Tra il dicembre del 1957 e il gennaio 1958 una coppia di adolescenti uccise undici persone tra Nebraska e Wyoming. Si chiamavano Charles Starkweather e Caril Fugate, ma molti, come me, hanno probabilmente imparato a conoscerli con i nomi di Mickey e Mallory Knox dopo aver visto Assassini nati - Natural Born Killers di Oliver Stone, liberamente ispirato alla storia della coppia di assassini, e posizionatosi fin dalla sua uscita nel 1994 come uno dei film più divisivi degli anni Novanta – non solo per i pareri contrastanti di critica e pubblico, ma anche perché recise il rapporto artistico tra Stone e Tarantino, che ne scrisse la sceneggiatura originale. Mickey e Mallory, gli “assassini nati” di Stone, sono una coppia di serial killer a metà tra gli anti-eroi e le rockstar: due personaggi che riescono a intercettare quella categoria dello spirito in cui il moralmente deprecabile si unisce in modo inscindibile alla curiosità, all’attrattività, alla seduzione.

Rappresentano un modello aspirazionale ribaltato, paradossale, immorale – oltre che decisamente provocatorio – dato che proprio attraverso i crimini efferati che commettono sembrano aver trovato la sostanza del sentimento che li lega e il loro posto nel mondo. Al punto che, nel suo film, Stone riesce a renderli l’archetipo di tutto ciò che suscita il nostro interesse per il proibito, l’illecito, il nefasto, tanto da far sembrare in qualche modo desiderabile la loro vita in fuga tra le interminabili highways statunitensi, in perfetto stile Beat Generation.

Uno dei topoi narrativi centrali toccati da Stone – e senz’altro il più attualizzabile – riguarda infatti la fascinazione che la coppia suscita in chi la circonda, finendo per raccogliere un vero e proprio fandom attorno ai delitti che commette, soprattutto grazie all’attenzione morbosa riservatagli dai media – principale oggetto della critica sociale del regista, che li dipinge come un amplificatore consapevole, seppur in modo ipocrita, del male che narrano. L’intervento dei mezzi di comunicazione di massa serve infatti a Stone per mostrare la parte “perversa” della nostra sospensione d’incredulità: quella che lavora al contrario, romanzando omicidi, rapine, rapimenti reali per rimasticarli in forma d’intrattenimento e di fiction. Il meccanismo lo conosciamo bene, è quello che tiene incollati per ore a tutti quei contenuti riconducibili al genere true crime, che oggi sembra stare vivendo la sua epoca d’oro, tra podcast dedicati e serie tv a tema sempre ai primi posti nelle classifiche delle piattaforme.

I fatti che hanno ispirato Natural Born Killers, in effetti, sembrano in qualche modo aver subìto un processo di moltiplicazione simile a quello che caratterizza gli avvenimenti di cronaca fagocitati dal genere true crime, con molti autori che raccontano lo stesso delitto da varie angolazioni, sceneggiando le indagini, adattando criminali veri a caratteri fittizi, spezzettando i casi in reel di Instagram per ripercorrerli indizio dopo indizio. La vicenda di Charles e Caril, infatti, era stata raccontata vent’anni prima di Natural Born Killers anche in La rabbia giovane (Badlands), il meraviglioso esordio di Terrence Malick, che si è incredibilmente ispirato agli stessi eventi scelti da Stone, offrendo una versione cinematografica di quella frammentazione in molti racconti – tutti parziali, tutti inevitabilmente debitori dello sguardo del narratore e del periodo storico di ricostruzione – con cui ci siamo abituati a leggere la cronaca nera da quando l’ossessione per il true crime ha preso piede.

Il confronto tra i due film, in mezzo ai quali sono trascorsi vent’anni di storia degli Stati Uniti, mostra infatti come quella del genere true crime sia spesso la ricostruzione di una realtà fatta a pezzi: osservata, decodificata e rimescolata da uno sguardo autorale che risente di infiniti fattori – personali, emotivi, storici – piegandosi a una qualche forma di revisionismo anche quando promette di attenersi ai fatti. La “rabbia giovane” dei protagonisti di Badlands, da un lato, è infatti rappresentativa dei tentativi di sovversione che hanno innervato la controcultura dell’America anni Settanta, con una criminalità che viene consapevolmente romanticizzata proprio perché vuole simboleggiare la messa in discussione di un mondo fatto a immagine e somiglianza dell’impero statunitense, manifestando la volontà dei protagonisti di corrodere i pilastri del suo “Sogno”. I delitti di Mickey e Mallory, dall’altro, appartengono invece a pieno titolo all’immaginario decadente degli anni Novanta e al suo nichilismo sfrenato, ma sono espressione di una forza distruttrice e strafottente che, dopo la diffusione globale della tv commerciale e la sua consacrazione definitiva a status symbol, i media sono riusciti a rendere il carburante privilegiato del proprio spettacolo, spogliandoli di qualsiasi carica sovversiva.

Il modo scomposto – o forse ha senso dire “isterico”, per usare un termine storicamente anti-femminista – di stare al mondo di Mallory, la vita randagia che lei e Mickey conducono girovagando tra i deserti, le case abbandonate e i Diner della deep America, il loro orgoglioso rifiuto di tutto ciò che è socialmente accettato, sembra dirci Stone, smettono di essere respingenti e potenzialmente sovversivi perché diventano parte di uno show – a differenza dei personaggi di Malick, che pur nella finzione cinematografica mantengono in qualche modo il loro ruolo politico. La realtà si confonde così con la narrazione, e la rappresentazione del proibito incarnata dalla coppia di Natural Born Killers, seppur portata agli estremi, finisce per risultare attraente perché è il prodotto di un racconto spezzettato e ricostruito talmente tante volte da non lasciare esplicitamente più alcuno spazio ai fatti. È quindi del tutto normale dimenticarsi cosa c’entrano, in tutto questo, Charles Starkweather e Caril Fugate, come a volte ci accade anche quando i protagonisti delle nostre storie true crime sono narrati in maniera apparentemente più attendibile e documentata. Accade di certo perché a tirare fuori l’appeal narrativo di questi personaggi i media si sono ormai abituati, ma anche perché a renderli quasi rockstar, come suggerisce Natural Born Killers, ci siamo abituati noi.

True (Lov)Killers
Una vita al massimo
Thriller - USA 1993 - durata 116’
Titolo originale: True Romance
Regia: Tony Scott
Con Christian Slater, Patricia Arquette, Christopher Walken, Dennis Hopper, Brad Pitt, Gary Oldman
Gangster Story
Gangster - USA 1967 - durata 111’
Titolo originale: Bonnie and Clyde
Regia: Arthur Penn
Con Warren Beatty, Faye Dunaway, Gene Hackman, Michael J. Pollard, Estelle Parsons, Denver Pyle
in streaming: su Apple TV Rakuten TV Timvision Google Play Movies Amazon Video
I killers della luna di miele
Thriller - USA 1970 - durata 115’
Titolo originale: The Honeymoon Killers
Regia: Leonard Kastle
Con Shirley Stoler, Tony Lo Bianco, Mary Jane Higby, Doris Roberts
Kalifornia
Thriller - USA 1993 - durata 117’
Titolo originale: Kalifornia
Regia: Dominic Sena
Con Juliette Lewis, Brad Pitt, Michelle Forbes, David Duchovny
in streaming: su Apple TV Amazon Video Prime Video