Regia di Marian Dora vedi scheda film
Un individuo mentalmente disturbato, noto semplicemente come "L'Uomo", che nutre fantasie cannibali, stringe un patto con un uomo suicida, noto come "La Carne", che accetta di lasciarsi divorare dall'Uomo.
Una discesa compiaciuta nell’abisso del voyeurismo più sordido. Priva di qualunque tensione narrativa o riflessione morale, Cannibal è un esercizio di provocazione fine a sé stessa, incentrato su immagini ripugnanti (concentrate per lo più nell’ultima mezz’ora) che non illuminano in alcun modo la condizione umana, né tantomeno ne interrogano i limiti. La regia è piatta, la messa in scena monotona, e il ritmo dilatato fino all’estenuazione, come se l’intento fosse quello di torturare lo spettatore più che coinvolgerlo. Un film che confonde il tabù con l’arte e la trasgressione con il pensiero, offrendo solo un vuoto estetico travestito da cinema estremo. Non disturbante, non provocatorio, semplicemente sterile. Il killer pensa forse di essere l’erede di Hannibal Lecter, ma il protagonista – a differenza dell’iconico Anthony Hopkins – ha la medesima espressività di uno scalogno: inespressivo, piatto, e incapace di sostenere il peso simbolico che il film pretende di attribuirgli. Un’esperienza inutile, di una noia mortale.
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