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The Brutalist

Regia di Brady Corbet vedi scheda film

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La recensione su The Brutalist

di Peppe Comune
8 stelle

László Toth (Adrien Brody) è un ebreo ungherese scampato al campo nazista di Buchenwald. Nel 1047 riesce ad emigrare negli Stati Uniti, dove viene ospitato dal cugino Attila Molnar (Alessandro Nivola) immigrato prima della guerra e perfettamente integrato nella “terra delle opportunità”. László Toth è un architetto di talento, formatosi alla scuola della Bauhaus, le sue opere compaiono in importanti riviste di settore. Ma nel “nuovo mondo” fa difficoltà ad integrarsi, la tragedia che ha vissuto gli si è impressa nella carne e per lenire le sue pene scivola gradualmente nel vizio della droga e della prostituzione. Qualcosa cambia quando conosce Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce), un potente uomo d’affari che accortasi del suo straordinario talento gli chiede di costruire nella sua tenuta a Doylestown un centro ricreativo polifunzionale da intitolare alla madre appena defunta. László Toth si trasferisce direttamente nella villa dei Van Buren e si mette al lavoro, concependo un'opera monumentale con cemento a vista secondo l’emergente estetica del Brutalismo. Intanto arriva negli Stati Uniti anche Erzsébet Tóth (Felicity Jones), la moglie di László, costretta sulla sedia a rotelle a causa dell’osteoporosi. Le cose sembrano andar bene per i coniugi, ma dietro la superficie accattivante pulsa un sistema di valori che non cessa di farli sentire come delle persone di second’ordine. Un mondo retto sulla brutale legge del più forte, che anche quando ti aiuta sta decidendo per te del tuo destino. 

 

Adrien Brody

The Brutalist (2024): Adrien Brody

 

Al pari di film come “Il Petroliere di Paul Thomas Anderson e di “Killers of the Flowers Moon” di Martin Scorsese (giusto per fare almeno un paio di esempi)“The Brutalist sa farsi affresco storico capace di cogliere i germi identitari di un paese ben al di là dei limiti spazio-temporali in cui si fanno muovere i rapporti di relazione tra i personaggiAllo stesso tempo, alla maniera di strutture narrative rinvenibili nella grande letteratura, il film di Brady Corbet vive del respiro ampio della storia, che con la sua naturale attitudine a scorrere imperterrita sopra e dentro i destini dell'umanità dà voce a personaggi emblematici fortemente tipizzati. 

E l'architetto László Toth è appunto un personaggio di questo tipoIn primo luogo, perché rappresenta l'uomo sopravvissuto ad una tragedia immane come lOlocausto che cerca nel mondo nuovo la possibilità di riscattarsi dalle umiliazioni subiteIn secondo luogo, perché incarna il talento creativo che si adopera per sublimare nell'arte il male di cui e stato testimone oculare per giungere a quell'idea di bellezza a cui si aspiraIntanto, intorno alla sua imponente figura di architetto di talento, la cui opera attraversa il tempo e lo spazio per sottrarre dai tentacoli dell’oblio la memoria dell’olocaustoBrady Corbet racconta una parabola esistenziale che ha il suo tratto “poetico” essenziale nell’equilibrio tra forma e sostanza, tra ciò che vive rimanendo legato alle forme dell' apparire e ciò che chiede anche di essereEquilibrio che proprio nell’architettura trova il suo habitat naturale, nel suo essere un'arte che nell'organizzazione degli spazi pensa al modo di conservarne nel tempo l’identica funzionalità. 

Il titolo fa chiaramente riferimento al movimento architettonico sviluppatosi in Inghilterra a partire dagli inizi degli anni cinquanta del novecento, ma a mio avviso questo legame non si evidenzia solo nello stile architettonico di László Toth, un architetto cresciuto nella scuola della Bauhaus che del Brutalismo ha sposato l'idea che occorre guardare alle esigenze funzionali che ogni materiale può avere nella realizzazione e fruizione di un’opera, ma anche (se non soprattutto) nella sua complessa personalità, nel fatto di essere un sopravvissuto dei campi di sterminio e di voler trovare nella realizzazione della sua opera un modo per far riposare le sue pene interioriLe due cose convivono insieme e insieme contribuiscono a fare la cifra stilistica e poetica del film, e se da un lato ammiriamo l'architetto che attraverso la brutalità del suo talento proprio il caso di dirlo) cerca di dare forza espressiva ad opere che devono farsi anche monumenti per la memoria (“I miei edifici li ho concepiti per resistere all’erosione del Danubio, dice emblematicamente László), dall'altro lato osserviamo l'uomo schiavo dei suoi vizi e delle sue paure che cerca di trovare il suo posto in un mondo che fa ancora fatica ad accettare esuli come lui. 

