Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Ottanta minuti a colloquio con lo stilista Yamamoto, giapponese che però si ritiene, piuttosto, cittadino di Tokyo, metropoli senz'anima e senza nazionalità. Yamamoto, figlio di una sarta con un'autentica venerazione per la figura materna, si ritiene un artigiano al servizio della donna; ha studiato moda a Parigi e predilige la figura occidentale, sulla quale imposta i suoi modelli, per poi cambiarne le misure - scopriamo - quando li immette nel mercato giapponese. Nel 1989 in cui il documentario è stato girato, Yamamoto era il leader sul panorama nipponico della moda; di lui colpiscono l'interpretazione quasi fatalistica del suo mestiere, come se la creazione di abiti fosse un dono ricevuto alla nascita al quale non avrebbe potuto in alcun modo sottrarsi (il che non è sempre sinonimo di modestia, a dirla tutta) e questo curioso smarcarsi da una cultura fortemente autarchica e autoreferenziale come quella, in generale, orientale. Wenders passa in secondo piano, limitandosi a intervistare il suo ospite; di tanto in tanto approfitta comunque per proporre deduzioni personali e, affiorando in questi momenti il regista in primo piano, accompagna le sue riflessioni su ciò che vede con una 'metavisione', inquadrando cioè uno schermo su cui passano le immagini di Yamamoto intervistato (giochetto masturbatorio fine a sè stesso, ma quantomeno con una logica). Come lavoro 'distensivo' fra Il cielo sopra Berlino (1987) e Fino alla fine del mondo (1991), non ci si può certo lamentare. 6/10.
Il regista Wenders incontra a Tokyo lo stilista Yamamoto. E' un lungo dialogo sul ruolo odierno della moda, sulla permanenza in tale difficile mondo, sull'importanza dell'autore, dell'essere umano nel processo di creazione dello stilista.
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