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Venezia 2011, Giorno 3 - Venerdì 02/09: Il maestro, Scialla, El Campo, Out of Tehran, Cafè de flore, Whores' Glory, Rudolf Jacobs, Mildred Pierce, A Dangerous Method, Un été brûlant, Le petit Poucet, Hail, The Sorcerer and the White Snake
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Con una giornata meno rumorosa di ieri, quando Carnage di Roman Polanski ha riscosso un tripudio di ovazioni, il collettivo Scossa commosso e smosso gli animi e W.E. di Madonna ha mostrato come i giornalisti siano dei provincialotti all’assalto della star (come dimostra il video che potete vedere qui), il Festival di Venezia presenta un cartellone che somiglia a un diario di bordo fitto di eventi. Sperando che non gli spettatori non affondino come nel Titanic, ecco le 16 prime visioni di oggi.

 

Si parte alle 11 in Sala Grande con la sezione Controcampo Italiano che fa la sua apertura con il cortometraggio Il maestro, esordio dietro la macchina da presa dell’attrice siciliana Maria Grazia Cucinotta, titolo prodotto dalla major Universal e che sarà trasmesso in tv il prossimo 23 settembre alle 21 su Diva Universal, canale 128 della piattaforma Sky:

 

Il maestro (2011)

di Maria Grazia Cucinotta con Renato Scarpa, Nicholas Gianserra, Giselda Volodi, Mario Giovanni Ferretti

 

«Una storia che mi appartiene profondamente e che nasce da quel che mia madre raccontava a me e mia sorella del nonno, un uomo così legato alle proprie radici da tornare alla campagna dov’era vissuto dopo esserne stato espropriato. In qualche modo, la volontà di non perdersi del nonno è la stessa del mio maestro. Voglio parlare della solitudine degli anziani e di come, a volte, un piccolo gesto possa cambiare la vita di un uomo».

 

 

Subito dopo, intorno alle 11:30, nella stessa sala si proseguirà con Scialla!, opera prima dello sceneggiatore Francesco Bruni (fido collaboratore di Paolo Virzì dai tempi di La bella vita fino a La prima cosa bella):

«“Scialla“ nel gergo giovanile romano significa “sta’ calmo“, “rilassati“; più o meno come il “take it easy“ americano. Secondo alcuni è derivato dall’arabo “inshallah“. Per me è un’espressione che ha diverse valenze: sorvolando sul fatto che i miei figli me la rivolgono in media una ventina di volte al giorno, mi piace l’invito alla moderazione e al quieto vivere che contiene; infine, la considero anche una sorta di manifesto poetico. Dopo aver a lungo riflettuto sull’aggettivo da associare alla parola commedia per definire il mio film, alla fine ho avuto un’illuminazione: Scialla! è proprio un classico esempio di “commedia scialla“». 


 

 

 

Alle 11:30, ma in Sala Darsena, l’appuntamento è con due mediometraggi della sezione Orizzonti. Il primo ad essere programmato è il francese Snow Canon di Mati Diop, sul singolare legame tra una ragazzina e la sua governante hippie:

 

Snow Canon (2011)

di Mati Diop con Nilaya Bal, Nour Mobarak, Alban Guyon, Chan Coïc

 

«Copiose lacrime le scorrevano lungo le guance... Snow Canon si ispira un po’ a questo. Quando ero piccola avevo una tata americana. Chloë si vestiva sempre allo stesso modo: jeans sdruciti, T-shirt da uomo ampia e sbiadita e un paio di stivali da cow-boy. Aveva i capelli lunghi e ricci. Una delle notti in cui mi faceva da babysitter, fui svegliata dai mormorii di un canto tetro e misterioso, provenienti dalla sala. Una voce d’uomo quasi da messa nera, accompagnata da strumenti dal ritmo lancinante, dalle melodie sinistre. Ero terrorizzata. Sdraiata sul divano, Chloë ascoltava i Doors e fumava una sigaretta».

