Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film
“E come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose”
The Neon Demon è una lucida, ragionata, quanto risolta ed incisiva, tutt’altro che risibile e pretestuosa (tanto per fare video arte al cinema) riflessione su uno dei peggiori demoni che abitano la nostra contemporaneità: l’ossessione dell’immagine di sé (la sua sovraesposizione) e la percezione che gli altri ne ricavano.
Che insinuandosi come un’insidiosa, opprimente nuvola di fumo invisibile (gas al neon) nel nostro vissuto quotidiano, arriva a condizionarlo pesantemente, trasformandolo ed esasperandone le fattezze fino a renderlo irriconoscibile, per poi distruggerlo.
Un incubo ad occhi aperti, che impone di obbedire religiosamente a determinati canoni di sentenziata perfezione fisica -della superficie- che si elevano a modello di bellezza assoluto, con cui indottrinare intere generazioni di futuri condannati infelici, ridotti ad anonimi burattini fabbricati in serie, la cui data di scadenza ne certifica un utilizzo ridotto nel tempo (effimera è la giovinezza e con essa la bellezza) e, per la loro impressionante somiglianza, assolutamente interscambiabile.
Del tipo, ‘uno vale uno’, ‘avanti un altro’, ‘visto uno visti tutti’ e via incasellando….
In un mondo di belle ragazze invisibili, la fanciulla acqua e sapone e dai capelli del colore del grano Elle Fanning non passa inosservata, non è incolore e né insapore come i nuovi mostri che la circondano, moderni demoni di plastica illuminati a giorno dalle artificiali luci al neon di esclusivi set fotografici.
Lei è il sole che illumina una stanza, la stella che brilla di luce propria e non un inerte satellite che gode, invece, di luce riflessa senza davvero ardere al suo interno.
Creatura unica, una visione folgorante, perché è il genuino risultato di un raggiunto equilibrio tra il corpo, l’armonia imperfetta delle sue parti, e lo spirito.
Puro, non corrotto. Privo di malizia, cattiveria, perversione.
Un boccone appetitoso per quelle donzelle artefatte, alla patologica ricerca di uno splendore che risulti alla vista naturale al 100%.
N
W
R
(è così che adesso si firma) riesce magnificamente a tradurre in termini visivi il suo nobile (essì, nobile) pensiero, realizzando un’opera filmica che nasce dal desiderio di imporre sul grande schermo un’abbagliante estetica pop, coloratissima, ridondante, barocca ma anche stilizzata, elegante e perfino kitsch, che pare nascere dalle ceneri dello stile patinato anni ’80, degli spot di lusso e dell’arte (minore, derivativa o precorritrice?) del videoclip ai suoi apici.
Per creare un cinema ‘contemplativo popolare’, che sia, cioè, lento, introspettivo, dai contenuti alti, criptico e per certi versi assurdo e/o insensato, ma che riesca a mantenersi accessibile al grande pubblico, a risultare fruibile e sopportabile non solo dall’allenato paziente occhio cinefilo; un cinema in grado di arrivare alla gente che frequenta il buio della sala per svago e non per vocazione, capace di garantirsi uno spazio negli affollati multiplex usa e getta.
Attirare, accattivare, destabilizzare, inondare, ipnotizzare.
Paiono essere questi gli imperativi categorici del regista danese formatosi negli Stati Uniti.
E alla luce di questo suo ultimo faticato quanto denso, ipercontrollato progetto filmico -che esige la visione su grande schermo- ecco che si può con cognizione di causa ritenere Drive, sua prima pellicola americana, la prima su commissione, quella che lo ha consacrato a livello mondiale, l’opera spartiacque di NWR, avendo in sé gli elementi del suo cinema di nicchia/vecchia maniera e i germi di quello dell’ultim’ora: Only God Forgives e The Neon Demon più del radicale Valhalla Rising, ad oggi episodio seminale ma isolato, intendono infondere alla sua arte un tocco autoriale e al contempo renderla un’esperienza (pop) assolutamente godibile, riconoscibile e a lui soltanto riconducibile.
Compito arduo quello di creare un brand inconfondibile (al di là delle sue iniziali che sfoggia compiaciuto), considerato che tutto (o forse) è stato fatto, che ogni strada è stata battuta.
Eppure non impossibile.
Come Tarantino, ingegnoso quanto geniale frullatore di generi, stilemi, firme, Refn non crea niente dal nulla: il suo ultimo lavoro evoca atmosfere, situazioni, immaginari visti vagamente altrove, ma la talentuosa capacità di rielaborarli/metabolizzarli con originalità fa sicuramente la differenza.
Scrivendo il suo nome (ops, le sue iniziali) nel libro degli autori in divenire del nostro tempo.
In The Neon Demon NWR si concentra sulla ricercatezza, anche provocatoria negli eccessi esibiti, sicuramente maniacale, delle immagini, fondendola ad un elaborato minuzioso lavoro sul sonoro, operazione certosina per mezzo della quale riesce a creare uno slittamento della realtà raccontata, rappresentata non come luogo ‘altro’ di deliranti febbrili percorsi nelle recondite profondità dell’inconscio alla maniera lynchiana, per quanto risultino chiari i riferimenti al papà di Twin Peaks, quanto piuttosto glaciale universo pseudo-onirico mantenuto tutto in superficie e vissuto in stato di vigile coscienza, fatto della stessa materia della realtà, che le continue sollecitazioni visivo-uditive a cui è sottoposta (e noi di riflesso) ne alterano -superficialmente- la percezione senza mai davvero commutarla, stravolgerla alle fondamenta.
