Regia di Manuel Martín Cuenca vedi scheda film
Álvaro (Gutiérrez) è un mediocre travet che assiste impotente al successo letterario e al tradimento della moglie (León). Deciso a scrivere un romanzo di "autentica" letteratura, viene spinto dal suo mentore (de la Torre) a osservare la realtà più da vicino. Álvaro prende il consiglio un po' troppo alla lettera, infilando il naso - e ben altro - nelle vite del formicaio umano che popola il suo condominio. Con risvolti irreversibili e, diciamolo, criminali.
Adattando un romanzo di Javier Cercas, Manuel Martín Cuenca gioca sul filo sottile tra grottesco e thriller, tra metanarrazione e satiretta sociale. A partire da un protagonista che ha il rigore emotivo di un contabile frustrato e l'ambizione megalomane di un Tolstoj da discount, il regista costruisce un personaggio tragico e ridicolo insieme, che guarda con disprezzo i successi pop della moglie ma si affida a un manuale per scribacchini come se fosse il Talmud. Non tutto riesce: alcune scene sono allungate come una cena tra ex coniugi e il doppiaggio italiano è meno credibile delle scuse di Álvaro. La regia alterna momenti di ispirata compostezza a bizzarre scelte di inquadratura che farebbero impallidire un docente di cinema. Eppure, tra voyeurismo esasperato e aspirazioni artistiche cannibali, il film si lascia seguire. Il finale - a metà tra castigo e redenzione - riscatta le debolezze del film, anche se resta il dubbio che il protagonista abbia imparato a scrivere solo una cosa: la sua inevitabile condanna.
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