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Taverna Paradiso

Regia di Sylvester Stallone vedi scheda film

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John_Nada1975

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La recensione su Taverna Paradiso

di John_Nada1975
7 stelle

Basterebbe soltanto il suicidio dopo una notte di natale di bagordi alcolici assieme a Sylvester Stallone/Cosmo Carboni, nell'Hudson dello stanco e disilluso lottatore Big Glory/Frank McRae "Perché adesso sono contento, mentre la maggior parte delle persone la fanno finita perché sono scontente, mentre io quando sono scontento mi viene voglia di far male alle persone. Che è quello che faccio come lottatore. Io adesso sono contento perciò la faccio finita. Non c'è niente di cui dispiacersi, fra 100 anni tutto questo non sarà neanche un ricordo.", presa pari dal romanzo omonimo del 1970 dello stesso Stallone, per annoverare questo film tra le più grandi pagine di "neorealismo" americano degli anni '70. Se ne accorse pure Kezich e lo scrisse nella sua recensione del 1979, io posso solo aggiungere che è proprio "Taverna Paradiso" il film da vedere per comprendere appieno quale sceneggiatore e di caratura, fosse Stallone soprattutto agli esordi quando come i suoi personaggi, "aveva tanta fame". Così bravo nel sapere rendere semplici e tanto incisive riflessioni esistenziali attraverso le battute e i dialoghi, anche complesse e difficili, da sopravanzare quasi la figura di attore. Tanto che originariamente si era ritagliato il ruolo defilato e ben più introverso di Lenny, il reduce della WWII(siamo nel 1946) menomato ad una gamba, adesso preparatore di cadaveri alle pompe funebri, interpretato invece da un ottimo Armand Assante, nella sua cinica e spietata metamorfosi a metà film. Ovviamente, Chartoff e Winkler chiesero a Stallone dato il suo successo con "Rocky"(che gli rese possibile l'esordio alla regia), di fare invece il protagonista Cosmo, l'istrionico e trascinante "uomo d'affari in divenire" delle piccole truffe di strada come il farsi passare con un cappotto militare mutilato di guerra, e chiedere soldi sul marciapiede nelle gelide giornate invernali a Hell's Kitchen. Un personaggio logorroico e divertente di sognatore sbruffone del quartiere, che è una mutuazione stessa del primo Rocky Balboa, e forse addirittura del Dario Fo de "Lo Svitato". 

Andrebbe anche decisamente dato il massimo risalto all'eccellente comparto tecnico nella ricostruzione della New York di questo bassifondo, nel 1946 l'anno in cui vi nacque lo stesso Sly, nonostante il budget non altissimo e in cui però si staglia con tutta la sua forza di una cura cromatica e dei toni marroni e scuri mai schiacciati, ma anzi con una vivacità e un vigore inusitati, del grande Laszlo Kovacs.

Inutile poi rimarcare la seconda colonna sonora di Bill Conti per Stallone- Chartoff-Winkler, il cui tema sugli effettati titoli di coda della corsa sui tetti, e di coda dopo il combattimento nella pioggia alla Paradise Alley, è cantato dallo stesso Stallone, "Too Close to Paradise".

Da antologia la sequenza in cui Victor Carboni/Lee Canalito si disfà del suo enorme blocco di ghiaccio dalla schiena, facendolo rotolare e distruggersi per le ripidissime e strette scale di un palazzo, grazie alla colonna sonora e al montaggio di Eve Newman.

Favolosa come sempre, Anne Archer.

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