Regia di Isao Takahata vedi scheda film
“Perché le lucciole muoiono cosi presto?” chiede Setsuko mentre prepara loro una degna sepoltura. La vera domanda di Isaho Takahata è perché muoiano così presto i bambini. Ovviamente è superfluo quel “così presto” perché i bambini muoiono sempre troppo presto. La domanda in qualche modo si ripete lungo tutta la pellicola ed è sufficiente a gettare nello sconforto il povero Seita che non sa spiegare alla sorellina i fatti della vita.
Nel Giappone del 1945, profondamente segnato dalla guerra e dalle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, non c’è nemmeno il tempo di porsi una tale domanda. Di bambini ne muoiono troppi, a tutti gli angoli delle strade. Rimasti orfani dopo le devastazioni prodotte dagli aerei americani, muoiono di fame e solitudine. La domanda, dunque, come i segni di quell’inferno emotivo e materiale, è tramandata ai posteri, nella speranza di ricevere finalmente una “degna sepoltura”. Quella che il cuore gentile della piccola Setsuko predispone per i suoi insetti luminosi.
Le arti giapponesi, nei quarant’anni che seguono, cercano con passione e angoscia una risposta al quesito. Isao Takahata ci prova nel 1988 quando gira “La tomba delle lucciole” ispirandosi al racconto autobiografico di Akiyuki Nosata, appena quindicenne nel 1945 e protagonista delle vicissitudini accorse a molti altri bambini come lui.
C’è la guerra, le bombe cadono a grappoli sulle città e sui campi, la gente muore o rimane viva per miracolo. Tutto sembra accadere senza un senso preciso. Takahata accenna alla storia quasi di striscio. Parla della resa dell’impero giapponese e del fanatismo militare nei commenti della gente scampata alla morte. Sembra evitare, di proposito, la vergogna esplosa nel paese con lo scoppio dell’atomica. Takahata non si occupa di politica e trasfigura la disgrazia del suo popolo in una perpetua allegoria delle masse esposte alla follia dei poteri. Per questo motivo, e per l'intensa umanità dei giovani personaggi, il racconto di Takahata, ispirato alla storia del Giappone, piace ancora oggi, a quasi quarant’anni dall'uscita nelle sale.
"La tomba delle lucciole" è un monito per le guerre di oggi e, purtroppo, per quelle di domani. Per la sua aderenza alla realtà il film sembra foriero di presagi e di nuove ed immani disgrazie. Sembra addirittura di assistere ad una premonizione allorché Seita appoggia sulle labbra della sorellina una fetta di quell’anguria che oggi è simbolo di una terra altrettanto martoriata, rasa al suolo da nuove bombe, affamata da nuovi conflitti, sempre uguali ai prededenti. La buccia verde e bianca, i semi neri, la polpa rossa ci proiettano ad un presente altrettanto angoscioso dove la fame e le macerie sono ancora protagoniste.
"La tomba delle lucciole" è uno specchio in cui riflettere il presente, una superficie che rimbalza le odierne immagini di morte adempiendo al dovere etico di informare e mettere in guardia. Un obbligo morale tanto forte, ancorché impellente, da non accettare compromessi o mezze consolazioni. Per questo, forse, Takahata, nella pacifica rassegnazione dei suoi piccoli protagonisti, rende il racconto di Nosata ancor più triste e disperato. Nella guerra non c'è alcuna speranza. Ed è importante che non se ne percepisca alcuna dalle immagini della carne corrosa dalla mancanza di nutrimento. Se c'è una speranza secondo il regista giapponese, quella è connessa esclusivamente al mondo spirituale e sovrannaturale. Il finale ci parla di un universo pieno di lucciole. Non più quelle sganciate dagli aerei nel profondo blu della notte, bensì quelle degli spiriti dei bambini portati via dalla guerra.
Piccole lucciole intorno ad una panchina vogliano l'umanità nuova.
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