Regia di Evi Kalogiropoulou vedi scheda film
In un futuro prossimo bande armate organizzate come tribù regnano su una Grecia resa anonima dall’incipiente apocalisse. Si deve eleggere un nuovo capo banda, e tra i candidati c’è una sola donna, grinta violenta e capelli come la Medusa Gorgone. Per rivendicare la sua posizione - lei come anche per la co-protagonista, cantante e prostituta - il film dell’esordiente Evi Kalogiropoulou schiera i generi, maschio e femmina, ai lati, e si ossida su un binarismo polemico e vendicativo che usa la relazione omosessuale tra donne come strumento ideologico e non come risultato dell’incontro di due caratteri specifici. E infatti Gorgonà è fatto unicamente delle idee dei suoi schieramenti, polarizzazioni che nel migliore dei casi possono essere pretesti (il cinema di Coralie Fargeat, uno dei riferimenti di Kalogiropoulou) ma in questo caso sono obbiettivi. Le scene sono ostacoli di passaggio. Ne deriva che il film non si costruisca per sequenze ma per atti declamativi, sottolineature viscerali, come se queste non potessero mai disporsi in una scena vera e propria o in una coreografia che dir si voglia ma si faccia ogni momento sineddoche dell’urlo empowering. E quindi il problema non è il sostrato teorico, ma la resa: rubacchiando dal cinema che le piace, da Harmony Korine a Nicolas Winding Refn, fino a George Miller e Walter Hill (un ripasso di Virgine Despentes, piuttosto, o di Rose Troche, avrebbe fatto più comodo), la regista inveisce al vento e mostra il sesso meno erotico dell'anno di Cinema 2025 e l’energia più legnosa immaginabile. Un film imbalsamato di cui non si percepisce la certa rabbia (o indignazione) di partenza, grottesco come una pacchiana testa di orso appesa alla parete di una brutta casa mal arredata.
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