Essendo questa già composta di quel grottesco deforme che non necessita della dimensione del sogno per palesarsi in tutta la sua voracità devastante, in quanto accettato come normalità e giudicato imprescindibilmente bello.
The Neon Demon è uno stupefacente raggelato oggetto synth-elettrificato dal sinistro fascino orrorifico, inquietante, straniante, cattivo, privo di catarsi (come a un certo punto vuol farci credere) che lascia in bocca un forte retrogusto amaro.
E a non tuffarcisi dentro c’è da mangiarsi letteralmente mani.
O cavarsi entrambi gli occhi. Per poi ingurgitarli senza battere ciglio.
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Dimenticavo: "a ognuno la sua interpretazione", Non è così, Nietzsche ha fatto il suo tempo. Ora , oggi, occorre ben altro.
L'unico commento che mi sento di poter fare è un film inquietante e presuntuoso. Ho sempre apprezzato Refn......ma mi sembra che dopo Drive sia in continua caduta........Tarantino è tutta un'altra cosa.
io l'ho trovato assolutamente sincero proprio nei contenuti, credo sia riuscito ad andare al cuore della questione; nella moda, ma in fondo in qualunque altro campo, anche nella vita di tutti i giorni, l'invidia come il sapersi/sentirsi superiori possono rivelarsi fatali, è un film esteticamente estatico e onestamente cattivo, poi, certo, Tarantino è sicuramente un'altra -bellissima- cosa :)
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lavorare con le arti visive implica una certa sensibilità , sicuramente fuori dal comune che dai tuoi commenti pregni di stizza velenosa non traspare, mi spiace, mi auguro per te che le tue opere siano migliori del suo autore
La tua recensione mi è piaciuta, mi ha rammentato i testi dei critici d’arte quando intessono le lodi e cercano di decodificare un’enigmatica (per non dire criptica ed ermetica) opera d’arte contemporanea inaccessibile ai più! Ti confesso che il film mi è piaciuto molto meno, come infatti risulta dal mio breve commento al film (ormai di recensioni ne scrivo poche, rispetto ai primi mesi in cui ero più produttivo, proprio perché preferisco le sintesi di 350 caratteri, lasciando ai “colleghi” più qualificati e decisamente più competenti e bravi di me ogni approfondimento, tranne quanto manchino le recensioni, ed allora provvedo a compensare la lacuna). Concordo con te che il film non è misogino (io disprezzo, e lo scrivo continuamente nelle mie recensioni, tutti i film dove la donna è descritta secondo stereotipi maschilisti retrogradi) ma è l’ambiente descritto che lo è, ma personalmente, nonostante abbia colto l’intento autoriale “nobile”, temo che l’autore si sia lasciato prendere la mano dal suo “stile” raffinato fino alle estreme conseguenze. Non l’ho apprezzato perché fin dall’inizio avevo intuito come sarebbe finito (mi ha sorpreso solo l’antropofagia finale) ed il percorso è stata soprattutto un’esposizione manieristica di arte estetizzante. Soprattutto non condivido il fatto che questo film, come altri peraltro, sia stato inserito nella sezione horror, confondendo lo spettatore. L’horror è altra cosa. Alla prossima. Claudio
grazie per aver avuto la pazienza di leggere e per il tuo commento, in effetti l'horror è un'altra cosa, sì! questo voler catalogare/incasellare a tutti i costi un'opera nasce da motivi che non hanno nulla a che fare con l'opera stessa, quando poi si sa che non tutte le opere rispondono ad una certa etichettatura affibbiata aposteriori per facilitarne la fruizione e richiamare il pubblico che spesso non s'informa nemmeno su quello che va a vedere. Il disegnatore di fumetti e adesso responsabile di Dylan Dog Roberto Recchioni considera Refn uno dei più grandi se non il più grande esteta in campo cinematografico, io credo come lui stesso dice, che il regista possa piacere oppure no ma penso che sia indubbio non riconoscere il valore delle sue visioni estetizzanti, è uno di quei pochi registi in attività che fanno del cinema un luogo di percezione sensoriale piuttosto che di narrazione più o meno convenzionale. A me piace, è una gioia per gli occhi (ma non fine a se stessa, io ci trovo dei contenuti apprezzabili nelle sue storie), mi auguro che vada avanti su questa strada e che faccia sempre meglio. Ho letto, sempre da Recchioni, che Refn ha curato il cofanetto in dvd di Zombi detto anche L'alba dei morti viventi: c'è la versione di Romero e quella rimontata da Dario Argento, che secondo lui, in termini strettamente cinematografici è la migliore, ma si sa, Dario sotto il profilo tecnico-visivo resta un grande :)
ciao!
Quali "contenuti"?
quelli che tu non vedi o non vuoi vedere, e sarebbe il momento di smetterla qui
No, guarda bene che i contenuti non ci sono. C'è un contenitore di brodaglia cui non t'aggrappi. Una roba liquida che permette ogni interpretazione ma non - quindi tutto andrebbe bene - una presa sul reale. E poi perché dovrei star zitto?
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