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Trama

Il film Kokuho ci porta a Nagasaki, nel 1964. Alla morte del padre, capo di un clan yakuza, il quattordicenne Kikuo viene affidato a un celebre attore di kabuki. Lì conosce Shunsuke, il figlio del maestro, e insieme decidono di dedicarsi anima e corpo all’arte teatrale tradizionale giapponese. La loro formazione si intreccia per decenni, tra scandali, successi, rivalità e sentimenti contrastanti, dalla scuola fino ai grandi palcoscenici del Paese. Solo uno di loro diventerà il più grande maestro del kabuki della sua epoca.

Il desiderio del regista Sang-il Lee di esplorare il mondo del kabuki nasce più di quindici anni prima dalla realizzazione del film Kokuho, a partire da una curiosità profonda per la figura degli onnagata, gli attori specializzati nei ruoli femminili. Quel tipo di presenza scenica, raffinata e sensuale, sospesa tra i generi, sembrava a Lee portare con sé una qualità senza tempo, un enigma da indagare. Ma per molto tempo l’idea rimase in sospeso, senza una vera forma narrativa.

L’incontro con lo scrittore Sh?ichi Yoshida, già autore del romanzo Villain da cui Lee aveva tratto un film, ha rappresentato la svolta. Quando Yoshida iniziò a pubblicare a puntate Kokuho (letteralmente "Tesoro nazionale"), romanzo ispirato a una figura realmente esistita, il regista ne fu immediatamente colpito. Non pensava ancora a un adattamento, ma intuiva che quella storia conteneva qualcosa di irripetibile: un legame profondo tra due giovani attori di kabuki, una fratellanza fatta di rivalità e dedizione, di ascesa e cadute, che si intrecciava con la metamorfosi identitaria del palcoscenico.

Nel cuore del film Kokuho c’è il personaggio di Kikuo, figlio di un boss della yakuza, la cui vita prende una direzione inaspettata quando viene affidato, adolescente, a un maestro di kabuki. Da lì si apre un percorso lungo decenni, tra sacrifici e slanci, in cui teatro e destino diventano inseparabili. Per Lee, raccontare questa traiettoria significava non solo ritrarre un artista, ma mettere in scena un’intera esistenza costruita su un’eredità ambigua, fatta tanto di maledizioni quanto di grazia.

A dare corpo e anima a Kikuo è Ry? Yoshizawa, attore che Lee ha scelto come condizione imprescindibile per realizzare il film Kokuho. Senza di lui, afferma, avrebbe abbandonato il progetto. L’interpretazione di Yoshizawa, fisica e interiore, ha permesso di evitare ogni scorciatoia: niente controfigure per le danze, nessun supporto esterno. Tutto ciò che si vede sullo schermo è incarnato. Ed è proprio in quel corpo, e nel suo continuo allenamento, che si rivela la verità del kabuki: una forma d’arte che non si imita, ma si attraversa.

L’amicizia e la tensione spirituale tra Kikuo e Shunsuke sono il vero cuore emotivo del film Kokuho, presentato alla Quinzaine 2025. Una relazione che si alimenta sul palcoscenico e riflette una dualità antica, quasi cosmica, come se i due ragazzi fossero destinati a cercare, insieme, un “paesaggio” interiore che forse nessuno dei due riuscirà mai a raggiungere del tutto. Ma è in questa tensione irrisolta che, secondo Lee, si nasconde la bellezza più autentica.

Kokuho racconta una storia di formazione e metamorfosi, attraversata da una tensione costante tra eredità e scelta. Kikuo, nato in un ambiente dominato dalla violenza e dal potere maschile, sceglie di consacrarsi a un’arte che esplora invece la femminilità come costruzione estetica e spirituale. Il kabuki diventa per lui non solo un mestiere, ma una forma di trascendenza. L’identità, in questo film, non è mai fissa: è un continuo scivolare tra i ruoli, sulla scena come nella vita.

Attraverso la lunga parabola dei due protagonisti, il film si interroga anche sul concetto di trasmissione: di saperi, di emozioni, di maschere. Il Giappone che muta attorno a loro, dai fasti degli anni Sessanta al disincanto delle epoche successive, è lo sfondo di una riflessione sul legame tra modernità e tradizione. Il teatro, come la vita, è fatto di disciplina, rinunce, ma anche improvvise rivelazioni. Ogni caduta, ogni esibizione, ogni ferita diventa parte di un cammino che conduce forse, un giorno, a essere riconosciuti come kokuho, “tesori nazionali”.

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