Espandi menu
cerca
Una battaglia dopo l'altra

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

Recensioni

L'autore

ilcausticocinefilo

ilcausticocinefilo

Iscritto dall'11 giugno 2019 Vai al suo profilo
  • Seguaci 65
  • Post 32
  • Recensioni 224
  • Playlist 35
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Una battaglia dopo l'altra

di ilcausticocinefilo
7 stelle

 

 

 

Diciamolo subito: il film non è un capolavoro, non ci va neppure vicino, un’opera come Il petroliere – per forza, complessità, profondità, compattezza – si pone a distanze siderali. Sarebbe quindi forse meglio abbassare un poco le aspettative prima di andare a vederlo senza lasciarsi condizionare dal profluvio di recensioni entusiastiche, in primis anglosassoni, si può supporre – un tantino malignamente – influenzate in non indifferente misura dal fatto che la media del cinema mainstream hollywoodiano faccia piuttosto pietà.

 

Dunque, per contrasto, questo Una battaglia dopo l’altra rifulge, anche a prescindere dai suoi meriti intrinseci. Che però ci sono, inutile negarlo: non siamo certo qui in presenza di un film mal fatto. Anderson ha la mano ferma e fa le scarpe agevolmente alla maggioranza dei più o meno sedicenti registi di thriller e d’azione dei giorni nostri, non solo nell’inseguimento in auto finale (un memorabile pezzo di cinema con i teleobiettivi che fanno sembrare la strada una serrata alternanza di collinette ripidissime da trattenere il fiato) ma lungo tutto l’arco della narrazione, riuscendo a gestire abilmente momenti di slapstick puro (impossibile non scoppiare a ridere all’inizio delle traversie del Bob di Di Caprio in versione Lebowski che esce da sotto dei cessi abbandonati e se la prende con il centralinista che vuole a tutti i costi la risposta alla domanda “Che ore sono?”) e di pura adrenalina (l’eccellente sequenza della fuga sui tetti con finale ruzzolone).

 

 

Teyana Taylor

Una battaglia dopo l'altra (2025): Teyana Taylor

 

 

In sostanza, dal punto di vista strettamente tecnico il film è impeccabile, grazie anche ai contributi della fotografia, del montaggio (veramente un lavoro da maestri, visto che il film non pare neanche durare due ore e quaranta) e degli attori spesso al loro meglio (tra un Di Caprio scatenato che non sta fermo un attimo e un Penn che – pur a rischio macchietta, che ricorda vagamente il Jack D. Ripper di Dottor Stranamore pur senza avvicinarsi a quelle vette satiriche – entra da subito nella memoria con quella camminata ridicola, impettita, a gambe divaricate, quelle espressioni a metà tra disgusto e attrazione per “Perfidia”, i rialzi sotto le scarpe e le magliette attillate; e come dimenticare Del Toro che ruba praticamente la scena a Di Caprio ogni volta che compare, con quel suo atteggiamento imperturbabile e rilassato da maestro zen).

 

Il rischio sequela di scenette e siparietti – alla maniera di Licorice Pizza – viene spesso evitato dato che il film non molla mai la presa e mantiene costante la tensione e l’interesse, e poi in quanto spesso offrono – tali frammenti – spunti intriganti. Anche se bisogna ammettere che di tanto in tanto possono far sembrare che il regista-sceneggiatore abbia voluto mettere troppa carne al fuoco, non approfondendo abbastanza alcune questioni e lasciandole sospese.

 

 

Sean Penn, Teyana Taylor

Una battaglia dopo l'altra (2025): Sean Penn, Teyana Taylor

 

 

Inoltre, appare una certa confusione ideologica nella “missione” intrapresa da questi “rivoluzionari”, una confusione che rivela involontariamente ciò che rimane quasi sempre in ombra nella cultura politica americana, sia che si tratti di quella “alternativa” che di quella “ufficiale”: il fattore di classe. Non che il razzismo e il sessismo non siano piaghe da eradicare, tuttavia l’obiettivo finale di questi “French 75” è piuttosto fumoso: stop alle persecuzioni anti-migranti e alla repressione poliziesca interna che celano entrambe i segni del retaggio schiavista-suprematista di certa America “dabbene” (con leforever wars” riportate in patria, vedi Trump); largo alle donne, meglio ancora se di varia e multiforme discendenza… e poi?

 

Se per intanto il sistema economico rimane il medesimo a trionfare alla fine sarà comunque e sempre l’altra monolitica credenza collettiva statunitense: l’individualismo estremo (il personaggio, in fondo negativo, di Perfidia avrebbe potuto essere sviluppato per portare ad una critica ficcante di tale punto) con annessi e connessi di capitalismo senza vincoli, disuguaglianze montanti, crisi ricorrenti che giungeranno a ri-compromettere il benessere e la stabilità di quelle stesse persone suppostamente liberate, rinfocolando peraltro le stesse tendenze alla ricerca del capro espiatorio, e quindi al razzismo, alla xenofobia, al sessismo.

 

 

Teyana Taylor, Leonardo DiCaprio

Una battaglia dopo l'altra (2025): Teyana Taylor, Leonardo DiCaprio

 

 

Visto che si tira in ballo una specie di Ku Klux Klan senza maschera (non s’ha da fare oggigiorno, meglio operare nelle segrete stanze, anche perché con i sacchi in testa poi non si vede un cazzo e se già non sei una cima come il tipico neonazi figurati se non vedi letteralmente ‘na cippa… va beh, parentesi ludica mia…), occorre non dimenticarsi che dietro l’ascesa dello stesso nazifascismo si ponevano ai tempi le fratture, i sommovimenti e le sanguinose battute d’arresto del sistema capitalistico in affanno. Senza queste rotture sistemiche sia gli Hitler e i Mussolini che – con tutti i dovuti distinguo – i Trump non sarebbero potuti e non potrebbero esistere.

