet è in crisi, ma di questo se vorrete parleremo un’altra volta). Pensare al futuro è necessario e doveroso: abbiamo esplorato più volte i cambiamenti imposti dal digitale, con tutte le sue implicazioni e le sue possibilità, dalla nascita del download e dello streaming alla pirateria. Stiamo attenti ai cambiamenti nei formati (ci siamo aperti volentieri alle serie tv) e non smettiamo di occuparci delle implicazioni che le modificate modalità di fruizione portano con sé.
C’è però un quesito che mi pongo da tempo e che ha a che fare con i miei lunedì mattina passati a riportare gli incassi dell’ultimo sequel. È un quesito, batate bene, al quale non ho risposta (probabilmente non ce l’ha nessuno), ma che voglio lo stesso proporvi. Sin dall’alba dei tempi per l’umanità c’è sempre stata una forma di rappresentazione collettiva, rituale, che ha assolto ai bisogni profondi delle società - dalle più elementari a quelle più complesse. Dal rito al mito, passando poi per il teatro e arrivando infine alla potenza del cinema: nessuna società ha rinunciato al bisogno di rappresentare e di rappresentarsi. Vado via veloce qui, lo so, ma seguitemi e perdonate la semplificazione. Mi sembra di poter dire che il cinema - che ha compiuto magnificamente questo compito nel Novecento - sia arrivato da tempo al capolinea: con buona pace di Slavoj Žižek, che comunque ammiro, man mano che la fruizione diventa privata e che il commercio e l’intrattenimento prevalgono sugli altri fattori di propulsione dell’industria del cinema (fattori altri che in passato ci sono stati, e forti), il valore del cinema come territorio di rappresentazione delle pulsioni profonde del sociale si svuota e perde potenza. Cessa così il dialogo tra la società e la narrazione che essa da di se stessa, si interrompe quel circolo virtuoso tra realtà e immaginazione: capace non solo di raffigurare, ma anche di promuovere, di educare e di istruire, di liberare istinti e pulsioni, di anticipare i cambiamenti. Agendo così a sua volta sulla realtà che l’ha prodotta.
Il quesito ora è: in una società in cui la narrazione e il suo “consumo” assumono sempre più una forma privata, parcellizzata, è immaginabile che semplicemente cessi di esistere il rito collettivo? Può semplicemente finire tutto così? O forse è solo che siamo in una fase di transizione e non sappiamo ancora quale rappresentazione si caricherà del compito di veicolare e dar corpo alle forme simboliche intorno alle quali ci raccogliamo e raccontiamo noi stessi? Cosa potrebbe insomma occupare il posto vitale che nel Novecento è stato del cinema, oggi per lo più trasformato in intrattenimento e industria milionaria?
Voi che ne pensate? Vedete qualcosa in questa nebbia? Non c'è bisogno di essere profondi, si può anche solo essere fiduciosi, speranzosi, o spaventati. Vi aspetto come sempre nei commenti.

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