Regia di Luigi Vanzi vedi scheda film
Lo Straniero, a zonzo per il Klondike sul finire del diciannovesimo secolo, incontra un giapponese che, in fin di vita, gli consegna una pergamena da consegnare urgentemente allo shogun per ottenere una lauta ricompensa in danaro. Lo Straniero non ci pensa su due volte e parte per il Paese del sol levante: ma non è affatto l’unico a conoscere l’importanza di quella pergamena, e la sua missione diventa molto presto complicatissima.
Terzo e ultimo capitolo della trilogia dello Straniero, questo film viene ultimato all’incirca a un anno di distanza da Un dollaro tra i denti (1967), che tale trilogia aveva aperto, seguito nello stesso anno da Un uomo, un cavallo, una pistola: tutte e tre le pellicole dirette da Luigi Vanzi sotto lo pseudonimo anglofono di Vance Lewis, tutte e tre con protagonista l’americano Tony Anthony. A malapena espressivo, vagamente somigliante a Beppe Grillo, Anthony non è di certo l’interprete più accreditato per assumere il ruolo del vincente, ardimentoso e furbo Straniero: eppure la saga riscosse discreto successo, al punto da convincere l’attore statunitense a rivestire i panni del pistolero qualche anno più tardi per Get mean (1975), questa volta con la regia di Ferdinando Baldi, sorta di sequel apocrifo di tale trilogia. Nota a margine: a complicare la faccenda giungono alcune problematiche produttive che tengono ferma l’opera per quasi un decennio, fanendola uscire in sala solamente nel 1977 – parola di Marco Giusti nel suo autorevole Dizionario del western all’italiana. A ogni modo Lo straniero di silenzio è un lavoretto snello, senza tanti effetti speciali, basato essenzialmente sul ritmo e sull’azione, nel quale la trama a conti fatti è solamente un pretesto per dare in pasto allo spettatore un’ora e mezza di carosello western… in salsa nipponica. Sì, perché l’unica vera botta di originalità del copione firmato da Vincenzo Cerami (!) e Giancarlo Ferrando (e Augusto Caminito, sempre secondo Giusti), da un soggetto dello stesso Anthony, risiede nell’ambientazione giapponese delle vicende, non esattamente un cliché per un western, neppure virato spaghetti; il genere d’altronde è ormai saturo di titoli e si sta già corrompendo a favore della commedia, come si può notare in vari momenti di questa stessa pellicola. Get mean farà anche di meglio (o di peggio, a seconda dei punti di vista), mescolando western, commedia e film storico per trascinare la trama nella Spagna medievale – ma questa è un’altra storia. Di questo film rimangono alcuni momenti sopra le righe, i duelli con le spade (altro elemento non esattamente tipico per il filone), il cavallo di nome Pussy e il finale beffardo: non poco, date le premesse. Nel cast sono da citare anche Raf Baldassarre e Lloyd Battista. 3,5/10.
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