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Una battaglia dopo l'altra

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Una battaglia dopo l'altra

di Ethan01
9 stelle

Un ex membro di un gruppo estremista (Leonardo DiCaprio), ormai schiavo della droga e dell'alcool, cerca di sfuggire insieme alla figlia (Chase Infiniti) alla caccia del colonnello Steven J. Lockjaw (Sean Penn), membro di una potente società segreta di estrema destra, "I pionieri del Natale". 

Non sono in grado di stabilire se il romanzo Vineland di Thomas Pynchon sia geniale o meno, ma la sua riduzione cinematografica "Una battaglia dopo l'altra", firmata da Paul Thomas Anderson, non è lontana dall'esserlo.

In un periodo di magra per il cinema americano, in cui grandi registi come Scorsese (con "The Killers of the Flower Moon") e Coppola (con "Megalopolis") deludono grandemente, Anderson sforna invece una pellicola parecchio interessante che, nonostante le previsioni, sembra stia raccogliendo ampi consensi sia di pubblico che di critica.

Differentemente dal romanzo di Pynchon, ambientato nel 1984, anno di rielezione del Presidente Reagan, la pellicola di Anderson si mantiene volutamente vaga per quanto riguarda le coordinate storico-temporali; nonostante ciò ritroviamo una serie di riferimenti a questioni piuttosto "calde" che rimandano inequivocabilmente all'America del presente (immigrazione clandestina e centri di detenzione, ad esempio).

La rielaborazione e attualizzazione che Anderson opera del romanzo di Pynchon rende "Una battaglia dopo l'altra" una pellicola non suscettibile di essere classificata all'interno di un genere ben definito.

Dopo una prima mezz'ora che potrebbe apparentemente disorientare lo spettatore, la vicenda imbocca decisamente la strada del thriller avventuroso, percorso da geniali divagazioni grottesche e quasi comiche (le peripezie di Leonardo Di Caprio strafatto che non ricorda le password), citazioni meta-cinematografiche (Di Caprio che guarda in tv "La battaglia di Algeri", Del Toro che cita ironicamente Tom Cruise) e una tesa parte finale a metà strada tra il western e i film di 007. Da tempo non si vedeva una pellicola così ricca nei contenuti, vigorosamente narrata, caratterizzata da una sapiente gestione della tensione e un ritmo da far invidia a Spielberg (che guarda caso ha lodato il film). Evidentemente Anderson ha ben chiari quali pedali spingere per riuscire a toccare le corde del pubblico: la tenuta narrativa non conosce cedimenti per tutta la durata del film (non certo breve) e, se possibile, è alimentata dalla sproporzione di forze tra "buoni" e "cattivi", dal momento che i primi sono continuamente braccati e in balia dei secondi, mentre il personaggio del protagonista, è ben lungi dall'essere il prototipo dell'eroe che salva la situazione.

Proprio Spielberg ha paragonato l'opera di Anderson al Dottor Stranamore; ma fatta eccezione per alcuni elementi in comune, "Una battaglia dopo l'altra", con la bizzarria delle sue trovate, non assomiglia a null'altro, e in ciò risiede la sua forte carica di originalità: le suore che vivono nel deserto e fumano marijuana, il cacciatore di taglie meticcio con scrupoli di coscienza che va in giro con un macchinone bianco, il bunker in cui si radunano i suprematisti bianchi opportunamente nascosto sotto una elegante e insospettabile villetta, etc.. 

Ma ad Anderson va riconosciuto anche il merito di aver scelto un trio di attori eccellenti e di averli valorizzati al meglio. Leonardo DiCaprio, dopo la sua ultima performance, molto manierata e carica (in "The Killers of the Flower Moon"), finalmente torna qui ad ottimi livelli, tratteggiando un personaggio strafumato che sembra il fratello di Robert De Niro in "Jackie Brown"; Sean Penn invece è a dir poco stratosferico (e meriterebbe un Oscar) nel ruolo del colonnello Lockjaw, sorta di caricaturale ma al tempo stesso pericoloso rappresentante dei suprematisti bianchi; indovinatissimo anche Benicio Del Toro nella parte dell'imperturbabile e placido Sergio St. Carlos.

Fotografia (ottima) in Super 35mm e VistaVision, formato che non era utilizzato al cinema da tempo immemore, e qui forse voluto dal regista per valorizzare appieno gli ampi spazi del deserto, colonna sonora perfettamente adeguata di Jonny Greenwood. Peccato soltanto che sia analizzato in maniera (stranamente) superficiale il tema della ribellione dei protagonisti contro il sistema e le ragioni da cui questi ultimi sono animati, rese abbastanza semplicisticamente. Anche se un tale qualunquismo ideologico, se così possiamo definirlo, è abbastanza scusabile se lo si interpreta come un disperato gesto di protesta nei confronti dei nefasti effetti dell'amministrazione Trump, sia all'interno che all'esterno degli Stati Uniti.

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