Regia di David Lean vedi scheda film
Ultimo film del grande David Lean che porta sul grande schermo una storia complessa, dalle complesse dinamiche. Fragili equilibri di una nazione in un fragile equilibrio di convivenza tra culture, con una che si impone in maniera autoritaria sull’altra legittimamente desiderosa di raggiungere un’agognata autarchia.
Quando un film sorge da un libro di E.M. Forster si tramuta in un viaggio, un viaggio nel tempo, nei luoghi, nei costumi, nelle culture, un viaggio fatto di panorami naturali e pittoresche ricostruzioni storiche di personaggi e ambienti, ma anche un viaggio negli animi umani più svariati, con le loro contraddizioni, i loro punti di forza e debolezze, le loro virtù associate alle inesorabili bassezze verso cui, succubi di egoismi personali e della sfera di influenza di una presunta società d’élite, vengono trascinati anche i più nobili protagonisti.
Se un tale romanzo viene affidato a David Lean per il suo atto conclusivo di una carriera tanto longeva quanto (degnamente) pluridecorata, il risultato è un’affascinante esperienza paesaggistica/culturale che migra verso una spiazzante introspettiva dell’animo umano, affascinante e contorto quanto il paesaggio indiano nella sua forzata e mal tollerata convivenza con la presenza imperial-colonialista inglese.
Con il suo “Passaggio in India” David Lean, che firma la sceneggiatura e il montaggio oltre alla regia, ci porta in un contesto sociale (quello indiano negli anni ‘20 del secolo scorso) sofferente per la propria condizione (economica, strutturale) e insofferente per la presenza dello straniero (più amministratore che dominatore, ma pur sempre invasivo e invadente).
La signorina Adela Quested (una bravissima Judy Davis) si reca su suolo indiano con la sua futura suocera, desiderosa di immergersi nel fascino di un mondo a lei sconosciuto; attratta dalle meraviglie naturali, i costumi e le usanze del luogo, si imbatte presto nella disillusione e nel disincanto, mal tollerando i modi e i mezzi con cui i rappresentanti della corona inglese (tra cui il suo futuro sposo) danno dimostrazione dell’esercizio dell’amministrazione pubblica, con quella presunzione di superiorità che la protagonista mal tollera.
Vi sono dunque tutti i presupposti per una presa di posizione netta a favore del paese che visita e che la ospita, e di un popolo trattenuto come vessillo di un colonialismo ormai prossimo a scomparire.
Le vicissitudini che si susseguono a fianco del dottor Aziz H. Ahmed (un sopra le righe ma piacevole Victor Banerjee), un entusiasta quanto eccentrico medico e cicerone di miss Quested e della signora Moore, porteranno ad un inaspettato (e dal risvolto misterioso) capovolgimento di fronte.
Miss Quested da difensore della condizione degli indiani passa ad essere un’accusatrice del medico tanto stimato nella comunità, un’accusa infamante di stupro che si sarebbe consumato in una delle famose grotte di Marabar.
Un luogo suggestivo per una donna molto suggestionabile porta ad uno scontro tra difensori (indiani) e accusatori (inglesi) che mina le già instabili e fragili fondamenta su cui poggiano tutti i tentativi di convivenza tra le due popolazioni abitanti, una legittima l’altra con presunzione di legittimità.
Pur mossa da buone intenzioni e accompagnata da modi che lasciano trasparire candore e sincerità, il personaggio della Davis è piuttosto controverso, instabile; è costantemente insicura e indecisa, a partire dal suo amore e dalla conseguente decisione di sposare Ronny Moore, il magistrato civile del luogo dove si svolgeranno gli eventi e il processo.
Un uomo in balia delle accuse di una donna volubile, un popolo in balia di una monarchia altrettanto contraddittoria, da auto-proclamata portatrice di civiltà e presunti progressi sociali/giuridici a classica presenza umana discriminatoria e opportunista.
Il risvolto che prende la trama è tanto inaspettato quanto affascinante, il mistero che avvolge l’evento catalizzatore del film lascia spazio ad immaginazione, interpretazione e supposizioni, addirittura sulla reale natura dei fatti, innocenza o colpevolezza dell’uomo accusato. Sulle figure di miss Quested e del dott. Aziz c’è un disorientante e vertiginoso capovolgimento di prospettive, un ribaltamento dei giudizi con un senso perenne di perturbante dubbio relativo alla vera natura e reali intenzioni dei protagonisti.
È un film complesso, è un viaggio che si arricchisce e si snoda su vari binari, diversi percorsi.
Viene descritta una natura umana così traviata che non lascia spazio alla genuinità di atti di sincera e disinteressata generosità, verso la quale deve essere comunque insinuato il dubbio che dietro l'apparenza si nascondono motivi disonesti con intenti riprovevoli. Lo spettatore, che condivide la stessa natura controversa, resta col legittimo dubbio su quale dei due animi sia veritiero, sincero, innocente, per quanto innocente possa definirsi alcuno. Forse innocenti lo sono entrambi, o forse nessuno.
Due le statuette assegnate, a Peggy Ashcroft come miglior attrice non protagonista e, per la terza volta vincitore agli Oscar, a Maurice Jarre per la migliore colonna sonora. Saranno undici le candidature in tutto oltre a tre Golden Globe assegnati.
Un grande film uscito nel 1984 ma dal chiaro impianto classico, dall’impostatura ferrea. . .163 minuti di puro David Lean.
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