Regia di Woody Allen vedi scheda film
Non è possibile far passare questo film di Woody Allen per l'ennesima commedia su NY, per il nuovo film che segue i vecchi. “Un giorno di pioggia a NY” è uno dei suoi capolavori, se non il capolavoro, se è vero che ve n'è uno a ogni stagione della vita. Lo sfondo è il medesimo, certo, NY, ma la domanda è quella che spinge ognuno a cercare uno stregone quando, al fondo della propria infelicità, è disposto a spendere una cifra non indifferente per capirci qualcosa. La misura è talmente colma, che si è disposti a usare quel denaro non per comprare l’ennesima bustina di polvere della felicità, per perdere tutto a poker o a una slot, per pagarsi prestazioni sessuali o il nuovo modello di un auto che si possiede già, ma per infilarsi in una macchina del tempo senza avere garanzie assicurative, in compagnia di uno psicnalista a cui consegnare sulla fiducia le seconde chiavi della vostra vita, dopo aver perduto le prime. «Non so – chiede Gatsby a sua madre - perché sono così». Ecco la domanda per cui inizia ogni analisi. Così come? Come non vorrebbe essere: annoiato, brillante ma indolente, sgangherato nel voler perdere a carte, senza riuscirci mai. Si sente attratto dal negativo come una falena dalla fiamma. Si dedica al gioco d’azzardo come se le carte, stanze sordide e fumose, e il rischio di perdersi, lo guidassero con fili invisibili. Cosa dev’essere soffocato nel frequentare il demi-monde? Quale angoscia dev’essere tenuta a bada, a costo di dissipare il corpo che la contiene come un ospite indesiderato? La sensazione per il ragazzo è di essere eterodiretto, di non essere più lui, ma un altro, a cui si presta il corpo per perseguire i suoi scopi segreti. Chi è questo altro? E' la materia oscura che sente di aver dentro e per la quale non sarà mai come suo fratello, non ambirà mai a una solida carriera, forse non metterà mai su famiglia. La sua erudizione non sarà mai vendibile a Wall Street, non gli sarà utile per fare soldi, né per mandare avanti l’azienda di famiglia, che dal niente gli «ha permesso di vivere una vita piuttosto privilegiata». È sua madre a tirare il tempo dalla sua memoria avvertita, per permettere a Gatsby di capire quanto nella sua vita c’è di lei, della sua eredità “oscura”, che tuttavia si trova a dover fare sua. «Non so perché - confessa Gatsby a sua madre - sono così, non so da dove viene questo perverso istinto del mio sistema, non lo so». Lo splendido centro del film è la rivelazione della signora Welles di essere lei il motivo della sua perversione, attraverso una confessione candida, pulita, senza fronzoli o richiesteb consolatorie, assumendosi davanti al figlio la responsabilità delle sue scelte di giovane donna, ma sopratutto la responsabilità della dolorosa confusione del ragazzo. Per cosa ha ricominciato a studiare la signora Welles, dopo essersi degradata “fresca fresca” dall’Indiana? Solo per aromatizzare i ricordi di quelle squallide camere d’albergo? Non credo. Si è rimessa sui libri per cercare le parole giuste da dire nel momento in cui suo figlio gli avrebbe chiesto ragione della sua vita “oscura”, la stessa oscurità per la quale lei stessa si gettò al fondo della vita sociale. Può esistere amore più grande? Un amore che - pur essendo materno – sa di non poter bastare a sé stesso? «Qualcosa mi dice che è il momento giusto» concluderà. È il momento giusto, e giuste sono le parole della signora Welles, come avesse impiegato tutto il tempo della sua seconda vita a metterle insieme, quelle parole, prese un po’ dai libri, dalle probabili lezioni di filosofia, e dalla tensione etica a non lasciare solo suo figlio al buio delle stesse camere d’albergo, degli stessi incubi notturni e immemori, dei tavoli da gioco intossicati. Possiamo dire noi di avere avuto madri così? Si può dire che è solo un film. Del resto certe cose accadono solo nell’arte, ma qualche volta, può accadere di no. Il passato torna nelle parole di sua madre, e Gatsby potrà così dare un posto alla “materia oscura” che lo assedia (Sua? Di sua madre? Non è più importante saperlo), per fare altrettanto posto a un’occasione di felicità, tutta da afferare a un appuntamento solo alluso in una giornata di pioggia a NY.
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