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Oh, Canada - I tradimenti

Regia di Paul Schrader vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Oh, Canada - I tradimenti

di IlCinefilorosso
9 stelle

A poche settimane dalla conclusione del 2024, ci troviamo già di fronte al primo grande capolavoro del 2025: Oh Canada, adattamento del romanzo "Forgone" di Russell Banks (scomparso nel 2023 e amico di Paul Schrader). La pellicola narra la storia di Leonard Fife, un malato terminale interpretato con straordinaria intensità da Richard Gere, in quella che potrebbe essere considerata la più grande prova della sua carriera. Nei suoi ultimi istanti di vita, Fife racconta la propria esistenza.

 

Fife è uno scrittore e regista, la cui carriera è stata contrassegnata da documentari provocatori che si contraddistinguevano per un'onestà rigorosa, talvolta dolorosa. Mentre si confronta con la morte, è assistito da un documentarista più giovane, Malcolm (Michael Imperioli), suo ex studente.

 

Il dispositivo di intervista concepito da Fife stesso è composto da un sistema di specchi e un teleprompter, progettato per facilitare un contatto visivo diretto tra l'intervistato e l'intervistatore, creando così un rapporto più intimo e personale con il pubblico.

 

La sua intenzione è smontare l'immagine mitica e romantica che nel tempo è stata edificata attorno alla sua figura. Egli desidera rivelare la sua vera identità, sfidando la percezione di essere un autore coerente e impegnato politicamente, con l'intento di fare un ultimo dono alla moglie Emma (Uma Thurman), una figura centrale nella sua vita e nella sua carriera.

 

Durante l'intervista, Fife richiede sistematicamente la presenza di Emma, considerandola l'unica testimone realmente significativa delle sue intime confessioni.

 

Oh Canada è un'opera in cui Paul Schrader riflette sull'interazione tra arte, realtà, memoria, verità e mortalità. Un dramma profondo che si confronta con l'ultima confessione di un celebre documentarista. La mente di Leonard è costellata di immagini confusamente sovrapposte del suo passato, influenzate dai film e dalle storie che circondano la sua figura mitizzata di regista.

 

L'esplorazione condotta da Schrader sulle azioni, il lavoro e i ricordi del personaggio si trasforma in una raffinata indagine sulla possibilità di separare l'arte dall'artista, e sulla correttezza di tale distinzione. La verità di Leonard appare ben meno romantica rispetto a quanto si fosse creduto, rivelandosi come un uomo sfuggito a matrimonio, paternità e ad altre responsabilità, motivato da impulsi discutibili.

 

Negli episodi che rievocano il passato di Leonard, Schrader alterna le interpretazioni di Jacob Elordi, che interpreta la sua versione giovanile, e di Gere, suggerendo l'idea che il Leonard attuale stia sovrapponendo il suo sé più anziano a quello più giovane (i due attori non presentano somiglianze evidenti, lasciando intendere il desiderio di Fife di apparire più alto e muscoloso).

 

Oh Canada offre una complessa tessitura di elementi narrativi, tra cui la voce narrante di Leonard anziano, il racconto del figlio adulto Cornel, e una vasta gamma di fonti visive, ciascuna presentata con una distintiva esecuzione formale. Schrader compone i ricordi in filmati widescreen in bianco e nero, alcune scene del presente in formato academy e episodi del passato in un formato 2:35:1 a colori.

 

Il modo in cui tali sequenze vengono presentate non segue tuttavia una logica formale rigorosa, a differenza della precedente trilogia composta da First Reformed, Il collezionista di carte e Il maestro giardiniere, creando in tal modo un'accattivante ambiguità nell'uso di flashback oggettivi, narrazioni alterate e impianti estetici.

 

Dove risiede la verità? Ma soprattutto, è possibile trovarla? Esiste davvero? L'impossibilità di giungere a una soluzione emerge come il nodo cruciale del film. Fife, richiamando la psicoanalisi freudiana, suggerisce che la verità si svela attraverso l'interazione con l'altro, piuttosto che tramite una mera affermazione. Il senso stesso della vita è generato dall'ascolto della parola e nello sguardo dell'altro.

 

In questo contesto, l'altro non è soltanto la moglie di Fife, né il personaggio di Malcolm, ma anche il dispositivo di ripresa che filtra la confessione di Fife, costruita su un groviglio di immagini e ricordi che, talvolta, si muovono fluidamente, altre volte, grazie a ingegnosi espedienti di montaggio, generano fratture nel racconto. In entrambi i casi, lo spettatore diviene un testimone di questo profondo scavo interiore, che procede con un ritmo che riflette la mente del protagonista, oscillando tra attimi di apparente lucidità e momenti di intensa confusione, un viaggio nella memoria disturbato dalla malattia, dai farmaci e dai vuoti.

 

Il film si configura, principalmente, come uno dei saggi sul dispositivo cinematografico più belli e commoventi degli ultimi anni: esplora la sua forza affabulatoria e ingannatrice, la sua persuasività e la sua capacità di generare immaginari (la mente di Fife, legandosi alle varie traduzioni visive del dispositivo, ne produce diversi).

 

Citando Paolo Bertetto, il cinema, anche nelle sue espressioni più realistiche, è sempre una macchina, illusione, tecnica, immaginario. Non si deve considerare come una finestra sul mondo o come un'arte realistica; è piuttosto una macchina complessa che genera immagini, senso, emozioni e relazioni. Tutti questi elementi, in qualche modo, devono essere indagati, trovati e scoperti, poiché sono celati. La dissimulazione cinematografica ci invita a chiederci perché, di fronte a certe inquadrature, proviamo specifiche sensazioni, spingendoci a guardare dentro noi stessi e a oltrepassare ciò che crediamo di vedere e sapere.

 

Il nuovo film di Schrader diviene così uno specchio delle stesse esistenze di rinunce e contraddizioni del suo protagonista, alimentando il dibattito tra teoria e realtà. Perché la magia del cinema non risiede solo nella sua abilità di catturare immagini evidenti, ma nella capacità di evocare empatia e intuizione umana.

Schrader ci ricorda che sono le sfumature dell'umanità, non la tecnologia, a conferire significato. Il film emerge pertanto come un riflesso sia tenero che spietato dell'invecchiamento e della mortalità, dei rimpianti e dell'eterna necessità umana di amore e libertà.

 

Jean-Luc Godard sosteneva che il cinema fosse "verità 24 fotogrammi al secondo", enfatizzando il potere del medium di catturare e rivelare la realtà attraverso la propria e unica forma espressiva. Attraverso il movimento e il montaggio delle immagini, il cinema può rappresentare la verità in modi distintivi rispetto ad altre forme d'arte. Ogni fotogramma contribuisce a una narrazione visiva in grado di esplorare la condizione umana, le emozioni e le interazioni sociali.

 

Schrader sembra riconoscere questo presupposto, giocando con esso e sovvertendolo con straordinaria maestria, raggiungendo una grazia espressiva davvero straordinaria.

 

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