Regia di Jafar Panahi vedi scheda film
Il cinema di Jafar Panahi è un cinema che parte dal Neorealismo, come molta della migliore scuola iraniana, ma, viste anche le persecuzioni da parte del regime e i numerosi arresti e periodi in carcere, è un cinema di contestazione, di lotta sociale, insomma un cinema "da dissidente" come pochi altri suoi colleghi hanno realizzato, e mi dispiace conoscerlo poco, ma ho cercato di rimediare con questo "Un semplice incidente" che a maggio ha vinto la Palma d'oro a Cannes assegnata da una giuria presieduta da Juliette Binoche.
"Un semplice incidente", a quanto pare, è il ritorno al cinema narrativo da parte di Panahi dopo una lunga parentesi di documentari ed "essay films", ci racconta di una coppia iraniana con bambina che, dopo aver investito accidentalmente con l'auto un cane, si ferma presso un'officina per chiedere delle riparazioni alla macchina, ma accade che il meccanico, di nome Vahid, lo riconosca come un ufficiale dei servizi segreti che aveva tenuto lui e altri ostaggi in condizioni di estrema precarietà e gli aveva inflitto delle torture in carcere e, desideroso di vendicarsi, lo sequestra, anche se è colto da un dubbio sulla sua effettiva identità che lo spinge a cercare gli altri sequestrati per avere una conferma. Si tratta di un film di denuncia durissimo, nutrito dalle dolorose esperienze biografiche del regista stesso, un film che ci sbatte sotto gli occhi la follia e la crudeltà della repressione della libertà personale in nome di ideali politici o religiosi portati avanti da regimi dispotici, un disperato grido di rivolta che riflette sulla liceità della vendetta, arrivando ad una risposta negativa, ed è proprio nella parte che precede l'enigmatico finale, assolutamente da non rivelare, che Panahi ci mostra uno dei confronti "vittima/carnefice", con ribaltamento dei ruoli, più inquietanti ed eticamente destabilizzanti della Storia del cinema.
Rispetto a Kiarostami e Farhadi, che sono i registi suoi connazionali che conosco maggiormente, Panahi torna davvero alle radici del Neorealismo con un film dove l'azione è continua, girato quasi tutto in esterni autentici, a quanto pare senza l'approvazione del governo, un film che come avrebbe detto il compianto Morandini "ha la traiettoria di una sassata", un film che nella sua ricognizione in fondo alle tenebre dell'animo umano non manca di sorprendenti parentesi da commedia che alleggeriscono un po' e che non mi sembrano trovate gratuite, ma cercano di restituire la complessità del reale. Non è mancato chi ha rispolverato la memoria del Polanski di "La morte e la fanciulla", non saprei quanto a proposito, ma Panahi non si concentra soltanto sul desiderio di vendetta di Vahid, allarga la prospettiva ad altri ex internati, compresa una ragazza in procinto di sposarsi, mostra come quelle torture abbiano distrutto le loro vite, a tratti rimescola le carte, ma sempre in una prospettiva umanista che pone interrogativi difficili da sciogliere e che rifiuta il giustizialismo spicciolo.
Credo che il riconoscimento a Cannes sia stato meritato e che "Un semplice incidente" sia fra i migliori film dell'anno; molto buona la direzione degli attori, fra cui non figura nessun interprete di mia conoscenza, ma tutti all'altezza del compito ed apprezzabili per una spontaneità memore della lezione rosselliniana. Visto in anteprima al festival di Roma, è caldamente consigliato a tutti i veri cinefili sulla piazza.
Voto 9/10
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