Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
One battle after another è un film con grandi intuizioni, girato da Dio, con un ritmo invidiabile che non fa pesare minimamente le sue quasi 3 ore, con grandi interpretazioni, e una certa coerenza con la filmografia del regista: il tema dei padri, dei figli, di un'America sterile e impazzita e tanto altro. Eppure manca qualcosa... O forse no...!
UNA BATTAGLIA DOPO L'ALTRA di Paul Thomas Anderson
ovvero
THE REVOLUTION WILL NOT BE VIRALISED
Green Acres, Beverly Hillbillies, and Hooterville Junction
Will no longer be so damned relevant
And women will not care if Dick finally got down with Jane
On "Search for Tomorrow" because black people
Will be in the street looking for a brighter day
The revolution will not be televised
Questo il codice che Di Caprio e gli ex compagni del gruppo terroristico French 75 continuano ad usare ancora dopo anni dagli arresti che ne hanno provocato la diaspora. Dispersi in giro per gli Stati Uniti, restano collegati come una rete invisibile pronta a riattivarsi all'occorrenza (e questa è una delle cose migliori del film, non so se idea di PTA o già presente nel romanzo Vineland di Thomas Pynchon da cui il film è tratto). Ma gli anni passano e non serve un codice per sopravvivere nella Società della Vigilanza (cit.): basta avere uno smartphone e ti troveranno. Non si può più sparire come nel passato...
Era dai tempi di Magnolia e di Ubriaco d'Amore che Paul Thomas Anderson non ambientava un suo film nel presente.
Quasi ne fosse allergico, proprio come l'irascibile e irriducibile protagonista del film nella sua quotidiana battaglia contro la contemporaneità (forse il titolo si riferisce proprio a questo...), che spesso produce momenti divertenti ai limiti del grottesco (come nel suo tentativo di far sparire le tracce, comunicando con vecchi cellulari e addirittura cercapersone e telefoni a gettoni).
A creare questa costante oscillazione tra action, furore politico e parodia quasi postmoderna, concorre sicuramente la versatilità e la follia di Leonardo di Caprio, la capacità di PTA di virare nel surreale la sua messa in scena vertiginosa, e il sempre preziosissimo e "brechtiano" contributo delle musiche di Jonny Greenwood, a metà strada tra quelle che realizzò per Il Petroliere e quelle del precedente alter-ego musicale Jon Brion, per "Ubriaco d'Amore").
Sono forse proprio i conti col presente, col mondo, col tempo che passa il vero fulcro di un film che rifiuta persino di accettare la sua stessa ambientazione: a guardare il prologo, infatti, sembra di trovarci negli anni 70, e non nel post crisi economica del 2008/2009. Pynchon partiva proprio dagli anni 70 per approdare all'era Reagan (1984). Perchè PTA sposta tutto al presente?
Forse perchè per PTA, e sarebbe un'intuizione geniale, tra il 2009 e gli anni 70 c'è meno distanza che tra il 2009 e i successivi 15 anni, che hanno visto esplodere e trionfare forse l'unica vera rivoluzione. Non quella dei French 75 ma quella dello smartphone e dei social.
E' lì che è cambiato tutto, antropologicamente parlando. E che la possibilità della fuga è (quasi) del tutto tramontata: siamo finiti in un panopticon dove tutti ci vedono.
Quale epoca migliore per sancire la fine della rivoluzione?
Una battaglia dopo l'altra (2025): Leonardo DiCaprio
Questo restare testardamente e goffamente fuori dal presente, in fuga non solo nello spazio ma anche dal tempo, è una cifra costante del film. Al punto che, se ci si distrae un attimo, i personaggi sembrerebbero dei reduci dagli anni 70. Sicuramente lo sono le musiche del film…
…torniamo così ai versi iniziali, tratti da The revolution will not be televised di Gil Scott-Heron, musicista, poeta, cantante degli anni 70, che ha saputo raccontarli come pochi con testi malinconici e arrabbiati e una musica tra jazz, soul, funky e persino proto-rap.
