Regia di Charlie McDowell vedi scheda film
"Caro Dio, scusa se ti ho disturbato" - Sophia.
Non è facile scrivere di questo film: se uno volesse iniziare illustrandone la trama, la trama non si sa bene dove stia; oppure, telegrafando: “Nonna, figlio vedovo e nipotina vanno nella casa di vacanza in un bel posto della Finlandia per trascorrere l’estate – Stop”.
Quel che succede in questa vacanza idem: non succede praticamente nulla. Giusto un gatto che arriva in scena teatralmente, una tempesta improvvisa nel sottofinale, e poi praticamente basta.
Immagino che il senso del lavoro di Charlie McDowell si debba ricercare nell’unica cosa che da corpo e senso al film: la relazione “mentore/discepola – nonna/nipote”.
Tra tutte le cose che non succedono, infatti, il dialogo tra le due è praticamente costante e interrotto solo da qualche battuta inutile del papà, la comparsa in scena di un vecchio marinaio al quale si cerca di attribuire un’aurea misteriosa e mistica (una pista che peraltro si perde totalmente, così come si perdono le tracce del gatto al quale – poverino! – si poteva trovare anche un angolo con un po’ più di luce), e la partecipazione grossolana di una famigliola gentile che si piazza per le vacanze (dieci minuti nel film) non troppo lontano da loro.
Dunque è tutto sulle spalle delle due.
E qui la stesura di un commento, non volendo essere cattivi (come si fa ad essere cattivi davanti a tanta sdolcinatezza?), si fa doppiamente difficile, perché se da un lato la vocina lagnosa e strascicata di Sophia (Emily Matthews), incorniciata nel suo visino pallido, abulico e annoiato, spara a raffica domande su domande con un entusiasmo che ben si adatterebbe ad una veglia quaresimale, dall’altra parte trova quel mostro sacro di Glenn Close, alla quale un trucco/parrucco da nativa americana/figlia-dei-fiori-con-l’Alzheimer e l’attribuzione nel parlare di un ruvido accento anglofono di derivazione nordica che ne rallenta allo spasimo la pronuncia, finiscono per farla somigliare ad una Alexia o a un Gemini che risponde in automatico avendo la batteria scarica, e per darle così la patente di “insopportabile”.
E una Glenn Close insopportabile è davvero una novità, ma tant’è.
La retorica in questo “The Summer Book” è la vera protagonista. Insieme a lei quel buonismo/bellismo per cui quando uno si stende su un prato ci sono solo le farfalle e mai una processionaria, i pesci del mare e le stelle del cielo non si possono contare perché già lo fa Dio, la mamma che era tanto buona è morta ma la nonna ha sempre ragione, e il babbo che è buono anche lui serve solo a far da riempitivo. Il finale poi, annunciato fin dall'inizio e dunque impossibile da spoilerare, mette sulla torta la sua bella ciliegina.
Film proprio brutto. Glenn Close non ha bisogno di avvocati, ma tutti gli altri temo di sì.
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