Regia di George A. Romero vedi scheda film
Due anni dopo "Land of the Dead", Romero torna a dirigere i/le suoi/e zombie, ritornando alle origini del ritorno dei/lle morti/e dall'aldilà e cimentandosi nel suo primo (e, intanto, unico) mockumentary.
Il risultato è una pellicola magnifica, in cui Romero, dopo aver fotografato nei quattro film zombieschi precedenti la società americana (e non solo) nella sua evoluzione (o, meglio, INvoluzione), con quest'opera sposta la sua analisi su una dimensione decisamente più personale, mostrando il dietro le quinte del mondo cinematografico, denudando il rapporto quasi morboso che si crea tra la macchina da presa e il/la suo/a operatore/rice, il suo regista, riducendo quest'ultimo ad una macchina ossessionata dalla volontà, dal bisogno di documentare, di filmare la realtà per poterla sentire reale, ma che al tempo stesso non fa altro che falsificare, anestetizzare la Realtà stessa. Realtà e finzione, passando attraverso l'obiettivo, si fondono insieme, rendendo impossibile distinguere cosa appartenga all'una o all'altra dimensione. Questa metafora, ovviamente, non colpisce solo il Cinema, ma investe tutti mass-media, dai tradizionali telegiornali ai moderni social network, delineando una società dominata dalla necessità di fissare la realtà dietro un obiettivo e uno schermo, rendendola più rassicurante e/o mutandola in spettacolo, in intrattenimento (come succedeva anche in "Natural Born Killers"). Come si dice nell'epilogo, il mattino e, quindi, la luce, simbolo della Verità, sono visti come qualcosa di orribile, perché "ci mostrano per quello che siamo, non per quello che crediamo di essere", e questo ci spaventa, non tanto forse perché temiamo di scoprire COSA siamo, ma perché potremmo scoprire cosa NON siamo (indice del terrore del Vuoto che sentiamo dentro di noi). La telecamera, dunque, diventa un'arma pericolosa quanto una pistola, se non di più. Il finale conferma questa interpretazione, con il giovane regista Jason che, ormai moribondo, consegna alla fidanzata pistola e telecamera dicendole "Shoot me", con cui le chiede sia di sparargli per impedire la trasformazione in zombie (come indica il doppiaggio), sia di filmare la sua morte (to shoot = sparare, ma anche filmare!).
Tema correlato, seppure distinto, a quello sopra trattato, è il motivo più volte trattato da Romero nella sua carriera, ovvero il tema pessimistico della natura spietata dell'essere umano 'civilizzato' e 'occidentale', che non riesce ad essere solidale nemmeno nei momenti di forte crisi, e che anzi proprio in questi momenti tende con maggior forza a prevaricare sul/la più debole. Questo viene messo in risalto in scene come l'incontro coi militari (l'esercito è spesso attaccato dal regista, si pensi a "Day of the Dead") che sequestrano ai/lle protagonisti/e gran parte dei mezzi di sussistenza, oppure nella macabra sequenza finale dove dei cacciatori che sparano, per puro divertimento, ad una zombie appesa ad un albero, separandole la testa dal corpo. La domanda conclusiva che la ragazza rivolge a noi pubblico, "Meritiamo davvero di sopravvivere?", riassume nel migliore dei modi possibili la visione negativa di Romero nei confronti della società, e colpisce lo spettatore come una pallottola sparata dritta in testa.
Se in "Dawn of the Dead" gli/le zombie erano come un avvertimento riguardo a ciò che l'umanità rischiava di diventare, in questo film (e nel precedente "Land of the Dead") gli/le zombie cessano parzialmente di essere un pericolo, perché forse l'umanità reale è diventata la peggiore minaccia agli stessi esseri umani, cosa che riprenderà e riporterà agli occhi del "grande pubblico" anche "The Walking Dead" (specialmente i fumetti, decisamente più cattivi della serie).
Stilisticamente, il film è diretto con eleganza (forse troppa per un mockumentary, ma non dispiace troppo, anzi), e le scene Splatter sono abbastanza impressionanti (anche se non ci sono sbudellamenti gargantueschi come in "Day of the Dead"). Unico difetto è il tono eccessivamente serio della pellicola, che tende in certi punti ad appesantire rendendo troppo esplicito il suo discorso, ma questo credo sia dovuto al carattere fortemente personale e sentito della materia trattata da parte del regista.
Vivamente consigliato, anche a chi non avesse visto le opere precedenti di George A. Romero (lacuna che, però, va inevitabilmente colmata!). Voto: 8/9.
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