Dos Disparos (2014): scena

Dos Disparos (2014): scena
Inizio brusco: musica scatenata ed il giovane Mariano che balla in una discoteca mentre il giorno sopravanza sulla notte. Poco dopo il giovane si trova a casa, una bella villa con piscina; si sveglia assonnato e afflitto dai bagordi della sera precedente, propende per una nuotata ristoratrice, poi il taglio del prato; quindi un inconveniente elettrico, il filo del tagliaerbe tranciato, che gli permette di scovare casualmente, nel capanno degli attrezzi, una vecchia pistola. Lo stordimento e la stanchezza, la fascinazione dell'ordigno, la noia: Mariano va in camera sua, si punta alla tempia l'arma, ma il colpo devia e gli procura una ferita di striscio quasi banale; poi, sempre come un automa, il ragazzo ci riprova e si punta la canna in pancia: il secondo proiettile lo perfora, lo ferisce, ma non a morte, e resta nel corpo, tanto che nella stanza nessuno trova traccia alcuna, ma i dottori non riescono nemmeno a capire dove possa nascondersi all'interno dello stomaco della vittima.
VOTO **1/2
Se le aspettative del film argentino erano alte, figurarsi quelle nei riguardi del film greco che vede come protagonista la bella e bionda, energica e grintosa Angeliki Papoulia di Kynodontas ed Alpes del fenomeno Yorgos Lantimos.
Ma, se possibile, la delusione qui e' ancora piu' cocente.
A Blast (2014): Aggeliki Papoulia
Un incendio boschivo, ma pure uno che scoppia furente nell'intimità di una famiglia di commercianti afflitti, come quasi tutti i greci (e non solo) di oggi, da una crisi che piega senza distinzione alcuna esistenze e destini a compromessi che rimettono in discussione anche traguardi affettivi ritenuti assodati e saldi. Ma la crisi economica non e' la sola emergenza, visto che questa emergenza appicca solo combustioni di vecchi rancori e vendette sopite malamente da una ragionevolezza ora non più a portata di ragione e lucidità.
In A BLAST, la giovane e bella madre Maria sfreccia a velocita' folle sulla jeep di famiglia dopo aver appiccato quel fuoco di cui sopra, avendo con se' una valigia piena di soldi, ed essendosi lasciata addietro una vita familiare potenzialmente perfetta, con un marito bellissimo ed affettuoso, amante focoso ricambiato appena può far rientro a casa, dato che naviga e per tale motivo rientra dalla moglie troppo poco; la fuga della bionda ed energica donna la costringe a lasciare i figli ad una sorella un pò sopra le righe (se non folle), che vive con un individuo dalle sporche ed irrefrenabili tendenze pedofile, che riversa ovviamente sui figli adolescenti o bambini della bionda in fuga. Costei, come se non bastasse, ha tagliato i ponti con una madre inferma, commerciante imbrogliona col fisco ed con un padre che non ha il carattere per tenere le redini di una famiglia sull'orlo del burrone.

A Blast (2014): locandina
Tutto quello che c'e' stato prima e' rivissuto dal regista Syllas Tzoumerkas con confusi e (probabilmente volutamente) disturbanti flash-bach che documentano uno stress ed un' isteria che non fanno che riscaldare la miccia e prepararla allo scoppio fragoroso. Ma il film proprio per questo infastidisce ed appare inutilmente o superficialmente provocatorio, fastidioso e petulante, colmo di scene ripetute di sesso patinato che riescono persino ad annoiare, nonostante l'avvenenza non comune di una coppia di attori davvero bellissima e ad alto tasso erotico.
A Blast (2014): scena
VOTO **

