Regia di Franco De Rosis vedi scheda film
Raro e scomparso dai radar per quasi cinquant'anni, poi riemerso grazie a internet, titolo a basso costo e pauperistico, che nel 1969 si situa ancora a metà tra il racconto naturalista delle borgate romane di fondo pasoliniano(Franco Citti è il magnaccia schifoso e fetente), e il racconto d'appendice melodrammatico. Quasi fossimo in un imitatore fuori tempo massimo di Matarazzo, o un precursore dei lacrima movie di Del Balzo e Gariazzo, anche qui con protagonista femminile afflitta da improvvisa cecità.
Salvino è il fin troppo aitante per il ruolo, magnaccia buono, che lascia pure la sua professione ai margini della legalità per guadagnare di più e curare la sua ex "donna di vita" e più matura che ha perso la viata(Elina De Witt, attrice dal nome sommerso e scomparso attiva negli anni '60, come le altre del cast), dandosi come nulla fosse a dirigere il contrabbando sui camion- ha un boss "pronto-amico"-, e a guadagnare milioni di L. a palate, tanto da comprare come nulla fosse, pure "un autosalone".
Al netto di tante facilonerie e ingenuità, dialoghi da fotoromanzo Lancio, didascalici ed educativi, come l'assurda lunga nota moralista sui titoli di coda che parrebbe antiquata pure in un film di un decennio prima, la visione è gustosa per il netto tono naif e verace dell'insieme. Attilio Dottesio compare nel finale come improbabile e così temibile, "padre giustiziere". Risibili le psicologie e i personaggi femminili delineati nel film, dai comportamenti e il taglio caratteristico come quelli di un fumetto popolare. Così come il vedere delle prostitute dei quartieri popolari così per bene e dall'aspetto scimmiottescamente da borghesi di classe. Divertente il bar dei magnaccia con immancabile barista super romanesco, dove tutti i magnaccia sono in giacca e cravatta, non in canottiera, occhialoni da sole e più collanone di Mr.T, come nel celebre passaggio con il torpedone delle mature turiste inglesi, in "Roma" di Federico Fellini.
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