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Lars von Trier
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Lars von Trier

Oggi [30 aprile 2021] Lars von Trier compie 65 anni.

Uno dei registi danesi più noti e controversi degli ultimi 30-40 anni, se non il più celebrato e odiato in assoluto, von Trier ha attraversato nei lunghi decenni della sua carriera, anticipata già in tenera età con lavoretti casalinghi (e una partecipazione a circa dieci anni in un film televisivo di Thomas Winding, "Hemmelig sommer"), diverse fasi, sempre con l'intento di decostruire i codici del linguaggio cinematografico per creare qualcosa di anti-artistico, e per questo tradendo in continuazione i suoi stessi stilemi di man mano elaborati. La provocazione è un altro elemento evidente in ogni singolo lavoro del Cineasta, nonché nella presentazione delle sue opere e della sua stessa persona in occasioni come interviste e festival vari, guadagnandosi così ulteriori motivi di odio (e per contro anche di amore) da parte della critica e del pubblico. Questa ricerca esasperata della polemica, non sempre soltanto artistica, rende ardua l'identificazione di una logica 'precisa' nel Cinema vontrieriano, aprendo così una lettura puramente 'trolleggiante' della sua Poetica, ovvero interpretando la sua Filmografia (con disprezzo e/o ammirazione) come nient'altro che una sequela di scherzi giganteschi volti a dissacrare le pretese autoriali di molta gente che realizza o discute Cinema. Per me, invece, l'Arte di von Trier è molto meno fine a sé stessa di quanto si possa pensare (e di quanto il Regista stesso voglia sembrare): infatti sono convinto che non esista provocazione e polemica, come nemmeno 'puro estetismo' (o anti-estetismo), che non nasconda in sé una certa convinzione, anche solo inconscia. Inoltre, la volontà stessa di abbattere i codici dell'Arte cinematografica (e dell'Arte in generale), anche senza voler costruire niente di nuovo, costituisce un obiettivo contenutistico non indifferente che si sposa molto volentieri con la critica all'Idealismo portata avanti, esplicitamente e implicitamente, in tutti i Film dell'Autore. Distruggendo le 'norme' della costruzione di un corpo filmico, sia come un oggetto con pretese artistiche sia come un prodotto con intenti commerciali, von Trier porta avanti la condanna all'idea (per me insitamente autoritaria) di poter impostare la realtà secondo una visione astratta, e più questa visione mira al 'bene' e al 'bello' più arrogante è la sua pretesa di plasmare il reale operando così violenza nei suoi confronti. Vedendo sempre più una forte analogia tra la ricerca poetica di von Trier e la filosofia (proto-anarchica) individualista di Max Stirner (anche lui provocatorio, sia nell'incipit de "L'Unico" «Io ho fondato la mia causa sul Nulla» sia nell'utilizzo continuamente positivo del termine "egoista"), mi stupisco sempre di meno della mia crescente adorazione per il Regista danese, e questo stupore si è indebolito anche con la scoperta, leggendo la monografia a lui dedicata (e ferma a "Dogville") da Roberto Lasagna, della sua fiducia nella completa sperimentazione come metodo d'insegnamento migliore per l'Arte cinematografica, contro l'idea dell'apprendimento delle regole. Si potrebbe obiettare che l'Anti-Idealismo vontrieriano contraddica fortemente le sue stesse basi, poiché avversando l'Idealismo si crea inevitabilmente un Idealismo in cui gli Idealismi non esistono, così come l'Egoismo etico stirneriano stabilendo la 'vittoria' dell'Io sugli 'spettri' (ovvero i concetti astratti a cui le società 'pretendono' sia sottomessa l'individualità) diventa esso stesso uno 'spettro' che travalica la singolarità dell'io 'concreto', e già che ci sono inserisco nel confronto anche la mia 'filosofia' (banale e mal abbozzata) della necessità di mettere in dubbio ogni cosa creando per assurdo la necessità di dubitare della stessa necessità di mettere in dubbio ogni cosa. Ma proprio questi paradossi retorici, a mio avviso, fortificano queste concezioni, purché restino riflessioni aperte a modifiche superficiali, profonde o 'totali', ovvero annullando le premesse stesse delle riflessioni iniziali. Insomma, non devono cristallizzarsi in un freddo dogmatismo, e quindi forse il metodo migliore per evitare ciò è riconoscere e accettare questa eventualità di 'dogmatizzazione', probabile motivo per cui von Trier con soci vari ha fondato un movimento chiamato appunto Dogme 95, ossia per 'giocare' col concetto di Dogma partendo già con l'intento per me palese di violarne le regole. E con questa frase mi riaggancio a Lars von Trier dopo l'immensa divagazione auto-referenziale sul mio pensiero e sulle influenze stirneriane che ho subito e subisco (meno male che non ho toccato gli aspetti più prettamente politici del mio Anarchismo), e chiudo anche codesta introduzione spiegando, come al solito, lo sviluppo della seguente 'retrospettiva'. Dopo aver recuperato di recente le mie ultime lacune nei Lungometraggi vontrieriani, mi sono infatti lanciato in una personale maratona della sua Filmografia, con tanto di visione di quei suoi lavori da me esclusi non essendo lungometraggi diretti in autonomia da von Trier, senza però impazzire per cercare titoli 'introvabili'. Da questo simpatico 'tour de force', non proprio ideale in un periodo deprimente come quello attuale ('egocentricamente' e 'globalmente' parlando) ma proprio per questo terribilmente affascinante, ho provato ad elaborare delle riflessioni, concentrandomi soprattutto sui Film cinematografici 'puri' (con l'aggiunta di "Medea") ma trattando, come ho fatto con Miike e in parte con Gilliam, anche i Corti del Cineasta danese, alcune delle videoclip musicali a lui accreditate, la sua serie "Riget" ('Il regno - The Kingdom', su cui dovrebbe tornare entro il 2022) e il semi-documentario "De Fem Benspænd" (Le cinque variazioni). Alcune delle riflessioni che andrò a proporre rielaboreranno recenti miei contributi dedicati ai singoli Film, e non escludo che altre potranno essere ampliate in future ‘recensioni’ nel sito. Ma ora chiudo davvero iniziando a parlare della Filmografia vontrieriana, in cui seguirò per buona parte l'ordine cronologico proposto da Imdb apportando però, stavolta, alcune 'correzioni' mie, ad esempio accorpando "Riget" in un unico blocco riflessivo e 'anticipando' "Dimension 1991-2024" al periodo di riprese effettivo (anni '90) invece che alla sua distribuzione nel 2010.

