Regia di Stanley Kramer vedi scheda film
Durante gli anni Sessanta del secolo scorso, il movimento nordamericano per i diritti civili si radicalizzò sempre di più, in parte a causa della guerra del Vietnam in corso. Pur tra vari didascalismi(ma nemmeno poi troppo) e cose obiettivamente ormai datate, questa opera del libertario per eccellenza dei maestri hollywoodiani Stanley Kramer è un documento del tempo notevole, dai dialoghi e e dalle battute che oggi sarebbe ben difficile scrivere per il cinema. Il movimento era costituito da una coalizione variegata, che includeva hippy, studenti, neri e femministe, Kramer lo rende finalmente bene con ottime scelte dialettiche e dialogiche grazie alla sceneggiatura e ai dialoghi di Erich Segal qui al suo meglio, e un esperto perchè lui stesso proveniente, dell'ambiente di servi e padroni delle cattedre universitarie. In questo clima sociale di mutevoli valori morali, piccoli gruppi di studenti iniziavano proprio allora a ribellarsi ai consigli di amministrazione delle loro università. Questo film come pochi altri, metteva alla prova i propri limiti sociali. Per loro, un incendio in cucina era motivo di scherno. Le loro azioni ebbero un forte impatto sulla società e diedero vita a diverse versioni cinematografiche. "R.P.M.- Revolution per Minute" è tra le prime fra queste. Io personalmente al netto di come spesso possano risultare inopportabili presi singolarmente in particolare gli studenti contestatori, magari in larga manica classici figli di papà viziati e senza problemi come da immortale definizione, pronti per entrare in banca poi di lì a pochi anni, mi affascinano da sempre i reportage cinematografici ben fatti sulle rivolte e soprattutto quando sono ben delineati in pochi tratti come qui, alcuni tratti caratteristici psicologici e comportamentali degli appartenenti ai "nuovi centurioni" delle forze dell'ordine, perché mostrano bene anche per l'oggi come la resistenza sociale possa intensificarsi. "R.P.M." riesce a chiarire gli aspetti cruciali degli eventi. Anche qui la personalità di Anthony Quinn contribuisce davvero a dare credibilità della storia. È un professore di sociologia di origine ispanica, immigrato dai bassifondi dei chicanos di New York e tra i primi a riuscire ad avere accesso agli studi e di laurearsi, Perez, le cui lezioni e libri, saggi, hanno ispirato per anni gli studenti alla ribellione. Nel tempo libero guida e a volte in stato di ebbrezza la sua bella moto Triumph Bonneville. Preferisce cocktail di succo di carota e whisky, perché riesce a vedere così a chilometri di distanza (scherzando). La sua risaputa situazione personale in un campus con ovviamente presenti anche tantissime studentesse nel fiore degli anni e quindi tope più che lussuriosamente sbocciate, è pure chiacchierata e invidiatissima dato che ha un "materasso personale" a disposizione e cuoca, come la strafiga studentessa dei suoi corsi di sociologia Ann Margret, sempre a mostrare le sue famose gambe, e a girare senza mutande e reggiseno per casa sotto eccitantissime giacche maschili, maglie dei giocatori di football, e sfiziosissimi maglioni semitrasparenti in maglina lavorata a pizzo. Poichè Perez è anche eletto rettore dell'università per cercare il dialogo con gli studenti occupanti il dipartimento di ricerca informatica, dove vi sono oltretutto costossimi calcolatori a bobine del tempo, sperimentali, e che per dimensioni occupavano per dimensioni stanze intere, entra in gioco la preservazione da parte delle forze dell'ordine e della repressione, della proprietà privata dell'istituzione universitaria, marcia come tutte le altre se non di più, e viene pure detto varie vlte. Gli studenti protestatari e massimalisti, tra cui una componente di studenti neri con a leader il grande Paul Winfield, hanno occupato l'edificio principale dell'università e si rifiutano di andarsene. In diverse scene Perez negozia e si agita in diverse discussioni perigliose sull'impossibilità intrinseca di vincere il sistema universitario dominante oltre ad un certo punto di concessioni, ben rese dall'eccellente adattamento italiano del 1970, detto questo, gli offre concessioni significative. Tuttavia, proprio come negli altri film (e nella realtà), gli studenti guidati dall'estremamete radicalizzato Gary Lockwood/Rossiter appena dopo "2001", non sanno quando fermarsi e non vogliono pure. Lockwood vuole demolire l'intero sistema universitario. Definisce aggressione qualsiasi violenza a cui non partecipa. Crede che il consiglio di classe dei professori spesso parrucconi inamovibili e ormai inutilizzabili da oltre vent'anni, disprezzi gli studenti, ma si trova egli stesso sull'orlo del baratro. Presto Perez è disgustato dal comportamento immaturo e violento dei ribelli. Sostiene le riforme, ma non la rivoluzione. Così alla fine si sente costretto a far espellere gli studenti ribelli dalla polizia antisommossa. Gli studenti gridano: "Vi paghiamo lo stipendio, sapete", ma gli agenti non ne sono impressionati. È una situazione di perdita-perdita. Sebbene Perez abbia agito in buona fede, la sua decisione lo ha reso anche il simbolo della violenza istituzionale. Il dilemma etico di questo film è reso in maniera molto adulta e poco generalista, oltre che senza il falso senso di semplificazione e paternalismo presente nei film americani degli studios(qui la Columbia Pictures) prima dell'avvento della "Nuova Hollywood" -di cui questo film è pienamente un suo esponente, nonostante Kramer per ragioni anagrafiche e di altro non ne facesse pienamente parte-, così come dei suoi compagni cinematografici tra gli esempi più perfetti ambientati in contesto universitario, "Fragole e sangue"(Strawberry Statement)(Usa 1970)di Stuart Hagmann, e "L'Impossibilità di essere normale"(Getting Straight)(1970) di Richard Rush.
Da antologia la sequenza dei degenerati in violenze, scontri tra studenti e la polizia di Hudson, Stato di N.Y, nei prati davanti all'edificio di ingresso dell'università, con il sempre più scioccato e disilluso, amareggiato professor Perez che nel mezzo e travolto sfoca sempre più la sua vista degli eventi di violenza davanti ai suoi occhi, come per non vederli e rifiutarli e facendoli diventare quasi come immagini di forme di vita microbiche e colorate, al micorsocopio di un laboratorio. Metafora delle infinite generazioni e dei loro inevitabili e sempre uguali nelle loro ricorrenze come fenomeni antropoidi ma in laboratorio, e scontri con l'autorità anche per la fretta dettata dall'età, di cambiare le cose. Che è poi la battuta finale del film al comando di polizia.
Bella colonna sonora di Perry Botkin Jr. e Barry De Vorzon, con le canzoni di Melanie al livello di quelle di Joni Mitchell e Buffy Sainte-Marie per "Strawberry Statement".
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