I ragazzi fanno casino. Lo fanno da decenni, lo fanno da secoli, e c’è sempre qualcuno che si preoccupa e pensa che il casino sia troppo, tanto da volerli correggere – quando non semplicemente punire –, questi ragazzi. Facciamo ancora molta fatica, come società, a guardare all’adolescenza senza sospetto. Ci disturba forse tutto quel tempo libero, quelle ore senza necessità impellenti, quella libertà così ampia e spaventosa. La invidiamo fino a temerla, a odiarla, come se desse accesso a un modo di stare al mondo che agli adulti è ormai precluso, e che risulta quindi pressoché incomprensibile per chi non lo sta sperimentando in prima persona. Diventare grandi, oggi, mi sembra infatti corrispondere sempre più con la possibilità di imparare le norme sociali che servono per riempire il tempo – di impegni, scadenze, appuntamenti –, guidati dall’illusione che corrodere le ore libere che avremmo a disposizione ci aiuti in qualche modo a darci un senso.

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L'odio

Le 24 ore ripercorse nel film L’odio, capolavoro del regista francese Mathieu Kassovitz uscito nel 1995, seguono le vite annoiate dei tre protagonisti, Vinz (Vincent Cassel), Hubert (Hubert Koundé) e Saïd (Saïd Taghmaoui), adolescenti cresciuti nelle periferie estreme di Parigi che non fanno altro che perdere tempo, gettando i minuti che si susseguono nella loro routine tra giri in skateboard, piccoli furti, scazzottate: riempitivi con cui si trascinano a fatica nel tedio dell’ennesima giornata priva di scopo. Proprio a partire dal tempo sprecato che tanto ci spaventa, appena diventiamo adulti, Kassovitz decide infatti di esplorare la rabbia e la violenza delle banlieue francesi, raccontando quell’odio che dà il titolo al film come il risultato di una particolare marginalizzazione riservata da tempo a chi abita questi luoghi: la condanna a un’esistenza che reputiamo in qualche misura vana, incompatibile con i fini che governano la società in cui viviamo, e quindi bloccata in uno stato di adolescenza perenne, senza alcuna opportunità di occupare davvero un posto nel nostro contesto sociale.

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L'odio

Vinz, Hubert e Saïd, ognuno a proprio modo, incarnano infatti l’archetipo di un’indolenza esistenziale che esplode in rabbia per non lasciare che la mancanza di significato spenga ogni loro impulso. Rappresentano tre diverse declinazioni del disagio sociale ed economico che molti Stati europei come la Francia hanno ghettizzato nelle periferie delle grandi città: Vinz sembra essere dipendente dall’aggressività, unico sentimento che lo muove – e che si esprime al massimo nella famosa citazione di Taxi Driver, una scena in cui il personaggio di Vincent Cassel simula uno scontro verbale violentissimo allo specchio –, Hubert e Saïd fanno invece parte di quell’anima multietnica della società francese racchiusa nell’espressione popolare Black Blanc Beur (nero, bianco, arabo) – che fa il verso al tricolore della bandiera (Bleu Blanc Rouge) –, ovvero la frangia sociale a cui, a partire dal decolonialismo, è stato promesso il Sogno Europeo di un’integrazione che nei fatti non ha mai portato loro dei reali vantaggi.

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L'odio

A partire dallo sconforto – dissimulato in rabbia e strafottenza – di uno stato di subalternità sociale i tre protagonisti mettono dunque in campo una rivendicazione violenta, un aut aut rivolto alla società: contravvengono alle sue regole per dimostrare che esistono – e che lo fanno secondo le proprie. Kassovitz racconta la loro storia in bianco e nero, rimandando all’intenzione del cinema verité degli anni Cinquanta, e scava nei sentimenti di tre personaggi che, da imprigionati nel non tempo della periferia, riescono a sopravvivere solo nutrendosi del conflitto verso il mondo estraneo al loro ambiente: che si tratti delle forze dell’ordine, l’unica presenza tangibile dello Stato nel quartiere che abitano, o degli abitanti del centro città in cui “sconfinano”. Questo conflitto in cui scorgono una parvenza di senso è infatti rappresentato, soprattutto, dai vari atti criminali con cui sfidano quotidianamente la legge, ma anche da tutti i riferimenti culturali a cui si rifanno, in particolare la musica rap, che riempie l’intera colonna sonora del film.