 

Ma si deve ammettere si tratti probabilmente di temi alquanto ardui da affrontare in un’unica opera cinematografica, specialmente se prodotta attraverso il prisma deformante dell’americano, con rispetto parlando. Ci sarebbe voluto magari un Bong Joon-ho o un Ken Loach, per capirci, mentre qui si vira presto in territori di mero intrattenimento, certo non scadente, ma che lascia cadere molti degli spunti possibili (ad esempio, uno “collaterale”, ma fino ad un certo punto: la dimensione orwelliana [o benthamiana] odierna nella quale si è tutto sorvegliati, basta usare un cellulare [hai voglia dunque, come credono in diversi, a rivoltarsi programmando di incontrarsi su Instagram…], e difatti il Lebowski-Bob se ne va in giro a cercare di ricaricare un vecchio telefono analogico).

 

 

Leonardo DiCaprio

Una battaglia dopo l'altra (2025): Leonardo DiCaprio

 

 

 

Rimaniamo pertanto in dubbio circa l’efficacia della componente più strettamente ideologica (forse troppo sbilanciata lato annacquamento liberal USA che fa il paio con il “modératisme” sempre e comunque rigorosamente professato da tanta sinistra europea, anche qualora sarebbe utile essere magari un poco più radicali, il che non significa necessariamente violenti à la French 75, anche perché ai nostri tempi non esiste più un Palazzo d’Inverno da assaltare).

 

A questo proposito il finale – al di là della retorica professione di fede nelle prossime generazioni – lascia vieppiù perplessi: lei si lancia nel continuare la “lotta”, ridotta quasi esclusivamente alla realtà delle manifestazioni di piazza che – da sole, senza poi un’organizzazione e una visione del mondo chiare che indichino obiettivi di lungo termine e per quanto possibile i metodi per raggiungerli – servono a pochino, mantenendo la solita ingenuità ideologica, questa sorta di volontarismo über-ottimista che parrebbe più che altro destinato a dissipare energie in contestazioni senza sbocco, proprio perché prive di una coerente struttura concettuale a sostenerle (l’esatto contrario dei furboni di ‘sto mondo, insomma, dei Buffett & Co. [«La lotta di classe esiste e la stiamo vincendo noi» - cit.] che una certa lezione l’hanno imparata eccome e non si fanno fregare da questioni meramente semantiche e non si sentono minacciati da lotte unicamente anti-sessiste o anti-razziste al di là di una minoranza di suprematisti che però loro stessi porrebbero prima di tutto, nell’eventualità, il profitto e l’aspetto economico).

 

Sembrerà paradossale, ma nel finale si può intravedere una sorta di sotterranea rassegnazione presente nell’opera, un’idea invalsa per la quale non ci sia sostanzialmente alternativa (la “cara” vecchia TINA), con tutte le rivolte e a maggior ragione le rivoluzioni destinate a fallire e non rimanga altro da fare che protestare piuttosto velleitariamente.

 

 

Benicio Del Toro

Una battaglia dopo l'altra (2025): Benicio Del Toro

 

 

Le riserve sopraccitate per chi scrive non inducono a bocciare Una battaglia dopo l’altra, in quanto la forma filmica è ottima, alcune stoccate vanno a segno (circa le politiche migratorie con le persone stipate come bestie in prigioni nel deserto, sotto il sole cocente o al gelo di notte; circa la sete di potere delle élite che si mescola talvolta alla brama sessuale, meglio se “proibita”; circa il permanere di una mentalità estremamente razzista ecc.) e in generale si riesce a mantenere – senza perdersi in continue scene d’azione – una suspense costante, sino al culmine del già celebre inseguimento finale. Appunto, non si può parlare di film mediocre e men che meno pessimo.

 

Ha peraltro il merito di tratteggiare senza eccessivi didascalismi i contorni di un Paese perennemente sull’orlo della guerra civile, ispirato agli anni del riflusso del romanzo di Pynchon e trasportato all’epoca presente, prima dell’avvento di Trump 2 - La vendetta, e quindi si spera non profetico (vedi l’utilizzo dell’esercito in patria per sedare le rivolte – le “forever wars” di cui sopra riportare a casa).

 

 

Chase Infiniti

Una battaglia dopo l'altra (2025): Chase Infiniti

 

 

Ci sono alcune forzature e alcuni buchi nella trama (la fuga di Perfidia; l’assassino con scrupoli di coscienza che aiuta la donzella in pericolo; la strana placidità della conclusione [come essere davvero sicuri di non aver più nulla da temere, al di là di Lockjaw?]) ma il film regala degli ottimi spezzoni di cinema e, chissà, finanche addirittura oltre le intenzioni dell’autore l’impressione di una società americana confusa, quasi al crepuscolo degli dei, al finale disfacimento, wagnerianamente votata all’autodistruzione. Ergo, sì, fa pure ridere a più riprese, ma al fondo il film lo si può considerare una tragedia da fine dei tempi, solo in parte inficiata da un finale forse un po’ troppo idilliaco, con però l'intatta nebulosità sul cosa dovrebbe riguardare questa rivoluzione.

 

In conclusione, tali dubbi circa l’efficacia della componente ideale non fanno precipitare l’opera a livelli miserandi, anche perché non sempre risulta poi così fuori fuoco, e ad Una battaglia dopo l’altra si deve perlomeno dar atto di tentare di conferire una profondità al cinema d’intrattenimento che non si vedeva – alle latitudini di Hollywood – da un bel pezzo, sostenendo il tutto con uno stile brillante e già solo per questo merita che gli si dia una chance in sala.

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati