Regia di Robert Siodmak vedi scheda film
Fuggito dal carcere grazie alla notissima tecnica della forchetta (e già partiamo malissimo), Martino Rosky (Conte, scandalosamente inespressivo) cerca di arrivare in Sudamerica, non prima di aver recuperato la refurtiva che gli era costata la galera e avere ucciso un paio di uomini. Sulle sue tracce c’è il corpulento tenente Candella (Mature, che sembra aver fatto un lifting in tempi insospettabili), il quale punta a rintracciare la donna di Martino per acciuffare il furfante. L’inseguimento attraversa il quartiere italoamericano, dove Candella e Rosky erano cresciuti da ragazzini, e si trascina fino a un epilogo in chiesa. In mezzo, un avvocato senza scrupoli tenta di far ricadere su Teena, fidanzata innocente, la colpa di un altro delitto.
Si intravede il proposito di mescolare noir espressionista e gusto semidocumentario di dopoguerra, con parecchi esterni, pioggia, neon e strade di Manhattan; a tratti l’operazione produce una flebile tensione, come nell’evasione e in un paio di pedinamenti. Qualche dettaglio coltiva ambizioni da allegoria morale, tra quadri appesi e bianco/nero dei costumi che prova a invertire i ruoli. Ma restano macchiette. La scrittura è asciutta e senza nerbo, le figure femminili migliori di quella del protagonista, e Mature, per una volta, lavora di sottrazione più del previsto. Del film fu fatto persino un rifacimento negli anni Settanta. Strane cose, perché a questo giro Siodmak non fa il minimo onore al suo nome da Olimpo della storia del cinema, firmando un poliziesco lento, poco credibile, con personaggi tagliati con l’accetta. Perdibilissimo.
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