Playlist film

Nocturne

  • Cortometraggio
  • Danimarca
  • durata 8'

Titolo originale Nocturne

Regia di Lars von Trier

Con Yvette, Solbjørg Højfeldt, Anne-Lise Gabold

Nocturne

"Turen til Squashland", secondo imdb primissima regia di Lars (non ancora von) Trier, è un corto 'animato' piuttosto bizzarro riguardante un trio allegro di conigli 'rabbuiato' dal rapimento di uno di loro da parte di imprecisate creature umanoidi, ma alla fine il poveretto viene salvato da un coso (un salsicciotto?) rosso, il tutto commentato da una musichetta infantile lieta. Ora, il lavoro è estremamente peculiare, ma non saprei se questo delirio sia semplicemente frutto di una mente infantile (a quanto pare Trier era undicenne quando l'ha realizzato) o se sembri 'inquietante' alla luce del suo Cinema adulto: probabilmente entrambe le sfere si mescolano. In ogni caso mi è parso un lavoretto interessante.

 

Un altro dei primissimi esperimenti visivi di Lars Trier, questa volta in 'live action' (e senz'audio), è "Nat, Skat".

Se il predecessore, in quanto animato, aveva un fascino particolarmente artistico e 'sospeso' (retrospettivamente) tra 'genialata da enfant prodige' e 'bambinata', questo , poiché girato con un 'cast' (di età pre-adolescenziale, tra cui credo ci sia Trier stesso) in carne ed ossa, tradisce molto più facilmente la sua natura bambinesca, e la 'trama' da spettacolino ragazzesco con rapina in banca non aiuta certo a porre basi per una lettura 'intellettuale' dell'opera. In altre parole, è un filmino di un ragazzino entusiasta di Cinema, ma vederci 'lampi di genio vontrierani' sarebbe quasi pretestuoso. Quasi, però, poiché i rapidi squarci iniziali di scene totalmente estranee alla 'narrazione' danno un tocco estraniante a questo lavoretto pre-giovanile.

 

Non essendo riuscito a trovare i due corti vontrieriani del 1969 (secondo imdb), "Et skakspil" e "En røvsyg oplevelse", sono saltato direttamente al 1970 (Lars ha 14 anni) con questo corto dal titolo immenso: "Hvorfor flygte fra det du ved du ikke kan flygte fra? Fordi du er en kujon" (tradotto in english come 'Why Try to Escape from Which You Know You Can't Escape from? Because You Are a Coward').

