Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
“La rivoluzione è compiuta” disse Napoleone Bonaparte, dopo aver messo in atto il colpo di stato del 18 Brumaio, grazie al quale divenne "Primo Console". L’intera Francia non reagì per niente. Un decennio di sconvolgimenti e instabilità al potere, aveva logorato la popolazione francese, che acclamò il generale come portatore di quella certezza a lungo cercata, capace al tempo stesso di preservare le conquiste fondamentali della rivoluzione; proprietà privata e uguaglianza. L’affermazione di Napoleone sarà una pia illusione, con ulteriori quindici anni di una battaglia dopo l’altra, contro le potenze straniere dell’assolutismo, finchè quest’ultime prevarranno, senza però poter sopprimere lo spirito rivoluzionario.
I protagonisti del cambiamento furono gli appartenenti a quella classe borghese, oramai del tutto spenta e ripiegata in sé stessa nei tempi odierni. Il testimone è passato dapprima ai proletari, poi ad un miscuglio vario di umanità composto da minoranze, poveri e migranti, tutti accomunati dal venir relegati al di fuori di un sistema imperial-capitalista, da cui sono disprezzati, ricambiando reciprocamente il sentimento.
Paul Thomas Anderson al suo decimo film, si rifugia in un impianto ideologico schematico e lineare, tanto quanto la narrazione procedente in linea retta, come il chiaro risultato del test sul DNA. Il gruppo rivoluzionario di estrema sinistra “French 75”, viene disgregato da un terzo elemento, capace di trasformare la linea relazionale "Pat/Bob Ferguson" (Leonardo Di Caprio) - Perfidia “Beverly Hills” (Teyana Taylor), in un triangolo tramite l’inserimento del colonnello "Steven J. Lockjaw" (Sean Penn). L’ardore rivoluzionario, viene contaminato dal seme della reazione conservatrice, tramite la generazione di un meticciato sospeso tra contrapposte etnie e ideologie.
Un “pastiche” al pari di una trama pregna di riferimenti politico-sociali, mescolati ad una componente di genere thriller-action pulp sempre più preponderante nel corso dello sviluppo narrativo.
Una battaglia dopo l'altra (2025): Leonardo DiCaprio
Il post-modernismo di “Una Battaglia Dopo l’Altra” (2025), trae spunto da “Vineland” di Thomas Pynchon, trasportando il ritratto di un’epoca, in un confronto tra il ieri e l’oggi, attraverso un presente in cui, si rivendica la necessità di essere autenticamente rivoluzionari. Perfidia “Beverly Hills” incarna lo spirito rivoluzionario perennemente in moto; l’azione incendiaria pura senza intelletto, per questo destinata a fallire nel più meschino dei compromessi-tradimento con il potere - seguendo in questo Napoleone, generale "figlio" della rivoluzione -, senza poter mai accedere a quell’espiazione-ritorno alla normalità a lungo anelato, ma oramai inattuabile. Il suo compagno "Pat/Bob Ferguson", raffigura il lato puramente intellettuale del fenomeno della rivoluzione. Una rivoluzione che ha smarrito il ricordo di sè stessa, crogiolandosi tra sterili revisionismi storici sugli USA e visioni di film come “La Battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo (1966); un’assuefazione di immagini rassicuranti, capaci di dire come in un dato tempo e luogo storico, quella rivoluzione portata avanti da giovane, lì ha avuto un risultato di successo.
Nel secondo atto, in cui Anderson abbandona il montaggio frenetico e serrato della prima parte, dove aveva ammiccato alla blackploitation e al pulp, eleva lo stile in una cesura tra prima e dopo, tramite un dilaniante quanto dolente montaggio alternato, tutto teso a rimuovere la “carne” dai tessuti dei personaggi, per tirarne fuori lo spirito più sofferente e autentico.
Qui il cineasta decide di tirare fuori appieno la sostanza tematica, tramite il rimpianto per il trapasso di un vissuto oramai lasciato alle spalle, sette segrete dal nome altisonante “I Pionieri del Natale” - gestiti da una alta borghesia oramai del tutto aliena a qualsiasi slancio rivoluzionario, in quanto dedita a perpetrare sè stessa tramite vetusti valori - , la massoneria come vero potere dietro la democrazia, suprematismo bianco (ma per convenienza si lascia fuori l’argomento economico, perchè anche i democratici sono convintamente a favore di questo capitalismo attuale) e agenti provocatori infiltrati nelle manifestazioni degli antagonisti.
Una battaglia dopo l'altra (2025): Chase Infiniti
“Viva la Revolution” urla con fare da bambinone "Pat/Bob Ferguson", le cui dimenticanze di codici, password e parole d’ordine, vengono scusate, in nome dello spirito risvegliato dell’uomo dal sonno catatonico di fumi e alcool in cui era immerso, che forse avrebbe giovato delle fattezze di un Joaquin Phoenix (prima scelta nel ruolo), in quanto l’attore anche qui sovrasta il personaggio.
Alto e basso nello stile e nei toni, convivono di continuo. Il buffo ironico - anche se talvolta trascinato eccessivamente da un Di Caprio troppo gigionesco - fa sorridere, senza mai far ridere, poichè nell'oggi non c'è nulla su cui ridere eccessivamente. Anderson di questo se ne rammenta, non dimenticando mai il momento dei toni violenti e drammatici nè di quel bisognoso di intimità tra un padre e la figlia, cercata ossessivamente "on the road", attraverso i sali e scendi dati dall'alternarsi soggettiva dello sguardo dall'auto, a cui si rimanda esplicitamente ai vari "Mad Max", nonché alle pellicole tipiche della formazione del regista, situatasi tra il post-indie anni 90’ tramite quel “Grande Lebowski” dei Coen (1998) con cui flirta e la prediletta “New Hollywood”, tramite allucinate opere di genere sulla scia di “Punto Zero” di Richard C. Safarian (1971) e “Strada a Doppia Corsia” di Monte Hellman (1971), nel rapporto di sguardo discontinuo tra sguardo e orizzonte nel montaggio.
Nell’impossibilità di ristabilire un triangolo depurato dalla componente militaresca-suprematista, Anderson ristabilisce la retta genitore-figlia, attraverso il libero arbitrio di un meticciato, che rinnega le proprie radici a favore del padre putativo, unendo l'insegnamento intellettuale con lo spirito combattivo.
Tramite questa conclusione, il cineasta scade come mai avvenuto in precedenza, nella retorica narrativa, a sfavore di un climax apocalittico offerto dalla sua stessa sceneggiatura tramite l’inquietante maschera deformata del viso di un Lockjaw, beffardamente consumato dalla sua stessa idea di purezza. Un fotogramma cupo, pessimista e apocalittico, sull’epilogo tetro di ogni rivoluzione, sia idealistica di sinistra quanto conservatrice di destra. A scapito dello scettiscismo post-ideologico, il regista sceglie un finale a tesi schierato con uno degli opposti, all’insegna della commozione facile e del sentimento rivoluzionario intra-generazionale ciclico, combattendo una battaglia rivoluzionaria dopo l'altra.
Una battaglia dopo l'altra (2025): Teyana Taylor
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