Regia di Bill Condon vedi scheda film
Andamento sinusoidale. Nello sviluppo della saga d'amore e vampirismo  ormai alla quarta puntata, quest'ultima si inserisce pienamente in una  tendenza che, nel corso dei vari episodi ha evidenziato un  discontinuità, tanto nelle scelte del registro stilistico, quanto nella  qualità finale del prodotto. Infatti, pur mantenendo inalterata la  centralità di temi, che nella tormentata storia d'amore tra Bella ed  Edward riflettono non solo le aspettative emozionali di una tribù di  giovanissimi alla disperata ricerca di valori e di certezze - ed in  questo la celebrazione del matrimonio le soddisfa entrambe - ma anche lo  spirito dei tempi - nella contrastata ricomposizione delle diversità,  non solo quella biologica dei due giovani, ma anche nelle alleanze  estemporanee tra licantropi e vampiri - l'epopea continua cambiare  pelle. Dopo l'indipendenza di "Twilight" (2008), il narcisismo di "New  Moon" (2009), ed i brividi di "Eclipse" (2010), è la volta del  conformismo di "Breaking Dawn", prima tranche di una  conclusione dilazionata con una seconda uscita programmata per il  prossimo anno, e qui messa in moto da una serie d'eventi, il matrimonio  dei promessi sposi, la gravidanza di Bella, ed il tentativo dei  licantropi di uccidere il nascituro, che gettano le basi per un finale  con i fuochi d'artificio. Una prospettiva stimolante, per il momento  costretta a fare i conti con un preludio banalizzato dalla contabilità  delle strategie produttive, e dall'arte di un regista, al tempo di  "Demoni e Dei" fieramente indipendente, ma oramai sottomesso a questo  tipo di logiche. 
Che il compito non fosse facile si sapeva in  anticipo: da una parte le  aspettative di uno stuolo di appassionati  attentissimi al rispetto delle fonti, e per questo poco disposti ad  accettare interpretazioni eterodosse, dall'altra le esigenze dei  produttori desiderosi di allungare il brodo per ragioni di moneta. In  più la schematicità della trama, rigidamente imperniata su due momenti  successivi, il matrimonio prima, la gravidanza poi, sviluppati allo  specchio, nella loro commistione tra dimensione individuale, resa  ansiogena da complicazioni connaturate alla natura eccezionale di quel  legame, e collettiva, con la celebrazione della famiglia allargata  (unico nucleo di possibile convivenza) e dei suoi rituali, ampiamente  rappresentati nelle frasi di rito e nei modi di circostanza manifestate  dai parenti e dagli amici della coppia, utilizzati per ricondurre gli  eccessi di una vicenda strutturalmente anomala nel recinto della  tradizione e della correttezza politica. Bill Condon ci mette però del  suo con un linguaggio cinematograficamente anonimo, in cui la  bidimensionalità delle inquadrature, realizzate con riprese prive di un  minimo di profondità, e la piattezza del montaggio, usato senza alcuna  funzione di senso ma solamente nel suo meccanico accumulare, si  riflettono sulla vicenda, e soprattutto nelle psicologie dei personaggi,  riducendone di molto la portata, relegandoli ad un ruolo puramente  figurativo, esauriti nel riflesso della propria immagine; figurine di un  album sfogliato più per abitudine che per reale urgenza. Ed anche sul  piano meramente estetico, il film non rende un buon servizio al divismo  degli attori, Kristen Stewart e Robert Pattinson, alle prese con una  crescita anagrafica che si riversa sulla freschezza delle loro  espressioni, eternamente giovani nella memoria filmica, ed invece  alterate sullo schermo dai mutamenti fisiologici, palesemente rivelati  quando la telecamera si avvicina ai loro volti senza adeguarsi  all'avvenuto cambiamento. Una mancanza che diventa il segno di un film  troppo sicuro di sé, adagiato sulle ali di un consenso derivato dal solo  fatto di esistere. Ma di questo e degli eventuali consuntivi ci sarà  modo di riparlare.
 (pubblicata su ondacinema.it)
  
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