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Una battaglia dopo l'altra

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

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La recensione su Una battaglia dopo l'altra

di lamettrie
4 stelle

Un thriller d’azione, semi-distopico, scarso. Sconclusionato nel messaggio. Scombiccherato nella trama. Commerciale, specie per i giovani, per ammiccare a tanti temi odierni senza però permettere una minima riflessione interessante a riguardo.

Ma ottimo per vari aspetti squisitamente tecnici: come la recitazione, il montaggio, la fotografia, la tensione della sceneggiatura.

Denuncia del terrorismo. Ma specularmente anche denuncia del modello che Trump ha portato alla vittoria: quello della vittoria del suprematismo bianco, del fondamentalismo cristiano, del razzismo, della cultura del sospetto e del terrore, del dispotismo che procede verso la fine della democrazia, in un angosciante ritorno all’età delle dittature in Europa, gli anni ’30 di quasi un secolo fa.

Paul Thomas Anderson va incontro a un flop nonostante le ambizioni: un cast eccezionale, un ritmo tenuto sempre alto nonostante le due ore e quaranta, i temi trattati, fondamentali per l’oggi.

La trama fa acqua da tante parti. Non si sfrutta in modo intellegibile la pur bella scena in cui si certifica chi sia davvero il padre (che pare proprio il personaggio di Di Caprio); inverosimile l’intervento del massone di destra a uccidere il personaggio di Sean Penn; del tutto non credibile la liberazione della ragazza ad opera di un sicario del governo di destra. Costui sarà un infiltrato dei terroristi gestiti dal personaggio di  Del Toro, come l’infermiera che libera Di Caprio? Affatto, perché costui ne ha già fatte di cotte di crude contro gli immigrati al soldo del governo. Allora, perché libera la ragazza, uccidendo pure tre o quattro soldati? Perché poi non esce vivo dalla sparatoria? Se non esce vivo lui, almeno uno dei suoi avversari doveva uscirne vivo, almeno chi lo aveva ammazzato (che in effetti avrebbe avuto il tempo di armarsi, sentendo i primi spari): eppure non esce nessuno vivo, il che è assurdo.

Fastidiosissima è la madre, squilibrata e arrogante, volgarissima come tutti i suoi compagni di lotta: caricata fino all'inverosimile è poi la sua ossessività sessuale. Ma Anderson ha sprecato pure il jolly di farla riapparire nel finale, sostituendola con una bolsa lettera.

Ben poco credibile il sistema delle comunicazioni fra i terroristi: roba da anni ’70 (telefoni pubblici, radio private, cercapersone…), impensabile come efficace oggi. Figurarsi in quel futuro quasi dispotico – per gli scenari sociopolitici, anche se neppure così lontano a materializzarsi – come quello qui delineato.

Concettualmente, il film pare non lasciare alternativa fra dei dittatori, gretti e razzisti, e un’opposizione composta da terroristi più che incivili, oltre che arroganti, e soprattutto assassini seriali.

Qualcosa di buono, oltre quanto già detto, c’è, però: mostrare la vita veri dei terroristi; la vita quotidiana sotto le dittature; l’esistenza tremenda degli oppositori nelle dittature; il dramma degli immigrati clandestini (senza certo giustificarne a priori l’intento che, secondo il diritto dei paesi di accoglienza, è comunque illegale).

Il tutto condito da un tocco di grottesco. Che però, certo, non basta: anche a fronte di dialoghi sciatti.

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