 

 

Il secondo appuntamento è invece con il portoghese Palácios de Pena di Gabriel Abrantes Daniel Schmidt, un racconto che tramite un sogno lega le ossessioni di ieri con quelle di oggi, riflettendo sul tema delle diversità:

 

Palácios de Pena (2011)

di Gabriel Abrantes, Daniel Schmidt con Catarina Gaspar, Andreia Martins

 

«Palácios de pena tratta di una paura che in Portogallo è un’eredità culturale, legata all’oppressione politica e sociale durante l’Inquisizione e il fascismo. È incentrato su due ragazzine portoghesi benestanti, e sovrappone le loro identità in via di sviluppo a un processo che condanna al rogo due omosessuali moreschi. La loro nonna malata dà loro coscienza del loro patrimonio tramite il meccanismo del desiderio, descrivendo un sogno dove è giudice dell’Inquisizione. La colpa della nonna e delle ragazze è complicata dalla loro relazione, familiare e affettiva. Si amano l’una con l’altra come l’ignoranza e la volontà di opprimere con la violenza, che esse rappresentano».

 

 

Tempo di sgranchirsi le gambe, dar le mollichine a due piccioni e alle 14 si riparte in Sala Darsena con la Settimana della Critica. Il film proposto è il claustrofobico El Campo dell’argentino Hernán Belón, titolo che ha già trovato la distribuzione italiana a cura di Cinecittà Luce:

 

El campo (2011)

di Hernán Belón con Leonardo Sbaraglia, Dolores Fonzi, Matilda Manzano, Pochi Ducasse, Juan Villegas

 

«È il racconto di un incubo, di un ricordo o di un immaginario viaggio nel futuro. L’azione non si svolge all’interno della normale relazione causa-effetto, ma è il prodotto di “tagli” che corrispondono più ad una logica soggettiva ed irrazionale - essenzialmente legata allo stato d’animo di Elisa - che ad una logica oggettiva e sensata. Forse nulla di tutto ciò che vediamo accade effettivamente nella realtà di questa coppia, ma è come se ci fosse una segno, una traccia, un leggero movimento che lentamente fa vacillare il precario equilibrio in cui essi vivono.

A poco a poco, nel momento in cui inizia a pecepire la crisi di Elisa e ad esserne coinvolto, Santiago diventa un osservatore ravvicinato, attraverso cui lor spettatore vede e vive questa storia.

Elisa e Santiago si svegliano dal sogno della civilizzazione, dall’illusione dell’ ubiquità e dell’abolizione del tempo che dominano la nostra moderna società. L’uomo e la donna prendono così coscienza della fragilità del loro mondo, di qualcosa che non avevano mai sospettato prima: la concreta possibilità della morte».

 

 

 

Alle 14:30, in Sala Darsena per gli Eventi di Orizzonti, l’arte torna a incontrare il cinema nel progetto russo Birmingham Ornament di Andrey Silvestrov e Yuri Leiderman, un percorso semiotico sulla destrutturazione dei simboli per la creazione di nuovi significati, un esperimento sui nuovi percorsi generativi del senso con lo sguardo proiettato sull’avanguardia russa del Novecento e su cui al momento non è possibile conoscere altro:

 

Birmingham Ornament (2011)

di Andrey Silvestrov, Yuri Leiderman con Alexandr Leiderman, Yuri Leiderman, Stas Podlirskiy, Vyacheslav Tyrin

 

 

 

 

Alle 15, in Sala Grande e per la sezione Documentari di Controcampo Italiano, è la volta di Out of Tehran, il secondo film realizzato dalla giornalista e inviata di guerra del Tg1 Monica Maggioni che, dopo il successo ottenuto l’anno scorso con i soldati statunitensi affetti da sindrome del ritorno dall’Iraq di Ward 54, concentra l’attenzione su 4 storie di limitazioni della libertà di giovani iraniani sotto il regime di Ahmadinejad:

 

Out of Tehran (2011)

di Monica Maggioni

 

«“Mi chiamo Hossein Tabatabaie. Sono nato nel 1969. Nella mia famiglia erano tutti personaggi religiosi molto importanti. Poi nel 2009, il giorno che Ahmadinejad è stato eletto, siamo tutti scesi in strada. Noi abitavamo vicino al Ministero dell’Interno.

Mia moglie era decisa a manifestare.

Era l’8 di luglio del 2009.

Siamo andati al Parco Laleh verso le cinque del pomeriggio.

Fino a quel giorno ero ancora convinto che la Repubblica Islamica avrebbe potuto essere riformata. Alle 5 la gente si è messa a gridare per strada Allah Akhbar. In quel momento la polizia ha attaccato.

