Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Il film di un ricco regista hollywoodiano, sconnesso dalla realtà come tutto il suo club elitario.
Che dire di questo osannato film di P.T.Anderson per cui Spielberg si è persino avventurato in un improvvido e francamente risibile paragone con "Il dottor Stranamore" di Kubrick? Non molto, dato che non mi ha appassionato minimamente (pur senza annoiarmi) e trovandolo una gigantesca delusione rispetto a quanto prospettatomi da critica e pubblico (su FilmTv ma anche fuori). Sarò dunque breve, dato che non amo scrivere troppo dei film che non mi sono piaciuti: il ragazzo si impegna ma...he isn't the sharpest tool in the shed. "Una battaglia dopo l'altra" è il film perfetto per i rivoluzioanri da salotto, con poche idee e pure confuse. Sulla società, sulla politica, sulla morale e anche su come si racconta una storia. Fantastico per i liberal hollywoodiani che dalla loro torre d'avorio si contentano di farsi le seghe a vicenda e ripetersi quanto sono moralmente retti e intelligenti rispetto a noi cafoni di ceto medio-basso. Non è un caso che in epoca Trump questo film, come in precedenza l'ultimo di Scorsese e "La forma dell'acqua" di Del Toro, venga magnificato ben oltre i propri meriti artistici. E' un film a tesi, in cui a parte l'indubbia competenza registica di Anderson non vi è un ragionamento concreto e profondo sul significato di rivoluzione, fascismo e legami familiari. L'afflato eversivo è puramente superficiale e populisticamente semplicistico. I protagonisti per cui dovremmo fare il tifo non ispirano nè simpatia nè empatia, specie se vengono presentati come l'equivalente americano delle Brigate Rosse. La moglie del personaggio di Di Caprio in particolare è un personaggio odioso, ma il regista sospende il giudizio su di lei senza motivo, cosa che invece giustamente non fa con i fasci. I cattivi (i suprematisti bianchi) sono macchiette ridicole, specialmente il colonnello Lockjaw di un Sean Penn tutto smorfiette e camminata con i sassi nelle mutande, un personaggio talmente caricato e sopra le righe rispetto al contesto che lo circonda da non essere minimamente credibile come antagonista. Sarebbe bene che gli americani si ripassassero un po' di cinema italiano, primo fra tutti Novecento di Bertolucci. Ve lo ricordate il fascista interpretato da Donald Sutherland? Quello faceva cagare addosso dalla paura tanto era cattivo e odioso, Lockjaw può al massimo servire come cattivo di un corto di Bugs Bunny. E se il metro di paragone è George C. Scott in "Il dottor Stranamore", Sean Penn non è neanche lontanamente divertente come lui. Il protagonista bomaborolo strafatto di Di Caprio è uno dei personaggi più inetti del cinema americano recente: completamente travolto dagli eventi, si limita a reagire a ciò che gli succede intorno senza in alcun caso modificare l'esito della storia con le sue azioni. Sarebbe potuto non esserci e non sarebbe cambiato nulla. Neanche la soddisfazione di una risoluzione con il suo arcinemico. La nuova frontiera di Hollywood: protagonisti senza carisma e irrilevanti per la trama. Il film soffre in oltre di una indecisione di fondo sul tono da adottare: è una commedia nera? E' un film grottesco? Sembrerebbe di sì, ma anche no, perchè poi a tratti si prende sul serio. Dulcis in fundo, l'ultimo terzo di film ha una risoluzione di trama incredibile nella sua implausibilità, in cui gli eventi si accavallano con l'unico scopo di portare la storia dove vuole lo sceneggiatore. La verità è che l'impegno civile non basta a fare un bel film, indipendentemente da quanto i suoi realizzatori presumano di trovarsi "dalla parte giusta della Storia". Per quello servono idee chiare su dove si vuole andare a parare e cosa si vuole dire, capacità di scrivere personaggi carismatici e interessanti di cui si possa almeno assumere (non approvare, ma assumere) il punto di vista e l'intelligenza per scegliere un registro stilistico mantenendolo poi per tutta la durata del racconto. Tutte cose che mancano a questo bignami "liberal" che farà venire nelle mutande i vari anticapitalisti, radical chic e nostalgici dell'URSS e della Rivoluzione Culturale ma che dubito giungerà ad un pubblico più ampio, cosa che un film politicamente impegnato dovrebbe aspirare a fare. Ma evidentemente qualcuno preferisce accontentarsi di praticare un po' di onanismo nella propria torre d'avorio, guardando dall'alto in basso il resto del mondo mentre va a rotoli.
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