Qua forse possiamo iniziare davvero a trovare autentiche anticipazioni della Poetica dell'Autore, tanto che la scena della fuga del ragazzino nell'erba alta verrà ripresa nel (per ora) ultimo suo Lungometraggio "The House That Jack Built". Accompagnato da una musica psichedelica (a quanto pare "Walking On The Water" dei Creedence Clearwater Revival) assistiamo ad un inquietante corto dal sapore (auto?)accusatorio e risaltato nel disagio dall'utilizzo, ancora inesperto ma già secondo me con una (seppur forse vaga) coscienza stilistica, della macchina a mano.

Molto interessante.

 

Già visto l'anno scorso per curiosità, "En Blomst" è un Corto diretto da Lars Trier a 15 anni massimo. Se già il precedente "Hvorfor flygte..." poteva, per me, definirsi un autentico (in?)consapevole precursore del proprio Cinema, con "En Blomst" la Sperimentazione artistica del regista viene ulteriormente approfondita, adoperando qui il Bianco & Nero. Viene messa in scena una storia breve e semplice, incentrata su un ragazzino che pianta un fiore: nel finale (SPOILER) un'imprecisata catastrofe porta alla morte del bambino. L'ultimo sguardo della mdp punta prima sul fiore, 'rotto', e poi sul volto sanguinante del protagonista. In sottofondo suona l'Alleluia di Händel. L'estetica al contempo artistica e anti-artistica, qui genuinamente acerba, si sposa ad un'auto-contraddizione 'contenutistica', una parvenza di nichilismo disperato che lotta e collabora con una speranza culminando in un provocatorio inno alla distruzione.

Per me un passo fondamentale nell'evoluzione vontrieriana.

 

Passano 7 anni da "En Blomst", senza che siano accreditati (per quel che ne so) altri lavori a Lars Trier, fino ad "Orchidégartneren" del 1978, in cui appare il "von" nei crediti (forse risalente a proiezioni più recenti, ma forse no).

Siamo di fronte al film più lungo fino ad allora realizzato dal giovanissimo (22 anni circa) cineasta danese, più di mezz'ora di durata, e i mezzi a disposizione sembrano più consistenti, probabilmente perché sostenuti dalla scuola di Cinema frequentata.

La relativa lunghezza in certi momenti mi è pesata negativamente e la 'puzza' di pretenziosità a volte mi ha quasi 'annoiato', motivi per cui credo di considerarlo un mezzo 'passo indietro' rispetto al più naïve ma 'spontaneo' "En Blomst". D'altro canto però Trier dimostra una sicurezza estetica molto maggiore e costruisce provocazioni visive intriganti mettendo in gioco (e a nudo) sé stesso e il proprio corpo interpretando direttamente il suo protagonista.

Interessante, dunque.

 

Ispirato al celebre romanzo sadomasochistico "Histoire d'O" di Pauline Réage (pseudonimo di Anne Desclos, nota anche come Dominique Aury), "Menthe - la bienheureuse", a quanto pare traducibile come 'Menta - la benedetta', è un mediometraggio di mezz'oretta in lingua francese scritto, diretto, montato, co-'fotografato' e interpretato in un ruolo secondario dal 23enne Lars von Trier nel 1979 per 'Film Group 16' (secondo wikipedia deutsch un piccolo gruppo di cineasti sperimentali a favore di film non commerciali e in 16mm).

Come il precedente "Orchidégartneren" (e in generale tutta la Filmografia vontrierana) non è privo di evidenti pretese artistiche e forse anche di spocchia ma, a mio avviso, queste sono 'esaudite' da una ricerca stilisticamente personale, in cui assumono una certa rilevanza l'utilizzo della voce narrante (non tra i miei espedienti preferiti ma qui coerente con lo spirito del film e la poetica dell'autore) e le provocatorie domande su sessualità e dominio.

 

"Nocturne", cortometraggio realizzato dal 24enne Lars von Trier durante gli studi alla Danske Filmskole e con il quale vinse un premio ad un festival scolastico a München, racconta la storia di una donna con problemi di vista che, in preda all'insonnia, chiama un'amica poche ore prima di prendere un aereo.

Dopo i mediometraggi sopra la mezz'ora della fine degli anni '70, von Trier ritorna con un corto sotto la decina di minuti, riguadagnando (a mio avviso) la capacità di tenere sempre attento l'individuo spettatore proponendo uno Squarcio di vita intrigante. Esteticamente ci avviciniamo a "Befrielsesbilleder" e "Forbrydelsen Element" con un'affascinante suddivisione delle inquadrature in due scelte cromatiche, da una parte in bianco & nero (in particolare per l'epilogo e un piccolo, credo, flashback) e dall'altra (specialmente per la telefonata) con una colorazione prevalentemente bluastra con l'intrusione di rosso di una lampadina.

