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Una battaglia dopo l'altra

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

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La recensione su Una battaglia dopo l'altra

di diomede917
10 stelle

CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: UNA BATTAGLIA DOPO L’ALTRA

Com’è cambiata l’America Reaganiana raccontata e perculata da Thomas Pynchon nel suo Vineland? Ce lo racconta Paul Thomas Anderson che ispirandosi all’utopia di quel racconto lo destruttura e lo fa suo raccontandoci quell’America che ha votato per ben due volte e in due periodi storici differenti un presidente come Donald Trump.

Oltre ad essere un atto d’accusa e una fotografia fortemente graffiante e satirica dell’America d’oggi (che forse sarebbe piaciuta a Carver e Altman) è anche una critica feroce del concetto stesso e dei valori che si nascondono dietro la parola “RIVOLUZIONE”.

Siamo all’anno 0 di questo nuovo secolo, l’America è in preda a crack finanziari che vedono protagoniste le banche e iperattivi e più rivoluzionari che mai si muovono i membri del gruppo armato denominato “French 75”.

A capo abbiamo donne agguerrite e “Cazzute” ma non come Galatea Renzi della Grande Bellezza. La Perfidia Beverly Hills interpretata da Teyana Taylor non ha paura di niente, affronta tutto guardando dritto negli occhi sia l’obiettivo finale che il pericolo che ne consegue. L’adrenalina che viene sprigionata da quei raid bombaroli e violenti la trasforma in una bomba del sesso che deve copulare immediatamente nelle situazioni più a rischio e imbarazzanti. E poco importa se l’uomo di turno sia l’eroe perdente e romantico Pat che ha il volto imbolsito da questa vita sregolata di Leonardo Di Caprio oppure il Colonnello Steven J. Lockjaw interpretato dal pompatissimo Sean Penn (se quest’anno non gli danno l’Oscar giuro che mi incateno al Kodak Theatre) che eccita la nostra eroina col fascino del “Fascistone di mezz’età”.

In realtà dietro questa Rivoluzione (più idolatrata che realmente voluta e realizzata) si nasconde un ménage a trois fortemente viscerale dominato dagli istinti primordiali che sfocerà in una gravidanza non tanto desiderata, vista più come un impedimento verso il grande sogno rivoluzionario. Stupenda la citazione di Gomorra con Perfidia Beverly Hills che spara colpi a caso con questo pancione in evidenza al grido “Sono Tony Montana”, proprio come Ciro Petrone che urla “Sono il numero 1!!!!”.

La prima parte finisce con il tradimento degli ideali e la fuga dalle proprie responsabilità per poi trovarci 16 anni dopo con un’inattesa resa conti finale che vede protagonista l’adolescente Willa, allevata da un padre iperprotettivo e iper-formativo per quello che sarà il suo destino.

E da questo momento inizia il Leonardo Di Caprio show, novello Lebowski che vaga per questa America in vestaglia e occhiali neri alla ricerca della figlia presa in custodia dagli ex rivoluzionari delusi e traditi. Il cervello bruciato dalle droghe che non gli fa più ricordare parole d’ordine che avevano un senso solo quando la Rivoluzione era una bellissima utopia. E cultore di Gillo Pontecorvo e la sua Battaglia d’Algeri vero simbolo di quella ribellione che non c’è più.

Inseguito da uno Sean Penn che deve cancellare l’onta di un terribile segreto che potrebbe precludere il suo ingresso nel nuovo e più moderno Ku Klux Klan (Christmas Adventurers Club)

L’America di oggi è costellata da personaggi grotteschi fuori dalle righe tipo il Sensei Sergio St.Carlos (un iconico Benicio Del Toro vestito col suo inseparabile Kimono), l’istruttore di Judo di Willa e punto di riferimento di tutti i messicani illegali che entrano in negli Stati Uniti.

Un convento di suore che coltivano marijuana, killer glaciali ingaggiati per insabbiare tutto il torbido delle lobby neanche fossimo negli anni 70 dei Tre Giorni del Condor.

E in tutto questo contesto si impone quel grande regista che è Paul Thomas Anderson, da vedere la perfezione degli inseguimenti nelle montagne russe del deserto americano (una tensione che non si sentiva dai tempi di Duel di Spielberg).

E alla fine tutte le speranze per un futuro migliore sono riposte in quell’ American Girl di nome Charline e nella sua colonna sonora firmata Tom Petty che chiude il film e ci lascia con gli occhi sognanti a guardare i titoli di coda e renderci conto di quanto siano volati i 161 minuti di film.

Voto 10 (Questo è Cinema).

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