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Una battaglia dopo l'altra

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

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La recensione su Una battaglia dopo l'altra

di Ponky_
9 stelle

Una battaglia dopo l’altra.

Nel passato, le scorribande rivoluzionarie del gruppo eversivo French 75 – guidato dalla coppia Ghetto Pat (Leonardo DiCaprio) e Perfidia Beverly Hills (Teyana Taylor) – che hanno seminato il panico tra le autorità in nome dei propri ideali.

Nel presente, la resistenza degli stessi a una diaspora indotta dall’ombra di arresti e deliberate esecuzioni, nonché le difficoltà di un nuovo inizio sagomato su clandestine identità con la tutela del focolare affettivo a soppiantare la dottrina.

Nel futuro, quel che germoglierà dalle ceneri del presente.

Frattanto si perpetua - senza soluzione di continuità - l’azione repressiva da parte del potere sovrano, unicamente fondata sulla base di preconcetti politici e razziali accompagnati dalla totale assenza di rispetto delle leggi che regolano i diritti fondamentali, delineati da quegli emendamenti all’uopo sfoderati da chi non è in grado di coglierne il significato: suprematismo bianco e patriarcato fallo-religioso dominano imperterriti sull’America, con evidenti incoerenze interne e disparità di trattamento, occasionalmente da rettificare per mantenere inalterata un’elegante immagine di celato sudiciume morale.

Resistere senza provare a opporsi è una battaglia persa in partenza.

Per Pat, ora divenuto Bob, sono però trascorsi sedici anni e la lotta sul campo sembra ormai un impolverato ricordo. Le certezze giovanili sono atrofizzate dal tempo, levigate dalla responsabilità genitoriale che lo ha portato a crescere in solitaria una figlia, Willa, non trovando più nulla che lo faccia arrabbiare, come da sua stessa ammissione; comprovata verità, solamente fino a quando non sarà inevitabile imbracciare nuovamente le armi, a difesa dell’unica cosa che ha ora valore: la famiglia.

Priorità.

Cosa resta della rivoluzione quando le idee affrontano il peso del proprio mutato, intimo presente?

In un passaggio dallo scontro esteriore a quello interiore, Paul Thomas Anderson racconta una nuova - quanto mai classica, nel suo cinema - famiglia alternativa alle tradizionali (sovra)strutture dell’amore, in cui il sentimento è libero e sincero, senza necessitare di superflue esternazioni per essere espresso appieno.

Goffamente irriverente nella sua genuina analogicità, DiCaprio infonde vita a un personaggio totalmente inadeguato all’innovazione tecnologica e sociale, estraniato da un mondo che non riconosce nei riferimenti, al quale eppure risulta ancora indissolubilmente legato a doppio filo tramite un passato nostalgicamente irripetibile ma assolutamente attuale nelle ripercussioni ex post, in ritardo di più di un decennio. La maturata inettitudine lo porta a contribuire minimamente al raggiungimento della propria missione, stordito dal tumulto di eventi fuori controllo che si intrecciano tra loro pur senza dialogare, riportando alla mente il Barry Egan (Adam Sandler) di “Punch-Drunk Love”. L’interpretazione è tra le migliori in carriera, a sottolineare come, ancora una volta e forse più che mai - almeno sul grande schermo - l’attore si trovi perfettamente a proprio agio con l’età sopraggiunta, in un anti-divismo ancora fertile di potenzialità.

Benicio del Toro e Sean Penn, che completano i ruoli di spicco, si fanno amplificatori di un biforcuto fronte di osservazione delle idiosincrasie di un’intera nazione: da una parte una rivoluzione silenziosa, fondata sulla condivisione delle proprie fortune e l’accoglienza concreta e astratta del disagiato, senza distinzione di sesso, età, provenienza; dall’altra, la cieca volontà di colpire il più debole con sproporzionata potenza di fuoco e la fascinazione per quella ristretta cerchia di influenti oligarchi del potere sociale rigorosamente maschi, bianchi e cristianamente discriminatori.

La narrazione infuria senza sosta, intrecciando molteplici piani in un disordine apparente che confluisce infine in un oliato meccanismo di elevata precisione, grazie a un montaggio d’immagine e musica che scandisce il tempo dilatandolo e comprimendolo senza perdere il passo, sfruttando la profondità di campo come strumento di privilegiata osservazione orizzontale, fisica e politica, del paese a stelle e strisce.

Il cinema di Anderson non è popolato da eroi ma da piccoli combattenti invisibili, i cui ideali non sono inculcati con la forza ma dedotti e reinterpretati; una nuova generazione, incarnata dalla giovane Willa - emblematicamente donna, emblematicamente biracial - portatrice di un pensiero capace di trascendere la miope visione bicromatica con cui i suoi predecessori - da entrambi gli schieramenti - hanno letto ogni aspetto della vita, a simboleggiare l’unico futuro possibile (e auspicabile) per l’America.

La speranza non deve allora risiedere solo in un vittorioso presente, quanto piuttosto nella capacità di consegnare ai posteri la possibilità di combattere ancora, con occhi diversi.

Una battaglia dopo l’altra.

 

 

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