Oltre al suo brano, abbiamo poi American Girl di Tom Petty del 1976, che chiude in gloria il film, e Dirty Work degli Steely Dan che ci introduce invece al tempo presente e a Willa adolescente: a segnare la più clamorosa ellissi temporale del film (16 anni) c'è, paradossalmente ma non a caso, una gemma degli anni 70.
https://youtu.be/vwSRqaZGsPw?si=QhoQozSxSa64-I_6
Gil Scott-Heron l’ho scoperto anni fa guardando The Weather Underground, documentario sull'omonimo gruppo di estrema sinistra rivoluzionaria americano che, tra il 69 e il 77, è stato protagonista di attentati dinamitardi contro banche, istituzioni, attaccando il Sistema Americano e la guerra in Vietnam. Ispirato a un verso di Subterranean Homesick Blues di Bob Dylan, il gruppo ispirò a sua volta le storie di Vivere in fuga di Lumet e La regola del silenzio di Redford (altro simbolo resistente dell'epoca), e Pastorale Americana di Roth.
E probabilmente anche Pynchon.
A un certo punto, in quel documentario arriva la splendida Winter in America di Scott-Heron.
Ecco, forse quel brano e soprattutto il suo spirito così malinconico e desolato è il vero tassello mancante per rendere il film di PTA un vero capolavoro.
One battle after another è un film con grandi intuizioni (come lo shift temporale rispetto al romanzo di Pynchon), girato da Dio (non solo nel suo aspetto vorticoso ma anche in alcune finezze ed ellissi di montaggio), con un ritmo invidiabile che non fa pesare minimamente le sue quasi 3 ore.
Con grandi interpretazioni (dal “veterano” Di Caprio alla giovanissima magnifica "figlia" Chase Infiniti) e una certa coerenza con la filmografia del regista: il tema dei padri, dei figli, di un'America sterile e impazzita e tanto altro.
Eppure manca qualcosa...
Una battaglia dopo l'altra (2025): Teyana Taylor, Leonardo DiCaprio
...un po' come in quei rivoluzionari che masticano amaro, con la sensazione di non aver fatto veramente ciò che volevano, alzando solo un gran polverone, un'entropia impazzita e incendiaria (come lo è tutto il film) che però rischia di non lasciare niente.
Servirebbe un po' di introspezione, di memoria, di nostalgia, di riflessione. Di tragicità.
Servirebbe sentirlo questo tempo che passa, queste illusioni e delusioni, questo Winter in America.
https://www.youtube.com/watch?v=vwSRqaZGsPw
Forse PTA è diventato, negli anni, un magnifico collezionista di spunti, situazioni e maschere che sfiorano la caricatura (come il Daniel Day Lewis ghignante del Petroliere, il Penn ma anche il Di Caprio di questo film, il Phoenix di Vizio di Forma, che è tutto una caricatura, e per me il suo film meno riuscito).
Forse ha perso lo spessore emotivo, senza però sostituirlo almeno con una visione geometrica, lucida e kubrickiana (come sembra avere il Petroliere, ma il sospetto di manierismo già campeggiava in quel pur grandissimo film).
All'apparenza, almeno per me, Una battaglia dopo l'altra resta un film a metà. Un film in bilico tra fallimento e redenzione.
PTA fotografa credo meglio di chiunque la tragedia degli uomini ridicoli di fine e inizio millennio, mai pienamente tragici né totalmente realizzati. E un po' lo è anche lui, in bilico tra il postmoderno di Vizio di Forma e gli slanci vitali, ingenui, coraggiosi, dei suoi primi film.
Il dubbio che ci insegue lungo tutto il film è se questi reduci della vita e della società possano ancora dire qualcosa e superare questa paralisi (un po' il dubbio che ho su PTA guardando questo pur godibilissimo film: molto rumore per cosa?).