Io e mia moglie siamo entrati nel parco: abbiamo visto una donna di una settantina di anni e sua figlia. Due poliziotti hanno cominciato a picchiarle. Io ho protestato. Loro hanno iniziato a insultarmi pesantemente, a minacciarmi. Ma io non sono scappato.

Mi sono rivoltato contro di loro ed è stato lì che mi hanno attaccato.

Mi hanno picchiato furiosamente con tutto quello che potevano”.

C’è un modo tutto iraniano di gridare sottovoce. Un modo tutto iraniano di cercare le parole poetiche per descrivere anche la più orribile delle violenze, la più ignobile delle torture. Abbas, Ebrahim, Hussein e Narges sono i protagonisti di un racconto in cui questo “specifico iraniano” assume la forza dell’atto d’accusa nei confronti del regime.

Sono quattro persone che pagano con l’esilio l’avere delle idee, la volontà di dire delle cose normali in un paese dove il regime sembra aver persino smesso di fingere la normalità. Il loro percorso, duro e dignitoso, ci ha portato sulle montagne innevate del Kurdistan, infestate da spie iraniane e agenti doppiogiochisti e poi fin nel cuore dell’Europa dove tanti iraniani tentano di ricomporre una qualche esistenza, con un unico pensiero. Tornare a casa».

 

 

 

Alle 16:30, in Sala Darsena per Autori, c’è la prima proiezione pubblica di Café de flore del canadese Jean-Marc Vallée, un’opera a metà in cui due storie scorrono parallele unite dalla stessa canzone jazz (a cui si deve il titolo) che dà sollievo a una madre (la ritrovata Vanessa Paradis) degli Anni Sessanta che vede infrangere il suo stretto legame con il figlio affetto da sindrome di Down e reagisce in maniera violenta (non mancano le scene forti di punizioni corporali o maltrattamenti, avvisati i moralisti) e a una donna di oggi che spera nel ritorno dell’ex marito anche a distanza di anni dalla separazione:

 

Café de Flore (2011)

di Jean-Marc Vallée con Vanessa Paradis, Kevin Parent, Hélène Florent, Evelyne Brochu, Joanny Corbeil-Picher, Rosalie Fortier, Evelyne de la Chenelière, Émile Vallée, Chanel Fontaine, Michel Dumont

 

«Una vita sola non basta per risanare un cuore spezzato, forse ce ne vogliono due ma non aggiungo altro, altrimenti svelo qual è il punto di ricongiunzione delle due storie, oltre alla musica che ci permette di vivere, gioire e soffrire».

 

 

Sempre 16:30 ma in Sala Perla e per Orizzonti, è proiettato il documentario Whores’ Glory del tedesco Michael Glawogger, un viaggio tra le glorie delle prostitute di mezzo mondo, una riflessione sulla vendita dei corpi femminili in diverse latitudini del pianeta:

 

Whores' Glory (2010)

di Michael Glawogger

 

 

 

 

Alle 17 in Sala Grande parte l’omaggio al regista giurato Todd Haynes con la proiezione dei primi 2 episodi della serie tv HBO Mildred Pierce, in onda su Sky Cinema 1 a partire dal prossimo 14 ottobre alle 21. Il riadattamento del celebre romanzo di James M. Cain si ripresenta in giornata anche alle 22 in Sala Darsena con gli episodi 3 e 4:

 

Mildred Pierce (2011)

di Todd Haynes con Kate Winslet, Guy Pearce, Evan Rachel Wood, Brian F. O'Byrne, Melissa Leo, James LeGros, Murphy Guyer, Mare Winningham, Marin Ireland, Diane Kagan, Miriam Shor

 

 

«Ho letto il romanzo originale del 1941 di Cain nell’estate del 2008, proprio mentre i mercati finanziari statunitensi iniziavano a precipitare. E mi sono stupito nel vedere fino a che punto il libro sembrasse corrispondere alla nostra vita attuale, non solo per l’accostamento di tematiche domestiche ed economiche, ma anche per la franchezza dei riferimenti al sesso e per la ricchezza e complessità dei personaggi femminili. A differenza della prima versione cinematografica del 1945, un noir di Michael Curtiz, nel romanzo non si commettevano omicidi. Piuttosto, era il primo tentativo di Cain di raccontare in modo realistico la storia di una madre single che si batte per preservare i propri valori, e della scalata culturale della figlia maggiore nella Los Angeles della Grande Depressione. Per tutti questi motivi ho pensato che il materiale meritasse un adattamento accurato e che i limiti di formato imposti dal lungometraggio non sarebbero stati sufficienti. Il risultato è un film drammatico in cinque parti concepito per il piccolo schermo; per me e per quasi tutti i miei collaboratori creativi, la mini-serie drammatica era un’esperienza nuova. Nonostante i ritmi accelerati di produzione e la mole del materiale, ognuno ha fornito un contributo eccellente».

