Regia di Alex Scharfman vedi scheda film
Dopo aver lavorato in campo produttivo, Death of a Unicorn segna l’esordio alla regia di Alex Scharfman, prodotto da A24 assieme a Ley Line Entertainment e nel quale troviamo, in veste di produttore esecutivo, proprio Ari Aster, altro nome d’eccellenza di A24 e del mondo dell'horror contemporaneo, mettendo sul piatto 15 milioni di dollari con lo scopo di cercare il classico colpaccio al botteghino per una classica rielaborazione del B movie, materia di cui sono maestri, secondo una chiave di lettura appetibile soprattutto per una ben specifica base radical chic attraverso un progetto che non è PERò né una commedia né un horror ma un (molto ipotetico) ibrido tra le due.
Lo spunto da cui parte il regista, anche autore della sceneggiatura, è il classico ribaltamento semantico di un feticcio favolistico ricontestualizzato in un grottesco strumento di morte, un concetto non nuovissima ma che, finora, raramente aveva interessato l'animale prediletto delle bambine di tutto il mondo (mi sovviene, recentemente, soltanto il secondo capitolo di Shazam - La furia degli Dei che presentava degli unicorni in una veste abbastanza simile)
L’avvenimento principale, su cui ruota lo stesso titolo del film, lascia ben pochi dubbi sugli eventuali sviluppi e infatti il regista non cerca affatto l’effetto sorpresa, che avviene infatti a inizio film, ma imposta l’intera produzione piuttosto come una satira politica, calando la leggenda dell'unicorno in un contesto moderno e attualissimo, con gli opulenti, cinici (e squallidi) Leopold, incarnazione dello stereotipo assolutamente negativo del capitalismo americano (in questo caso la Big Farm), intenti a compiere i peggiori misfatti, a scopo ovviamente lucrativo, che un “ricco” potrebbe mai concepire, e preparando il terreno al grandguignolesco finale e al tripudio del pubblico per il loro prevedibile (e sanguinolento) trapasso.
Traslato nel mondo moderno, l’unicorno diventa quindi metafora dell’oro, del petrolio, dell'intelligenza artificiale, delle terre rare e/o del green deal (o di qualsiasi altra cosa possa generare un enorme profitto) e i ricchi e bizzosi Leopold reincarnazione dei Rockefeller, dei Kennedy o dei vari Trump, Elon Musk, Bill Gates o Jeff Bezos di turno.
Le intenzioni risentono evidentemente dell’influenza di Bong Joon-ho e del suo Parasite e/o del Ruben Ostlund di Triangle of Sadness ma la rappresentazione parossistica ed eccessivamente gigionesca dei cattivi azzera fatalmente l’apoteosi finale, consegnando la seconda metà del film, dopo una mezz'ora straniante ma almeno, per certi versi, promettente, a una scialba escalation granguignolesca piuttosto inconsulta e banale, girato con il pilota automatico e con una CGI decisamente (volutamente?) posticcia.
Ma il problema più grosso e che Death of a Unicorn non riesce a scegliere il tono giusto e, soprattutto, cambia strada ogni 5 minuti, e a una prima parte confusionaria ma piuttosto ironica, in parte anche riuscita, si sostituisce una seconda confusionaria e che invece si prende troppo maledettamente sul serio.
Invece di continuare su una satira politica graffiante, alzandone i toni comici fino al demenziale (la natura dell’incipit lo permetteva, anzi lo chiedeva quasi a gran voce), il film cerca invece di diventare un horror duro e puro ma senza averne davvero i mezzi, soprattutto a livello di scrittura (e di effetti speciali).
Nel cast del film del film troviamo poi una delle nuove star più quotata di Hollywood, Jenna Ortega, e una delle star del MCU, Paul Rudd, entrambe ai minimi sindacali (se non peggio) accanto a nuove e vecchie promesse, ma comunque di riguardo, come Will Poulter, Richard E. Grant, Téa Leoni, Anthony Carrigan, Sunita Mani, Kathryn Erbe e Jessica Hynes.
Death of a Unicorn è sicuramente (!?) un esperimento interessante ma, a dispetto di un grande cast (piuttosto sprecato) e di un'idea per nulla malvagia (ma elaborata malissimo), si rivela invece un film mediocre e incapace di fare il necessario salto di qualità.
Se sul piano puramente pratico emergono i limiti di una CGI volutamente camp ma anche molto discutibile, sicuramente non all'altezza di una produzione così ambiziosa, parallelamente la storia soffre di personaggi stereotipati o appena abbozzati, di diversi passaggi a vuoto e alcune lungaggini (specie nel secondo atto) oltre a temi imposti e poi repentinamente abbandonati che non aiutano certo ad alzare il livello di coinvolgimento dello spettatore.
L'impressione generale è che Death of a Unicorn si sia accontentato di fare il minimo indispensabile, forse accortosi in ritardo di aver fatto il passo più lungo della gamba, e abbia sacrificato quindi coerenza, fantasia e audacia in nome di un'accessibilità generalista che avrebbe potuto/dovuto salvare il salvabile.
Ma tra il "salvabile" probabilmente a non rientrare era proprio il film.
VOTO: 4,5
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