Eppure PTA, a un certo punto del film, si ricorda per fortuna di essere anche quello che fa saltare gli schemi e esplodere il romanticismo in Ubriaco d'Amore. E che ha il coraggio di far cantare a tutti i personaggi di Magnolia una canzone a metà film, comunicando in modo così diretto e ingenuo un altrettanto ingenua presa di coscienza collettiva, tipica di quegli anni in fondo ottimisti e clintoniani, malgrado i presagi del nuovo millennio si avvicinassero come nubi cupe ed inquietanti.
Una fiducia nei personaggi e in un cinema un tempo attento al cuore che sembrava aver ritrovato nel suo penultimo (e per me sorprendente) Licorice Pizza.
Magari in questo nuovo film non piovono rane ma, nel finale, qualche goccia di rivoluzione (e di sangue rivoluzionario) scorre ancora, tra le nuove generazioni e in questi padri sterili e adulti sconfitti che sembrano (finalmente) redenti.
Una battaglia dopo l'altra (2025): Chase Infiniti
Ma non è un generico volemose bene intergenerazionale. Anzi, in alcuni brevi momenti o dialoghi scorgiamo tutta la distanza di PTA (attraverso lo sguardo disincantato, disadattato e quasi infastidito di Di Caprio) verso le istanze "woke" delle nuove generazioni (e uno di loro si rende persino complice della svolta negativa della trama) quasi a sottolineare che le battaglie sono altre e devono farle altri. Come Del Toro e i suoi, un collettivo trasversale di giovani (bellissima la ripresa della scorta dei ragazzi in skate, di notte, come fossero dei ninja) e adulti poveri e immigrati: è da loro che può ripartire la rivoluzione.
E da chi si ritrova a perdere catarticamente tutto in un’assolata strada nel deserto.
E allora forse questo non è un film su dei rivoluzionari falliti.
Ma il pretesto per raccontarci la nascita di una nuova speranza, un po' a la Star Wars: quell’American Girl nella quale riporre fiducia nel futuro e in una vera rivoluzione
Una battaglia dopo l'altra (2025): Leonardo DiCaprio
E per farla, la Rivoluzione, si deve restare invisibili agli occhi del mondo e agire underground (come i già citati “Weather”): in fondo ne succedono di cose in questo film, ma il mondo sembra quasi non accorgersene: nascite, morti, sesso, decisioni, tradimenti, accadono tutti e sempre dietro le quinte, sottoterra, negli anfratti, nei doppifondi e dietro alle pareti, nei deserti e nei conventi. Un film pieno zeppo di ellissi e fuori campo che negano allo sguardo la verità e le gesta che cambiano (o tutelano) lo status quo.
Qualcun altro, al posto di PTA, ci avrebbe costruito uno splendido racconto di caos, clamore e fanatismo mediatico: quale epoca migliore di questa per trasformare questa storia in un fenomeno social?
Anderson invece lo ambienta oggi forse proprio per criticare la nostra epoca: la rivoluzione non può partire dall'inevitabilità della viralità social, che PTA fa del tutto sparire dal film.
Se 50 anni fa Gil Scott-Heron cantava “la rivoluzione non passerà per la TV”, oggi non potrà certo passare per i nostri dispositivi digitali, i nostri like, i nostri asfittici dibattiti, mere valvole di sfogo che sublimano ogni istinto e atto rivoluzionario.
Contemporaneità vs rivoluzione, social vs socialismo, visibilità vs giustizia, viralità vs verità: tutte cose opposte e incompatibili tra di loro, sembra dirci PTA.
E allora, pur zoppicando e mancandogli o perdendo pezzi, questo potrebbe rivelarsi, tra qualche anno, un film-chiave.
E non solo nella filmografia di Paul Thomas Anderson
Revolution will not be viralized
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