 

 

 

Previsto alle 17 in Sala Volpi è l’evento di Controcampo Rudolf Jacobs, l’uomo che nacque morendo, docufiction di Luigi Maria Faccini che, ispirandosi a un romanzo scritto da lui stesso, si mette sulle tracce del celebre militare tedesco divenuto partigiano grazie all’aiuto della moglie Marina Piperno:

 

Rudolf Jacobs, l’uomo che nacque morendo (2011)

di Luigi Maria Faccini con Marina Piperno, Carlo Prussiani, Alessandro Cecchinelli

 

 

«Dopo aver scritto L’uomo che nacque morendo, e aver a lungo peregrinato, di presentazione in presentazione, giungendo al Parlamento europeo, con Martin Schulz e Marta Vincenzi, ho deciso di manifestare la mia amicizia per Rudolf Jacobs anche con un film. Coinvolgendo Marina Piperno, sfuggita come me, da bambini, lei alle camere a gas di Auschwitz, io a una delle stragi di civili sulla linea gotica, abbiamo cercato l’immedesimazione più fraterna e scavato negli orrori di un tempo che il revisionismo storico ha davvero troppo manipolato. Sul nostro “carro“ è salito Carlo Prussiani, un passante sensibile, un “non attore“ di talento, curioso della sfida che ci eravamo prefissati. Carlo ha resistito alle intemperie e agli affanni del viaggio, diventando il Rudolf Jacobs che desideravamo incontrare. Come aveva ragione Braudel: “Sapere di essere stati è la chiave per aprire le porte del futuro“».

 

 

 

Alle 19 in Sala Grande ritorna il Concorso con il film che più di ogni altro sto aspettando: A Dangerous Method di David Cronenberg, il favorito al Leone d’Oro per i bookmakers. Chi meglio di Cronenberg avrebbe potuto raccontare la psicanalisi e il triangolo amoroso che vede coinvolti Freud, Jung e la Spielrein con l’aggiunta del quarto incomodo sedizioso Otto Goss?

 

A Dangerous Method (2011)

di David Cronenberg con Viggo Mortensen, Keira Knightley, Michael Fassbender, Vincent Cassel, Sarah Gadon, Katharina Palm, André Dietz, Andrea Magro, Bjorn Geske, Christian Serritiello

 

 

«La motivazione nascosta dietro a qualsiasi film biografico è il desiderio del regista di riportare in vita i propri personaggi, in modo da farli respirare, vivere, parlare di nuovo. Quando si ha a che fare con personaggi come Freud, Jung, Spielrein, Gross, facendoli rivivere viene il desiderio di immergersi nei conflitti etici e nelle passioni intellettuali di un’intera epoca. Ma questa resurrezione per sua natura è imperfetta. Siamo tormentati dai nostri bei simulacri. Sono abbastanza reali? Sono fedeli? Ci perdoneranno?».

 

 

 

 

 

Alle 21 in Sala Perla per Orizzonti è il momento di Hail dell’australiano di Amiel Courtin-Wilson, un film biografico e violento, una storia senza speranza che mischia amore, brutalità, misticismo e droga, interpretata dai due reali protagonisti della vicenda, attori presi dalla strada:

 

Hail (2011)

di Amiel Courtin-Wilson con Daniel P. Jones, Leanne Letch, Dario Ettia

 

«Ho conosciuto Daniel P. Jones nel 2005 mentre giravo un documentario su Plan B, una compagnia teatrale australiana fondata per riabilitare gli ex detenuti. Danny era uscito di prigione il giorno prima e mi ha colpito immediatamente per il carisma, l’umorismo e la parlantina vivace. Nei mesi successivi siamo diventati molto amici, così mi ha presentato anche la sua ragazza, Leanne Letch, una donna straordinaria e altruista che come lui era stata in carcere e aveva cresciuto tre figli da sola nelle campagne australiane. Abbiamo condiviso le nostre vite per sei anni e oggi Danny e Leanne sono come una famiglia per me, sono molto affezionato ad entrambi. La forza dell’amore che lega Danny e Leanne è stata la fonte d’ispirazione principale per Hail».