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L'odio

La figura del rapper, negli anni Novanta, si è imposta come esempio indiscutibile di successo e di coolness anche grazie a un fascino maledetto che va oltre la musica, perché recupera valori strettamente connessi all’immaginario criminale che ha accompagnato tutta l’evoluzione di questo genere quale espressione musicale del movimento Hip Hop. La cultura criminale, in questo senso, è fondamentale per la definizione del rap, perché richiamando all’idea di una sorta di giustizia privata, lo veste di un particolare potere seduttivo che passa per il proibito e che non cattura soltanto chi si riconosce nella radicalità dei messaggi di rottura per esperienza diretta – come accade ai tre ragazzi del film di Kassovitz, che vedono trasposta la propria vita in pezzi come Burnin’ and Lootin’ di Bob Marley o Sound of da Police –, ma anche chi, pur avendo vissuto in un contesto sociale del tutto diverso, percepisce la potenza delle sue rivendicazioni in rima. Lo dimostra anche il recente cambio generazionale nella scena rap italiana, narrato dai media come concomitante all’esplosione di un fenomeno di criminalità che nasce da una condizione di disagio sociale e sfocia sempre più spesso in scontri fra gang di giovani trapper – basti pensare alle tensioni che hanno diviso la città di Milano, in cui stati coinvolti alcuni rappresentanti della scena tra cui Paky, Keta, Rondo, Simba La Rue, baby Gang.

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L'odio

Nonostante la violenza giovanile non sia fatto nuovo, dal momento che i racconti dei Teddy Boys e dei Ragazzi di vita di Pasolini descrivevano già eventi molto simili a ciò che oggi leggiamo nel fatti di cronaca, quella “delinquenza romantica” negli anni sembra aver lasciato spazio anche in Italia allo sviluppo di una criminalità di quartiere che ricorda, nelle modalità, proprio le banlieue de L’odio. Le periferie Made in France di Vinz, Hubert e Saïd rappresentano infatti esattamente quell’universo parallelo, lontano dalla vita vera – che procede quasi indisturbata nei centri delle grandi città – in cui molti giovani italiani di prima o seconda generazione iniziano a sentirsi ghettizzati. La stessa fascinazione che i tre protagonisti di Kassovitz nutrono per il crimine, inteso come scontro violento nei confronti di una società cieca alle esigenze della periferia, sta dunque diventando un’istanza propria dei nuovi esponenti della trap italiana, che sforzandosi in modo più o meno coerente di rientrare in un immaginario simbolico a metà tra il gangsta rap statunitense e Gomorra, cercano di inserire nei propri testi – e a volte anche nella propria vita – continui rimandi espliciti alla cultura della violenza, delle faide tra gruppi e della vendetta senza scrupoli – o più semplicemente “all’odio”, volendo riassumere in un unico termine.

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L'odio

Un film come La Haine, allora, ci appartiene oggi forse più che cinquant’anni fa, per la sua capacità di descrivere un meccanismo di esclusione sociale che sembra essersi propagato quasi per contagio: dai quartieri ghetto americani in cui nacque l’Hip Hop, alle banlieue francesi, per arrivare fino alle periferie delle nostre città. Soprattutto, nel film di Kassovitz è evidente una dinamica causale che, nei tanti editoriali che leggiamo di giorno in giorno sulla criminalità giovanile, sembra confondersi sempre più. La ricostruzione della sorgente dell’odio di Vinz, Hubert e Saïd risulta infatti precisissima nel corso della narrazione, ed è generata dalla presa di coscienza della marginalizzazione e dell’ingiustizia sociale in cui i tre protagonisti vivono; mentre il loro rispecchiamento in alcune immagini restituite dai pezzi rap che ascoltano, non è altro che un effetto della loro esperienza del mondo – e lo stesso, probabilmente, accade alla nuova generazione di artisti italiani legati al genere. Invertire i fattori, dando al rap la colpa di una marginalizzazione che invece lo precede, non può quindi che contribuire ad acuirla – alimentando l’odio.

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L'odio

Autore

Federica Bortoluzzi

Nata nel 1997 in una casa dove la televisione era praticamente un oggetto proibito. Lavorarci, oggi, le sembra quasi un gesto di ribellione. Ha iniziato a scrivere i primi pezzi sul cinema mentre frequentava la facoltà di filosofia, dopo un incontro fortuito con Inseparabili di Cronenberg. Oltre a Film Tv, collabora con varie riviste online tra cui The Vision.

Il film

locandina L'odio

L'odio

Drammatico - Francia 1995 - durata 95’

Titolo originale: La Haine

Regia: Mathieu Kassovitz

Con Vincent Cassel, Hubert Koundé, Said Taghmaoui, Abdel Ahmed Ghili

Al cinema: Uscita in Italia il 13/05/2024

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