Regia di María Alche, Benjamín Naishtat vedi scheda film
Intelligente. Divertente. Critico il giusto (quindi molto) rispetto all’autoritarismo capitalistico in cui viviamo. Problema grave di cui l’Argentina, qui rappresentata, è purtroppo una delle maggiori rappresentazioni, sul globo terracqueo.
Se le politiche, impoverenti fino alla disumanizzazione, richieste dalle élite capitaliste – per colpa del Fondo Monetario Internazionale, ai tempi in particolare di Menem - hanno avuto un impatto enorme, come in tante altre decine di paesi nel mondo – in particolare quelli poveri – ecco che l’Argentina è un caso da manuale, col codazzo di terribili autoritarismi: oltre al noto Videla, le movenze dell’attuale Milei non stupiscono, nella loro antidemocraticità. Ma è l’insoddisfazione verso le politiche neoliberiste che poi alimenta il populismo, come è noto.
Tutto ciò è sullo sfondo di questo bel film, recitato da attori di origine spesso italiana, - il che alimenta l’interesse per questa pellicola come per il mondo argentino generale (e rattrista la scarsa distribuzione che tale film ha avuto da noi; anche se tale oscuramento si comprende per via della sua intelligente critica sociale, che – proprio per la sua competenza accademica nell’interesse pubblico – deve essere oscurata dalle minoranze agiate che sono al potere nel mondo, che hanno interesse ad oscurare la legittima critica sociale), incentrato proprio sulla docenza universitaria di filosofia politica: la lotta politica, mostrata dal film, per i diritti delle popolazioni passa dai quartieri di Buenos Aires come dalle periferie del mondo – sulle Ande boliviane – come dalla legittima protesta di minoranze colte di una metropoli della globalizzazione, come la capitale argentina.
Splendidamente reso – dalla sceneggiatura, scritta dai medesimi registi (Alche e Naistadt) come dagli attori Sbaragli e Subiotto – è il duetto tra i contendenti: gustoso, intenso, accompagnato da un corredo, realistico quanto intelligente e sottilmente ironico, offerto da tutti gli altri protagonisti, spesso ricercatori universitari (offrendo così uno spaccato non così consueto su questa parte della società, tanto minoritaria/elitaria quanto vitale per il benessere comune).
Si vede il professore piacione, opportunista, laido; come anche quello eccessivamente umile, trasandato. Il finale concilia tutto: nell’importanza ineludibile della serietà nella richiesta del bene pubblico, che non dovrebbe piegarsi mai. E pure nella intelligente apertura dello squallido, ma intelligente, vincitore, al perdente, non meno intelligente e valido, ma non per questo (e altro) perfetto – anzi.
Una pellicola nient’affatto commerciale; e acuta. Come, purtroppo, se ne vedono poche: il che, come detto, non è affatto casuale.
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