 

 

 

Piccola digressione. Chi ha pianificato le proiezioni di oggi ha la mente perversa, non si preoccupa delle coronarie degli spettatori maschi. Alle acrobazie erotiche e sadomaso della Keira Knightley protagonista del film di Cronenberg, alle 22 in Sala Grande e sempre per il Concorso, segue Un été brûlant del maestro francese Philippe Garrel che dirige il figlio Louis alle prese con i nudi frontali che tanto inchiostro hanno richiesto sui nostri giornali di Monica Bellucci:

 

Un été brûlant (2010)

di Philippe Garrel con Monica Bellucci, Louis Garrel, Céline Sallette, Jérôme Robart

 

 

«Un amico è qualcuno per cui si darebbe la vita. Né più né meno. E io ho perso il mio migliore amico. Un’esperienza che lascia indubbiamente un grande stato di confusione a livello onirico. Ma è anche un’opportunità per farci un film. Che ovviamente, ne sono più che convinto, non rimpiazzerà l’amico in questione. Ma mi restituirà qualcosa di molto somigliante alla vita degli artisti felici che un tempo eravamo. (Eravamo così felici perché siamo nati dopo la guerra ed è questo che voglio far vedere: gente che non ha conosciuto la guerra. Contrapposta all’immagine dei genitori, che invece l’hanno vissuta)».

 

 

 

 

 

 

Ore 23, Sala Perla, Orizzonti: Le petit Poucet di Marina de Van. E a letto i più piccoli. Nessuno si lasci ingannare dalla trama, siamo sì di fronte a Pollicino ma nella personale rivisitazione piena di violenza e crudeltà che ne fa la regista per l’emittente televisiva francese Arte. È il caso di dirlo: i bambini non li guardano!

 

Le petit Poucet (2010)

di Marina de Van con Ilian Calaber, Denis Lavant, Adrien de Van, Rachel Arditi, Valérie Dashwood, Nathalie Vignes, Thomas Momplot, Orféo Campanella, Lilian Dugois

 

 

«Ciò che ho trovato interessante nell’adattare Pollicino è che in un’ambientazione di fantasia e persino soprannaturale, che tratta di paure infantili, sogni e fantasticherie che abbiamo tutti provato, ho visto l’opportunità di adottare una prospettiva che sottolineasse un problema molto contemporaneo: la violenza del mondo, la concorrenza, l’imprescindibile equilibrio di potere che controlla tutte le relazioni familiari e sociali nelle nostre vite collettive. È la visione di questo mondo, fortemente identificata nel testo originale con il tema della carne (carne animale, carne umana…) che in questa fiaba di Perrault mi ha commosso e che ho voluto mettere in scena, solo modificando la conclusione, che mi sembrava terribilmente moraleggiante».

 

 

 

L’ultima proiezione della giornata parte alle 24 in punto in Sala Grande per il Fuori Concorso. Mezzanotte è l’ora delle fiabe e la chiusura della giornata viene affidata alla rilettura di una celebre storia della tradizione cinese The Sorcerer and the White Snake di Tony Siu-Tu Ching:

 

The Sorcerer and the White Snake (2011)

di Ching Siu-tung con Jet Li, Vivian Hsu, Charlene Choi, Shengyi Huang, Wu Jiang, Miriam Yeung Chin Wah, Suet Lam, Chapman To, Alfred Hsing, Raymond Lam

 

«La straordinaria classica favola cinese Il Serpente bianco è una storia meravigliosa che volevo da sempre sviluppare in una saga epica per il grande schermo. Creatività, immaginazione e supporto tecnico sono gli elementi essenziali per filmare la storia. L’avvento recente di tecnologie CGI altamente sofisticate rende a mio avviso possibile oggi presentare adeguatamente al pubblico la consistenza e realtà di questo mondo fiabesco cinese. Il film è un miscuglio dinamico di fiaba romantica, effetti visivi e azione piena di movimento. Se da un lato le incredibili sequenze d’azione mostrano le tecniche e l’essenza delle tradizionali arti marziali cinesi, il cuore del film risiede nel modo in cui ritrae un amore non corrisposto, l’eroica aderenza ai principi morali e il sacrificio di sé. Questi valori sono espressioni importanti della forza culturale e spirituale cinese».

 

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