È quanto basta per fare di “The Brutalist un film in cui passato, presente e futuro convivono nel vissuto dartista dell’architetto, un film materico e riflessivo insieme, che si esprimetanto nella vigorosa ruvidezza del cemento a vist(estetica appunto tipica del Brutalismo)quanto nei silenzi che denunciano il male di vivereUn film moderno come il suo protagonista quindi (un superbo Adrien Brody), capace di incarnare la tensione morale propria di chi si mette a riflettere sulla condizione umana in quanto tale, di ogni tempo e luogo rispetto al male che gli uomini sanno sempre scambiarsi a vicenda e in relazione all’intima natura del capitalismo. 

László Toth ha vissuto in prima persona la tragedia dell'olocausto. Lui è stato uno dei milioni di ebrei a cui è stato imposto di guardare in faccia l'orrore. E quell'orrore lo ha segnato al punto da volerlo disinnescare con dosi massicce di ingegno creativo, per farne un tramite tra le sue idee di arte e un monito imperituro da consegnare ai posteri contro quel razionalismo che tanta fiducia ha riposto nel genere umano è a favore della causa della memoria.  

László fa opere che colpiscono al primo impatto per la loro sfacciata temerarietà, opere funzionali allo scopo per cui sono state concepite e pretenziose nella loro ostentata maestositàMa gli altri le vedono soltanto, mentre l'architetto chiede soprattutto di guardarle, di andare oltre la superficie visibile, scendere più in profondità per scorgere il significato delle forme, il senso delle simmetrie, l'allineamento delle prospettive che per conto del tempo e dello spazio consentono alla luce di penetrare nel cuore pulsante della sua arte. L’opera di László Toth vuole farsi attraversare dal senso pieno della modernità. 

La centralità tra forma e sostanza a cui già si è fatto riferimento non vive solo nell'architettura di László Toth che chiaramente percorre il film, ma anche nella sua struttura narrativanelle relazioni sociali, nei rapporti tra le persone, nell'idea di futuro per il mondoRagion per cui la parola “brutalismo non è più solo un sostantivo che connota un movimento artistico, ma anche un aggettivo che caratterizza un intero mondo.  

Brutale e la doppia morale che alligna nel disegno sociale, quella solitamente praticata da chi, trovandosi in una evidente posizione di potere, ostenta generosità e filantropia ben sapendo che può negarle in ogni momento allorquando il beneficiato di turno smette di accondiscenderlo e si mette a contestarloLászló e la moglie sono sopravvissuti alla ferocia nazista, ma poi fanno i conti con la brutalità di un mondo che non cessa di farli sentire come sottoposti ad una sorta di tolleranza interessata, accettati piuttosto che rispettati, compatiti piuttosto che capitiDegli ebrei inferiori perché ungheresi e non americani. Loro subiscono una violenza che è fisica e morale insiemeindotti a dissimulare i loro sentimenti reali per dare almeno uno sfogo vitale alle loro intelligenze. 

Brutale è lo stupro che si fa alla carne approfittando della posizione di debolezza della vittima. C’è una scena molto forte ed emblematica in tal sensoErzsébet Tóth raggiunge la famiglia Van Buren mentre è a cena con altri influenti personaggi della società statunitense. Con tono fermo e rigoroso si rivolge ad Harrison Lee Van Buren per chiedergli di confessare la violenza che ha perpetrato contro suo marito mentre insieme stavano a Carrara per selezionare il marmo da utilizzare per il monumento a Doylestown. In quel caso, la brutalità si veste di impunità.  

Brutale è il capitalismo che divora le coscienze pretendendo un surplus di profitto sempre e comunque. Harrison Lee Van Buren (altro personaggio emblematico) e il magnate che chiede sempre con gentilezza tutto ciò che già sa di poter ottenere in ogni casoGentilezza che serve a esteriorizzare la propria rispettabilità sociale, quella che deve tenere ben distinto il limite tra i vizi privati e le pubbliche virtù. 

Brutali sono il paternalismo daccatto con cui gli americani trattano "le storie tragiche” degli immigrati, le promesse di integrazione fatte passare come una gentile concessione, i ricchi che non capiscono l'arte ma se la possono comprarela normalità con cui si finisce per adeguarsi alla volontà dei più forti. 

Brutale è un mondo che ha bisogno di erigere monumenti per ricordarci che alla memoria dell'orrore ci deve sempre riguardare. 

“The Brutalist” è un film abbastanza carico da un punto di vista narrativo, dall’ampio respiro come si è detto all’inizio. E credo che a renderlo importante sia soprattutto la sua capacità a indurre a riflettere sulla condizione umana nel suo complesso. Ecco, si entra nel cuore pulsante del capitalismo per riflettere sull’essere che sta affogando nell’apparire.     

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