Regia di Michele Placido vedi scheda film
È il 1934 quando Luigi Pirandello (Bentivoglio, una garanzia) viene insignito del premio Nobel per la letteratura. Durante il viaggio in treno che lo accompagna verso Stoccolma, il grande drammaturgo siciliano ripensa ai momenti topici della sua carriera e, soprattutto, della sua vita privata: il rapporto difficilissimo con la moglie Antonietta (Bruni Tedeschi, sublime, il vero valore aggiunto del film), quello ondivago con i tre figli e l'amore impossibile per Marta Abba (Vincenti), l'attrice di diversi anni più giovane che fu anche musa di molte delle sue opere più note, da Sei personaggi in cerca d'autore a Nostra dea.
Alla galleria di personaggi illustri (il Giorgio Ambrosoli di Un eroe borghese, la coppia Sibilla Aleramo/Dino Campana di Un viaggio chiamato amore, gli antieroi della banda della Magliana di Romanzo criminale e poi Vallanzasca e Caravaggio), Michele Placido aggiunge anche la figura di Luigi Pirandello. Quello di Placido si conferma un cinema carnale e popolare, che va al sodo senza cercare orpelli e a volte concedendosi qualche approssimazione nella messa in scena e nella direzione degli attori. È quanto accade anche in Eterno visionario, che restituisce un ritratto tormentato di Pirandello in epoche diverse della sua vita, con un andirivieni temporale di cui è difficile capire la ragione e che si traduce in un apologo sulla vecchiaia, sublimata attraverso la compulsiva necessità dello scrivere.
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