Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film
Ben più di un film in costume, ma un succulento manicaretto servito dal maestro del cinema portoghese, ora reperibile una perfetta versione restaurata.
Non è certamente un film per tutti i gusti; richiede un po' di pazienza e di disponibilità, ma la visione è appagante. Ciò non solo per il racconto, ma anche perché si vede ad ogni passo la cura del regista nell'inquadrare e nel mettere in scena questo romanzo portoghese dell'Ottocento.
Nello stile di de Oliveira c'è qualcosa dell'astrazione e del rigore di Bresson, come anche del modo di recitare degli attori nei film del maestro francese. La tecnica, o struttura che dir si voglia, che il regista usa in questa pellicola è quello del piano sequenza, con zoom e movimenti di macchina ove necessario. Il montaggio consiste unicamente nel collegare un piano sequenza ad un altro, con rarissime eccezioni. Ciascun piano sequenza costituisce una scena e un “quadretto” tratti dal romanzo d'origine. Certo, è una scelta un po' estrema, che necessita rigore e precisione, ma che a conti fatti funziona. In altre parole, solo gli autori veri e propri (non quelli che vorrebbero esserlo) possono permettersi uno stile così rigoroso ed essenziale senza essere noiosi o pedanti.
Gli interni dalla chiara atmosfera teatrale si alternano ad inquadrature esterne delle ville della campagna portoghese, dove l'azione si svolge. Queste hanno un effetto “rinfrescante” sullo spettatore, a cui altrimenti viene chiesto di seguire dialoghi impegnativi negli interni.
Gli attori recitano in modo bressoniano: movenze minime ma efficaci, malinconia strisciante, gesti composti e misurati, sguardi fissi.
Più che condannare i rapporti tra uomini e donne e la sudditanza delle seconde, come taluni rilevano, secondo me il film stigmatizza un folle concetto dell'onore da parte dei primi. È un onore che è idolo, totem attorno a cui danzare, principio assoluto a cui sacrificare persino l'amore più sincero. Il marito di Francisca non è vittima della di lei inesistente infedeltà, e neppure delle lettere consegnate dall'amico geloso e crudele, ma della propria idea di onore assoluto, che è in realtà un assurdo orgoglio. Del resto erano gli anni dei duelli per onore, dove perivano in molti per un minimo sgarbo o parola fuori posto. Erano pure gli anni in cui si svolge il romanzo di Theodor Fontane (e il rispettivo film di Fassbinder) “Effi Briest”, con il quale “Francisca” ha più di un elemento di contatto.
Ho voluto vederlo non solo perché è un film di uno dei maggiori autori del cinema europeo, ma anche perché è uno dei film preferiti di Enrico Ghezzi, che ai suoi tempi lo mandava in onda spesso. Solo ora mi sono deciso, ma ho fatto bene: Fuori Orario ha recentemente mandato in onda la versione restaurata, la quale rispetta a puntino la pellicola originale. E con la fotografia a pastello a colori sfumati che viene usata, è quasi d'obbligo visionare solo detta versione.
*** TRAMA COMPLETA ***
La storia raccontata è quella della sfortunata Francisca, ragazza la quale, più che godere dei vantaggi di essere bellissima, ne sconta tutti i risvolti negativi. Desiderata, infatti da due uomini contemporaneamente e decisasi per uno dei due, questi la pianta dopo le nozze, quando l'altro, geloso, consegna al marito un loro carteggio avvenuto quando lei era ancora nubile. L'evento è di per sé inconsistente: ora ella lo ama sinceramente quello era stato un vago soffio di sentimenti, e neppure c'era stato alcun tradimento vero e proprio, ma tant'è: il marito ne viene scioccato, smette di amare Francisca, e quindi la pianta. Lei si consuma nel dolore, finché muore di crepacuore. Solo allora, sul corpo esanime della moglie, il marito capisce il suo madornale errore, piangendo inutili ed amarissime lacrime.
Mi stupisco come nella trama riportata da Film TV manchi uno snodo centrale, cioè la consegna delle lettere, che innesca i vari stadi della tragedia. Non è vero, dunque, che l'amore del marito semplicemente si affievolisce.
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