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"The planets" o l'essenza del declino russelliano
di Charlus Jackson ultimo aggiornamento
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Charlus Jackson

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"The planets" o l'essenza del declino russelliano

Come amante - qualcuno direbbe fan - di Ken Russell sono costretto a individuarvi due periodi creativi molto esattamente distinti, scissi da un lungo periodo di pausa (tra Valentino, 1977-78, a Crimes of Passion, 1984-85; in messo solo l'ottimo Stati di allucinazione, 1980-81). Così, il primo periodo è immaginoso, brillante, geniale senza retorica nell'uso di questa aggettivazione e denso d'una visionaria poesia dello sguardo come sarà per sempre raro vederne al cinema, quanto il secondo è stanco, fiacco, a tratti debilitato e debilitante. Ai capolavori del primo periodo (Donne in amore, I diavoli, The music lovers, Tommy, Lisztomania) può fare riscontro qualche film appena più discutibile (va detto che forse "Mahler" nel cercare l'aspetto umano del compositore perda qualcosa della vibrazione che Bernstein definisce "da fine del mondo" della musica del genio tedesco - ma il film è comunque meraviglioso); così come se vi sono opere del secondo periodo che ho amato molto, e non solo io (Gothic e L'ultima Salomè in primis), a dire che comunque la forza creativa non si perde per strada come se nulla fosse, un Whore, che è poi è il suo ultimo film a inizio anni Novanta, è uno scherzo di pessimo gusto, tra l'altro venato di grevità realistica quasi a cercare un assurdo compromesso. Per sapere quanto ami il genio di Ken Russell basta leggere le mie passate opinioni. Si possono dire tante cose: Russell nella sua arte ha sempre trattato di grandi autori romantici, decadenti, superomistici, tragici, assolutamente artistici. Che la mancata possibilità di identificazione in essi, di rispecchiarsi nel suo archetipo, abbia indebolito la potenza della sua ispirazione? "Holst - The planets" è un mediometraggio che girò nel 1984, coincidendo proprio con l'inizio della sua parabola discendente, offrendo una "personale visione" ovviamente propensa al visionario della musica omonima di Gustav Holst. Visto che se ne diceva un gran bene (imdb docet) pensai di procurarmelo. Premesso che la musica mi è parsa pessima, uno scimmiottamento delle grandiose dissonanze mahleriane messo in atto coi più facili trucchi di violenza sull'orchestra, a meno che non sia stato Ormandy a sbagliare esecuzione, eppure la sua reputazione non è mai scesa così in basso, il "film" consiste in una sequenza visionaria "per pianeta". Un'idea da cui uno dei registi più visionari e spumeggiantemente metafisici avrebbe potuto trarre un'altra perla, si riduce alla dimostrazione palese di una presunzione manieristica tale che qualsiasi immagine un po' strana si ficchi nel caos (la musica ne crea abbastanza) sarà sublime in quanto parte d'un film di Ken Russell. Poste le promettenti premesse, si decide di far coincidere Marte, senza troppa originalità, con l'idea di guerra. Russell visualizza alternativamente un vulcano in eruzione (questo già più carino) e ("no, per favore no!") immagini di truppe hitleriane, giapponesi, altre della seconda grande guerra. Parliamoci chiaro: parlare della guerra, rendere l'idea cinematografica di guerra, in tal modo, mi sembra più degno d'un bambino delle elementari che un maturo regista nutrito d'un'impronta che ha per sempre lasciato il segno. Quindi si passa a Venere, bellezza (ma non mi dire), con le implicazioni del caso (eh). E si va avanti così con qualche momento un po' suggestivo, un po' banale.

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