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Schiava d'amore

Regia di Nikita Mikhalkov vedi scheda film

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La recensione su Schiava d'amore

di vincenzo carboni
10 stelle

Film conosciuto circa trent'anni fa, forse più, grazie al Cinema Azzurro Scipioni di Roma, cineclub di Silvano Agosti, che tra i capolavori del cinema, per molti anni me lo ha fatto trovare tutti i venerdi alle 22.30. Cinema sul cinema? Certo. E' film sullo sguardo e sul desiderio, su quanto la vita dipenda da ciò che poniamo al nostro sguardo. Olga, diva annoiata, è chiusa nella bolla del cinema che l'ha come diva intoccabile. Tutto in lei è immaginario. E' attratta da Viktor, l'operatore alla macchina, che dall'obiettivo della sua cinepresa la guarda come donna, come carne da desiderio, che tuttavia non si lascia toccare da un uomo come dalla realtà. La realtà è la guarra civile a cui Olga è indifferente, ma non Viktor, che sottrae la pellicola al set per girare videodocumenti clandestini sulle atrocità della polizia. A Mosca è la rivoluzione bolscevica, ma in Crimea la rivolta tarda ad arrivare. Viktor è stanco di offrire il suo sguardo al cinema dei "telefoni bianchi", stanco di divismo, di storie sdolcinate e nostalgiche, mentra la vita si vive nella polvere, nel sangue, nella sofferenza, nella rivolta. Quello è il cinema a cui ambisce, coperto di polvere, sporco, inguardabile, reale. L'amore tra i due giunge a un crocevia della storia in cui niente è più possibile. Come il tram senza conducente nel finale, tutti i protagonisti devono seguire il corso degli eventi. La bolla immaginaria è trapassata da uno sparo a salve. Olga, coi suoi grandi occhi blu, bucati dalla realtà, guarda gli inseguitori della Guardia Bianca che la credono una pericolosa ribelle. "Signori, voi siete delle belve". Presto, belve, lo diventeranno anche i bolscevichi. La morte arriva a togliere ogni velo allo sguardo, col paradosso di far coincidere nello stesso stesso istante verità e assenza. ?duard Artem'ev compone una musica assai singolare, tra jazz slavo e suono orchestrale, che offre a Nikita Michalkov la possibilità di introdurre momenti rovinosamente malinconici in cui il tempo si ferma, lasciando noi fermi col tempo cinematografico, ad aspettare ciò che non si compie mai, una giustizia, come una speranza di riconoscimento. Gli slanci, cechovianamente sono esangui ancora prima di manifestarsi. Solo Viktor dispone dell'energia che serve a rompere la pancia da cui nascerà il mondo nuovo, chiedendo a Olga di vederlo anch'essa, quel mondo. Vederlo vuol dire accettare il rischio di morire. E' il paradosso che dicevo: verità e assenza si rivelano nella stessa lacerazione.

 

 

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