Primo a sinistra Dario Argento alla presentazione del suo "L'uccello dalle piume di cristallo"
Meno male che c'e' Dario allora! Di Argento stiamo parlando, naturalmente, e Port Cros ed io non riusciamo a rinunciare alla nostra prima visione al cinema del suo ancora innovativo e folgorante esordio alla regia datato 1970, col celeberrimo film cult L'Uccello dalle piume di cristallo. Un giallo innovativo e precursore di uno stile, un film quasi quarantacinquenne che pare oggi più che mai fresco e giovane, moderno, molto architettato nei dettagli, sofisticato con i suoi multipli finali (una costante argentiana che impareremo ad aspettarci ogni volta), tipici di un thriller in grado di aprire o riaprire mode e tendenze che in effetti attirò dietro di sé da inizio anni '70.
L'odissea sadica e tesa, assurda ed improbabile, ma irresistibile che coglie un mediocre scrittore statunitense in bolletta, che cerca (e pare alla fine aver trovato) l'America in Italia, proprio a Roma, ci tuffa sadicamente in una vicenda noir concitata: una caccia, spietata e crudele, fine a sé stessa e maligna come quella tra gatto e topo, che occupa un abile e misterioso maniaco assassino e le sue vittime, tutte donne giovani ed avvenenti; ma pure del maniaco con il nostro protagonista, testimone oculare di un tentato truculento ulteriore omicidio ai danni di una avvenente gallerista romana, salvata in estremis da quest'ultimo.
Dario Argento, accolto con calore nella sala affollata del cinema Ex Rex (chissa' la ragione di quell'enfatico "ex") ci racconta la tormentata genesi del suo primo film da regista, non certo da sceneggiatore; dei dissidi improvvisi creatisi con l'amico Goffredo Lombardi, patron della Titanus con cui fino ad allora regnava una complicità quasi idilliaca. Del successo tardivo e ormai insperato che riscontrò la pellicola nelle piazze minori dopo un esordio deludente sia a Milano che a Roma. Fino ad un successo oltreoceano senza precedenti.
Il regista romano si concentra sui visi contorti di soggetti quasi da circo tanto paiono bizzarri: sugli sguardi della follia, sulle smorfie suggerite dal terrore cieco e dalla consapevolezza della fine, su personaggi scientemente sopra le righe e manierati che sembrano creare solo divagazioni, ma che poi finiscono per costituire tasselli preziosi necessari a sbrogliare l'insanguinata matassa. Mario Adorf nel ruolo del pittore "mangiagatti" rappresenta l'esempio più validamente calzante ed uno dei ruoli cult indimenticabili di questo celebre film.
La giornata, iniziata con le accennate premesse deludenti, scalfite nettamente dal celebre esordio argentiano, si conclude con una conferma: il cinema italiano, almeno quello presente sino ad ora a Locarno, e' in forma e guida la piccola schiera di opere interessanti o belle viste con parsimonia fino ad ora: stanotte e' toccato a LA CREAZIONE DI SIGNIFICATO, secondo lungometraggio di Simone Rapisarda Casanova, docu-fiction ambientata ai giorni nostri sulle Alpi Apuane, nelle terre coltivate ed abitate lungo tutta una vita da Pacifico, un contadino ed allevatore che vive ormai come un eremita a stretto contatto con la natura, quasi completamente indipendente grazie alle fatiche del lavoro e ai risultati prodotti dalla coltura della terra e dall'allevamento di poco bestiame.

La creazione di significato (2014): locandina
E il bel film di Rapisarda contrappone la volgarità della politica urlata, che si fa forte di insulti ed improperi, con la naturalezza sfrontata e candida di un pollaio, di un volo di insetto, di un viso equino. Rischiando in accostamenti arditi che tuttavia mai diventano tendenziosi o scolastici. Fino ad arrivare a domandarsi se sia davvero necessario creare questo significato, formulandolo come un concetto scolastico; oppure no, tornando semplicemente e candidamente alle origini, alla autenticita' dei gesti e delle azioni concrete. Pacifico vive nei ricordi di bambino che non ha vissuto la guerra e le sue stragi sanguinose, se non nel ricordo della mamma che le ha trascorse sulla propria pelle; ma proprio per la genuinita' delle storie che gli sono state raccontare, egli riesce a farle rivivere come testimonianze ai giovani che vanno ad intervistarlo, al già citato padre tedesco con infante a cui egli vuole cedere la nuda proprieta' del suo "regno", rendendosi conto che ormai ha bisogno di pensare a mettersi in sicurezza per l'imminente vecchiaia dell'ultimo capitolo.

La creazione di significato e' un film che avrebbe entusiasmato, appropriatamente e a ragion veduta, una rassegna come la Quinzaine des Realisateurs di Cannes, quella stessa dove trionfo' qualche anno fa il lodatissimo e non dimenticato "Le quattro stagioni", di uno straordinario Frammartino, nei confronti del quale questo riuscito documentario ha molte complicita' di stili e contenuti.
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Naturalmente invidio moltissimo il tuo incontro argentiano. Un saluto.
Discorrere con Dario Argento e' una grande emozione: il suo tono di voce contrasta enormemente con i colori delle tragedie filmiche. Grande Fabio.
Discorrere con Dario Argento e' una grande emozione: il suo tono di voce contrasta enormemente con i colori delle tragedie filmiche. Grande Fabio.
Grazie Lu e Maghella. Questo Locarno quest'anno per me pressoché completo, pur funestato da eventi tristi o da delusioni, è stata per me un'esperienza totalizzante, sfiancante ma unica
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