Regia di Freddie Francis vedi scheda film
Alla tragica morte dei genitori in un incidente, Simon (Reed, mefistofelico e survoltato) ed Eleanor (di strabiliante bellezza) sono stati affidati a una zia (Burrell). Simon morde il freno per mettere le mani sull’eredità, mentre la sorella viene (ingiustamente) considerata pazza. Quando nella loro sontuosa casa si riaffaccia il fratello (Davion), creduto morto suicida – in realtà, un impostore – l’intreccio, tutto mirato all’accaparramento della consistente eredità, si infittisce.
Specialista del genere, Freddie Francis confeziona un film in un elegante bianco e nero CinemaScope, che valorizza la villa e le sue ombre con un gusto quasi gotico. Ma sotto quella patina raffinata si muove un congegno narrativo che fa del colpo di scena la propria ragion d’essere, come se ogni svolta fosse pensata più per far sobbalzare lo spettatore che per far respirare la storia. Ne deriva un’opera di grande mestiere, ma anche di qualche vuoto logico e di parecchie ellissi, tanto da rendere il tutto più un esercizio di stile che un racconto compiuto. Eppure, Paranoiac (titolo che, non a caso, strizza l’occhio a Psycho e a I diabolici) conserva un suo fascino da thriller vecchia scuola: le atmosfere claustrofobiche, il gioco di specchi tra follia e identità, i personaggi prigionieri del proprio delirio. Reed, in particolare, sembra divertirsi a incarnare un Simon sulfureo, tormentato e insieme istrionico — un piccolo saggio di quel magnetismo che, più avanti, lo renderà un attore di culto. Il film ondeggia tra mystery e melodramma, tra un bicchiere di troppo e un colpo di scena di troppo, ma resta godibile: certamente non un capolavoro, ma un onesto esempio di artigianato, con più stile che sostanza e un finale che, pur sconclusionato, riesce ancora a strappare un brivido.
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