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King Kong

Regia di Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su King Kong

di Dany9007
10 stelle

Se ancora oggi il film lascia stupiti per degli effetti speciali ed una vicenda che ha fatto epoca, questo non può nascondere già un plot che ha a sua volta lanciato con vigore un modello di vicenda tra avventura, horror e fantascienza, capace di influenzare decine di film a venire. Forse è poco evidenziato nella critica ma la componente “autoironica” del film è notevolissima nella prima parte: in fondo tutto nasce dall’idea un po’ strampalata di un produttore di andare a girare un film nella giungla, tra ambienti selvaggi. Indispensabile oltretutto trovare un’attrice piacente del resto spiega il buon Carl Denham, ambizioso e coraggioso regista, serve un bel musetto per far crescere gli incassi. Addirittura assistiamo al provino di Fay Wray che urla e che dovrà ripetere la situazione più e più volte di fronte ai più mostruosi animali preistorici che la minacciano nell’Isola del Teschio. Tornando alla vicenda, l’influenza de Il mondo perduto di Arthur Conan Doyle è evidente con la rappresentazione di un contesto fuori dal tempo e bloccato all’epoca preistorica, così come cinematograficamente è legatissimo il film omonimo del 1925, proprio ispirato all’opera di Doyle e che fu in un certo senso l’opera che avviò l’utilizzo degli effetti speciali in stop motion per l’animazione di mostri, giganti e dinosauri. Tuttavia il film ha anche un legame strettissimo ad una pellicola del 1932 La pericolosa partita diretta da Ernest B. Schoedsack, che qui figura come co-regista e co-produttore insieme a Merian C. Cooper: i film difatti condividono i medesimi set e la protagonista femminile. Inoltre i due registi condividevano un passato da esperti in documentari su animali selvatici ed in luoghi remoti, proprio come Denham. Ma non solo, in entrambi i casi i protagonisti vivono un’esperienza da incubo in un’isola sconosciuta nella quale rischiano la vita, una volta come prede umane (difatti il titolo originale The most dangerous game è erroneamente tradotto come partita/gioco mentre game fa riferimento alla selvaggina ossia la preda più pericolosa: l’uomo), mentre in King Kong da cacciatori nel tentativo di salvare la protagonista, diventano a loro volta prede dei feroci dinosauri che infestano la giungla. Proprio questa formula è ancora oggi un toccasana per i vari produttori di pellicole che riprendono l’avventurarsi di protagonisti in contesti impervi in cui ormai si cerca di stupire a suon di mostri giganti o lotte infinite (gli ultimi reboot, sequel, spin off che dir si voglia di Kong che incontra altri colossi contro cui scontrarsi sono decisamente avvilenti) però nascono ancora da un modello creato proprio con questo film. Allo stesso modo anche il cinema di fantascienza degli anni ’50 sembra attingere da questa fonte, la quale anticipa anche le vicende di mostri che attanagliano le metropoli, da Il risveglio del dinosauro al nipponico Godzilla per passare a decine di altri esseri che andavano a minacciare le comunità indifese: piovre giganti, tarantole, alieni ecc. Per quanto riguarda le tematiche di fondo affrontate dalla vicenda, nel 1933 l’approccio fu molto meno improntato ad un concetto di preservazione delle scoperte scientifiche: oggi come oggi degli esploratori farebbero di tutto per tutelare qualunque animale superstite di una razza estinta, al contrario 90 e rotti anni fa era naturale cimentarsi ad abbattere stegosauri e cercare di eliminare le altre minacce naturali. Circa il protagonista Kong, già in questo film si respira un’aria malinconica: il mondo dello spettacolo lo reputa una sostanziale preda da mettere al pubblico ludibrio, umiliando il suo status di ex “re della giungla” a quello di bestia incatenata, così come è evidente l’esplicita connotazione di attrazione sessuale che il gigantesco gorilla prova per la protagonista (tanto da spogliarla letteralmente). Qualcuno in tempi moderni ci ha visto dei moti di razzismo con i quali Kong rappresentava l’ambizione sessuale dell’uomo nero attratto dalla donna bianca, così come alcuni critici hanno storto il naso (oggigiorno) sul trattamento riservato alle figure indigene (ma ne abbiamo sentite a bizzeffe di queste critiche già sul tema dei pellerossa nei film western senza considerare una sensibilità ed un contesto figlio della propria epoca). A differenza del pessimo remake del 1976, qui Kong rimane per l’intero film una figura scatenata e minacciosa che, sebbene tuteli da altre minacce la bella protagonista, rimane per lei una terrificante minaccia. Negli anni ’70, in pieno clima revisionista, tutto il film invece è impostato su tematiche ambientali e di coscienza, tanto da fare del mostruoso scimmione una commovente figura la cui rabbia è solo scatenata dalla crudeltà e dal cinismo umano e capitalista. È anche vero che solo pochi mesi dopo lo strabiliante successo del modello del 1933, la RKO si affrettò a produrre un seguito (Il figlio di King Kong) dedicato ad un pubblico di famiglie e concentrato su una rappresentazione innoqua e molto umanizzata dell’animale. Su quest’onda nel 1949 sempre Schoedsack diresse il film Il re dell’Africa con un gorilla gigante dall’animo docile e con tratti da commedia; il successo di questo film ha decretato a sua volta un sequel con Il grande Joe del 1998. Impossibile in ogni caso non rimanere ancora oggi affascinati davanti a sequenze che davvero hanno fatto la storia del cinema e che sono entrate a pieno titolo nell’immaginario collettivo: l’entrata in scena di Kong, la lotta contro il Tirannosauro ed infine la scalata e lo scontro sull’Empire State Building. 

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