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La nascita di un Serial Killer cinematografico
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Prima di parlare dei serial killer cinematografici, bisogna ricordare chi è stata la fonte ispiratrice di tanti film: Ed Gein, il macellaio di Plainfield (Winsconsin, USA). Nato a La Crosse nel 1906, visse con la madre e il fratello maggiore in quasi totale isolamento, in una fattoria in periferia.

Dopo la morte del padre violento e alcolista, i 2 fratelli Gein vivono secondo le rigide regole materne, che imponevano castità, punizioni durissime, e una visione del mondo femminile alquanto contorta e oscena, le donne infatti venivano raffigurate dalla madre esclusivamente come prostitute da evitare.

 

La morte misteriosa del fratello maggiore, avvenuta in circostanze mai chiarite nel 1944, permette a Ed Gein di vivere in totale simbiosi con la madre, colpita però da un colpo apoplettico che la porterà alla morte nel 1945, dopo un lungo periodo di infermità.

 

Da qui in poi Ed Gein, ormai solo e completamente folle, compierà alcuni dei più atroci omicidi di tutti i tempi. Oltre però ad uccidere donne di passaggio e vicine di casa (in verità confesserà solo 2 omicidi, ma altre sparizioni sospette sono state attribuite a lui), Gein ammette di dissotterrare corpi di donne dalle tombe, di praticare una forma di necrofilia, probabile cannibalismo e sopratutto di usare resti di corpi umani per orribili oggetti di arredamento e vestiario: collane fatte con labbra, vestiti di pelle umana e parti intime, gambe di tavolino con femori...e altre cose terribili, che sconvolsero l'opinione pubblica, e permisero alla fantasia di scrittori e registi di regalarci tra le più belle pagine di cinema moderno (“Psyco”, “Non aprite quella porta”, “Il silenzio degli innocenti”).

Ed Gein fu arrestato, e giudicano insano mentale, per questo non fu giustiziato con la sedia elettrica, passò il resto della sua vita in manicomio criminale, in assoluta tranquillità, è morto il 26 luglio del 1984 per arresto cardiaco.

Segnalo un film sulla storia di Ed Gein, ben fatto: "Ed Gein, il macellaio di Plainfield" (2000)

 

Leather Face (Faccia Di Cuoio):

Non aprite quella porta” (“The Texas Chainsaw Massacre”, USA, 1974) di Tobe Hooper, piccolo gioiello, film cult, che ha aperto le porte (perdonate il gioco di parole) ad un genere di film horror tutto nuovo e moderno, sia per il tema trattato, sia per lo svolgimento della storia, sia per la nascita di una nuova figura del terrore, fino ad allora sconosciuta cinematograficamente: il serial Killer, mascherato, con un'arma che in verità è un attrezzo di lavoro.

 

Prima di questo film, le pellicole “di paura” erano di solito dedicate alle figure di vampiri, mostri, alieni, animali giganti...praticamente tutto un universo fantastico, irreale, che poteva impaurire solo all'interno della sala cinematografica, all'uscita si era rassicurati dall'impossibilità dell'esistenza di certe cose.

Con “Non aprite quella porta” si mette una scritta in basso, nella locandina: “tratto da una storia vera”...questo è l'inizio della paura, fino ad allora sconosciuta, un trucco che verrà utilizzato spesso, in maniera impropria, per moltissimi altri film.

 

Pensare, essere coscienti, che Leather Face possa esistere in qualche fattoria lontana e isolata, può causare un brivido di terrore anche dopo la visione del film, quando siamo al sicuro sotto le coperte. Vedere una motosega in qualche garage del vicino, con il quale magari si ha avuto qualche alterco, non ci farà sentire tanto sicuri e sereni. Questa è stata la grande “invenzione” di Hooper, che pur utilizzando pochi mezzi, attori non professionisti, è riuscito a inventare un linguaggio tutto nuovo, e un personaggio che è un misto tra il mostro di Frankenstein e un caso clinico.

Leather Face è un povero ragazzone, ben piazzato, sfigurato, sicuramente ritardato che compie orribili delitti e si circonda di oggetti costruiti con le parti dei corpi mutilati delle proprie vittime. Ma la grande invenzione di Hooper è stata quella di circondare Leather Face di una intera famiglia di pazzi sanguinari: zii, nonni, cugini....Tutta una famiglia, apparentemente “normale”, anzi quasi sempliciotta, che in verità ha fatto della propria fattoria decadente uno stato a sè, con regole sadiche, abitudini cannibale, gerarchie da rispettare, utilizzando Leaher Face come macellaio di fiducia, questo è l'aspetto secondo me più avvilente, che anche in uno stato di completo sfacelo, ci sia una sorta di sfruttamento del sottosviluppato, del minorato mentale, del più debole.

 

Leather Face è un debole, un disperato, uno che non ha avuto la scelta di poter decidere se rimanere o scappare. Può solo stare in quella casa, che è meglio che la porta rimanga sempre chiusa, che rimanga sempre solo, che lo lascino alle sue abitudini, alla sua sporcizia. Non ha conosciuto mai niente che sia simile ad un affetto, preferisce indossare le facce scuoiate delle sue vittime piuttosto che vedere la sua, si possono però scorgere i suoi occhi disperati, quando si sente perso, perché una delle sue “prede” è riuscita a scappare, lasciandolo ancora una volta solo.

Eppure le persone continuano ad entrare nella sua casa, continuano a varcare la porta e a voler curiosare in maniera morbosa quello che subito appare l'orrore per eccellenza. Non si ammette l' esistenza di Leather Face, troppo orribile per concepirlo, però lo si sfida in continuazione, si cerca di stanarlo.

 

Tengo per Leather Face da sempre, adoro vederlo correre per il bosco brandendo la sua motosega, adoro vederlo all'opera con movimenti sicuri, certi della riuscita, adoro vederlo così concentrato, inferocito, impacciato per la sua grossa mole, risulta però velocissimo nei movimenti, per questo è ancora più diverso dai mostri conosciuti sino ad ora, che di solito si muovevano lentamente, quasi meccanicamente....Lui no! Si trova sempre nel posto giusto al momento giusto, e anche chi riesce a scappare dalla sua furia rimarrà imprigionato nel folle terrore, per averlo incontrato.

 

Massimo rispetto perciò per questa invenzione di Hooper: Leather Face, che prende spunto purtroppo da un serial killer veramente esistito, al quale regala un' aspetto per alcuni versi “poetico” (bellissima l'ultima scena all'alba, dove ferito si gira su se stesso quasi come in una danza, con la motosega ancora funzionante).

Da notare come Hooper rispetti lo stesso quelli che sono i canoni per ottenere la storia dell'orrore per eccellenza: il viaggio iniziale (gli adolescenti che vanno in gita), il raggiungimento del “castello” che ancora si pensa inoffensivo (la casa di Leather Face apparentemente sembra una tranquilla fattoria di campagna, con tanto di dondolo sulla veranda, alla quale chiedere ospitalità), il rivelarsi dell'orrore e del “mostro” in tutta la sua ferocia, il cibo, nutrirsi come rito che precede la morte, la fuga finale, di nuovo l'isolamento o la morte del “mostro”. Questo è fondamentale per la riuscita del racconto, se questi passaggi non vengono rispettati, difficilmente si riuscirà ad avere una storia credibile e accettabile.

Per i racconti dell'orrore i colpi di scena sono inutili, le devianze spettano solo al “mostro”, e in quanto a questo, il grande Leather Face non ci fa mancare niente.

 

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