Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Decimo lungometraggio di Paul Thomas Anderson, Una battaglia dopo l'altra è il suo primo film prodotto da una major, la Warner Bros, con un budget superiore ai 150 milioni di dollari ottenuti grazie alla presenza di una superstar come Leonardo DiCaprio ed un cast di prim'ordine e rappresenta la più importante (e pericolosa) scommessa produttiva del regista.
Un blockbuster d'autore che, giusto per aumentarne il coefficiente di difficoltà, si misura ancora una volta, dopo Inherent Vice, con Thomas Pynchon, il più ineffabile tra i grandi narratori americani, e il suo Vineland, romanzo pubblicato nel 1990 sulla cui trasposizione Anderson lavorava ormai da una ventina d'anni.
Una rivoluzione (mancata) dopo l'altra…
Fin dai primi rumors, quando il titolo di lavorazione era ancora The Battle of Baktan Cross, la sceneggiatura si apprestava a un lavoro quasi agli antipodi rispetto al precedente lavoro con Vizio di forma, e se quest'ultimo era stato tradotto abbastanza fedelmente (o almeno per quanto era possibile farlo) Una battaglia dopo l'altra è invece un adattamento infedele e indisciplinato firmando una satira politica che, pur non riferendosi esplicitamente al secondo mandato di Donald Trump, affronta più o meno direttamente le grandi questioni che affliggono oggi gli Stati Uniti (fin troppo simili, in realtà, a quelle di ieri), pur dettata comunque dall’esigenza di de-temporizzare la contemporaneità in una rappresentazione priva quindi di riferimenti storici e dall’assenza di rimandi a politiche ben specifiche.
Ci sono voluti quattro anni ad Anderson per trasformare Vineland nel suo “romanzo americano” e in un film corrosivo che affronta insieme l'utopia libertaria e la rivoluzione conservatrice attraverso il viaggio di un eroe anti-establishment ma il vero centro emotivo del film è, in realtà, il viaggio di un padre e di una figlia che devono trovare il modo di ricongiungersi (non soltanto materialmente) e a trovare il proprio posto in un mondo folle, violento e caotico per un’opera che è insieme d’azione e d’autore, epico e intimo, che guarda al passato anche e soprattutto per parlare del futuro.
"Che ore sono?"
Ma a risaltare è soprattutto la schiacciante certificazione del fallimento delle ideologie e dei fondamentalismi radicali, delle rivoluzioni come del conservativismo, delle convenzioni e di certe convinzioni, e di una generazione impegnata a tramandare più i propri sbagli che non battaglie già combattute (e perse), fantasmi di sé stessi (o di ciò che avrebbero voluto essere) più che di necessità reali.
Il suo sguardo si posa quindi sulle macerie di movimenti che non hanno saputo reinventarsi e che vagano alla ricerca di un senso che, forse, non hanno più ma non fornisce risposte quanto piuttosto l’eco di un sistema (fallato) che implode cercando al contempo di sopravvivere al proprio stesso collasso.
Non esistono più grandi obiettivi capaci di unire la gente ma solo brandelli di lotte personali che si ripetono invano, come tra conservazione e cambiamento o la tentazione di rifugiarsi in un passato idealizzato e l’urgenza di costruire invece nuove forme di resistenza, oppure la risposta è quella di cercare di immaginare una terza via da questo ciclo infinito di lotte che però non portano mai a niente.
“La mia fica è per la guerra, è un’arma di distruzione”
A queso proposito, in un angolo del campo di battaglia abbiamo Perfidia Beverly Hills (Teyana Taylor), erede di una lunga stirpe di rivoluzionari, ribelle alla sua stessa rivoluzione, miccia politica e incarnazione nera di una femminilità bellica senza compromessi, nuda e pura e che sintetizza in sé stessa sesso e violenza, amore e distruzione.
Nell’angolo opposto c’è invece il Col. Steven J. Lockjaw (Sean Penn), satira agghiacciante (ma affascinante) del militare destrorso razzista e misogino, allo stesso tempo parodia e minaccia, clown grottesco e mostro politico. Già entrato di diritto tra i personaggi indimenticabili di Paul Thomas Anderson, il suo interprete diventa inevitabilmente il miglior candidato alla corsa all’Oscar 2026 per il miglior attore non protagonista (categoria che, tra l’altro, gli sta un po' stretta).
Una prova che per insulsaggine, protervia e postura si impone nettamente sulle le altre (altro che Di Caprio), divisa iconicamente tra commedia dell’arte e tragedia marziale.
Tra l’incudine e il martello troviamo infine Gheto Pat (apppunto Leonardo Di Caprio), un compagno/rivoluzionario/padre (decisamente) imperfetto che cerca disperatamente di non trasmettere il proprio fallimento (e le proprie colpe) alla figlia ma soprattutto rappresenta il sempliciotto sballottato dal caos e dagli eventi, ignaro di quasi tutto quello che lo circonda ma privilegiato da una comicità involontaria che lo umanizza e lo rende migliore di altri.
Tra Perfidia, Lockjaw e Pat nasce così un inquietantemente triangolo amoroso che, tra fazioni politiche opposte e bisogni inconfessabili, diventa un "gioco" sempre più pericoloso.
"Respira!"
Alla fine abbiamo Sensei, ovvero Sergio St. Carlos (un grande Benicio Del Toro), un santo protettore dei migranti e guida spirituale di una rivoluzione "pacifica", anche perché dopo tanta violenza ha smesso di credere nella lotta armata, ma è anche l’unico, “vero” rivoluzionario perché, in silenzio e senza troppi proclami o urla, è l’unico che riesce davvero ad aiutare gli altri.
Un personaggio da antologia, costruito più sui silenzi che sulle parole e che alle armi preferisce usare l’astuzia. E il buon senso.
Completano poi il cast la debuttante (ma già in rampa di lancio) Chase Infiniti, Regina Hall, Wood Harris, Alana Haim, Junglepussy, Jack Trout, Tony Goldwyn, Dijon, Starletta DuPois e Paul Grimstad.
VOTO: 7,5
P.s. Come spesso accade con Anderson, i suoi film vengono apprezzati soprattutto da critici cinematografici, appassionati della sua filmografia o dagli addetti ai lavori. I suoi ultimi film, come Il filo nascosto o Licorice Pizza, a livello di botteghino avevano guadagnato ben poco ma erano stato realizzato almeno con dei budget piuttosto modesti.
Con Una battaglia dopo l’altra il risultato non è stato poi così diverso, tuttavia rappresenta un’eccezione (un azzardo?) della sua carriera per il modo in cui è stato finanziato e prodotto.
Infatti, il film è stato prodotto dalla Warner Bros con un budget riservate solitamente ai grandi blockbuster e un investimento dettato, probabilmente, dalla presenza di una star come Di Caprio, un attore capace di attirare il grande pubblico e di fare (spesso) grossi incassi.
Difficilmente il film riuscirà invece ad andare in pari e questo potrebbe rappresentare un grosso problema, o comunque un limite, per il proseguo della sua carriera ed è un vero peccato.
"Bersaglio mancato!" O no?
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta