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Scorpio

Regia di Michael Winner vedi scheda film

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La recensione su Scorpio

di Fabelman
8 stelle

Ci sono pellicole che stranamente non scalfiscono la corteccia di cui è rivestito l’immaginario collettivo e non vi entrano dentro. . .stranamente, inspiegabilmente è il caso di “Scorpio”, un noir coi fiocchi che sfodera due assi del calibro di Burt Luncaster e Alain Delon.

In effetti quando si rivolge lo sguardo al panorama dei film noir (più che genere una declinazione, un tenore, un colore appunto, che caratterizza, veste e assegna lo stile, come fa l’arrangiamento con una musica, ad uno specifico genere come il poliziesco, o piuttosto il thriller, l’azione o lo spionaggio, finanche l’inchiesta) saltano alla ribalta i più noti, alcuni iconici ma un po’ sopravvalutati come “Bullit” o “Il braccio violento della legge”, altri il cui successo e richiamo è pienamente meritato come “Chinatown”. 

Oltre a questi titoli, che emergono fieramente e si pongono come film culto e di riferimento del genere, fanno capolino titoli di assoluto valore che non hanno avuto lo stesso impatto, vuoi per scarsa promozione, vuoi per mancanza di appeal e scene madri iconiche o perché non hanno accondisceso a rendersi fin troppo commerciali mantenendo e rivendicando (con merito e orgoglio) la propria cifra autoriale.

“Scorpio” rientra a pieno titolo in questa seconda categoria; un noir che dipinge una trama di matrice spionistica con grandi scene d’azione (il lungo inseguimento tra Delon e Luncaster è da antologia almeno quanto quello di Steve McQueen a bordo di una Ford Mustang in “Bullit”) che scorre sui binari di una sceneggiatura sublime, lo spettatore viene più volte portato a ribaltare le proprie prospettive e la vera natura dei protagonisti è abilmente mascherata, ogni impressione e giudizio, ogni azione e ideale risulta infine essere fallace. 

Il film risulta pienamente degno del suo titolo, infatti come uno scorpione sfodera il suo letale colpo di coda.

In realtà “Scorpio” è il soprannome attribuito a un killer su commissione di nazionalità francese, tale Jean Laurier (Alain Delon) spesso impiegato dall’anziano agente della CIA Gerald Cross per “raggiungere” (ovvero eliminare) i suoi obiettivi. Laurier considera Cross il suo maestro, ne ha studiato per anni ogni mossa di depistaggio e camuffamento; si ritroverà ingaggiato dalla stessa CIA per eliminare questa volta il suo mentore, considerato traditore al soldo dei sovietici. La caccia tra il gatto (un Delon che sfoggia tutto il suo amore per i felini in questo film) e il topo (un Luncaster che non può tenerne il passo, ma che da fondo a tutta la sua esperienza e alla sua cospicua rete di relazioni) si dispiega tra Stati Uniti ed Europa svelando molto del passato del vecchio Cross e coinvolgendo le due donne amate dagli ormai antagonisti, un tempo alleati che pur mantengono un sentimento di amicizia. La sceneggiatura ha il merito di mantenere la corda sempre tesa, con pochissimi cali, e di depistare e bluffare pressoché su ciascuno dei personaggi. 

Grandissima prova di regia di Michael Winner (che dirigerà di lì a poco l’originario “Il giustiziere della notte” e i suoi due sequel) che sfoggia grande padronanza dei movimenti della macchina da presa e posa abbastanza l’occhio su quel belloccio di Alain Delon, che non disdegna e si specchia con piacere e compiaciuto.

Bella la colonna sonora firmata da Jerry Fielding (autore già delle musiche per “Il mucchio selvaggio”) e la fotografia di uno specialista dei toni scuri, Robert Paynter.

Nel bel mezzo della guerra fredda, la pellicola ha il merito di non sventolare bandiere o indirizzare e tantomeno cercare consensi se non quelli del pubblico.

Nella narrazione non vi è nessun filtro a stelle e strisce, solo una forte riflessione su quanto costi, in termine di vite umane, abbracciare e difendere un sistema considerandolo il bene supremo. Le libertà e lo stile di vita, per come li conosciamo, sono difesi da uomini e istituzioni che puntano l’arma contro il nemico. . .a patto che non facciano il classico quanto temuto “colpo di coda”.

 

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