Un Gioiellino che consolida lo Stile vontrieriano.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Immagini di una liberazione

  • Drammatico
  • Danimarca
  • durata 57'

Titolo originale Befrielsesbilleder

Regia di Lars von Trier

Con Edward Fleming, Kirsten Olesen

Immagini di una liberazione

BEFRIELSESBILLEDER

Dopo un paio di decenni di esperimenti con cortometraggi vari ("En Blomst" e "Nocturne" a mio avviso i migliori, ma non son riuscito a trovarne almeno 3), nel 1982 Lars von Trier si laurea alla Danske Filmskole con "Befrielsesbilleder" (Image of Relief), il più lungo in assoluto tra i lavori da lui realizzati fino a quel momento e considerabile, per i suoi 52-57 minuti di durata (associabili alla declinante 'categoria' del Mediometraggio), il primissimo Lungometraggio del Cineasta, ottenendo anche una piccola distribuzione nelle sale con capatina all'Internationale Filmfestspiele Berlin del 1984.

Pur essendo sempre più sicuro e maturo nella costruzione stilistica (indubbiamente più di molti suoi corti), la Poetica del 26enne Autore resta un attimo acerba rispetto alle sue Opere successive e il suo sperimentalismo non è ancora veramente staccato da una dimensione (auto)didascalica. Alla prima visione mi parve pure piuttosto pesantino nonostante la durata breve (ma ultimamente ho iniziato a considerare il mediometraggio il formato a maggior rischio di pesantezza nel suo essere al contempo troppo lungo per incuriosire con un'idea semplice e troppo corto per approfondirla) e la qualità abbastanza scadente dell'edizione trovabile in giro non aiuta di certo (servirebbe un restauro). Riguardandolo, però, ho trovato molto più facilmente godibile la visione (confutando così la teoria sui mediometraggi da me sopra abbozzata).

In ogni caso, la Poetica e l'Estetica vontrieriana già qui si notano, anticipando per certi versi la Trilogia europea e in particolare "Forbrydelsens Element" nella resa monocromatica delle Immagini, coi tre atti scanditi dal Rosso (nell'edificio degli Orrori nazisti, con visioni che mi han quasi ricordato il futuro "Hellraiser", in cui si trova il protagonista maschile Leo, ufficiale tedesco), dall'Ocra (la sequenza centrale in cui Leo trova l'amante danese Esther, impegnata con un soldato afroamericano) e dal Verde (per il finale, in esterni, nel bosco). Anticipatrice della Poetica dell'Autore è la a costruzione di Visioni simboliche (in particolare il 'volo' del protagonista nella chiusura) e appoggiandosi ad una Colonna sonora intrigante costituita da Musiche del fiammingo Pierre de la Rue, almeno per quel che sono riuscito a trovare dopo qualche ricerca e ascolto, dirette da Bo Holten (accreditato per la colonna sonora anche del successivo "Forbrydelsens Element"). Non mancano provocazioni morali sull'Amore (o, meglio, contro di esso), gli Idealismi (anche negativi come il nazismo), il Tradimento e una bella dose di Malessere esistenziale ad innaffiare il tutto, ma aprendo qualche spiraglio (sarcastico?) alla Speranza e alla Nostalgia agrodolce.

Ricapitolando, "Befrielsesbilleder" è un (pre)esordio forse ancora un po' acerbo ma particolarmente interessante per chi intende approfondire la Poetica di Lars von Trier.

 

Secondo imdb nel 1983 Lars von Trier avrebbe diretto, insieme a Vlado Oravský, un video per il brano "Elevator Boy" dei Laid Back, ma su varie wikipedia si cita, sempre per i Laid Back, un video soltanto per il successivo "Bakerman".

Comunque, su youtube è reperibile questo lavoro, anche se non riesco ad essere sicuro sulla sua natura: infatti, tra qualche spezzone ripetuto, fuori sincroni vari e momenti dal sapore di outtakes (con risata cantante), mi sale il sospetto che la versione reperibile sul tubo sia una ricostruzione di qualcosa di perduto. Ma può anche darsi che sia semplicemente un video bizzarro. In ogni caso della poetica vontrieriana non ho visto molto e quel 'non molto' (l'uso del colore nell'ascensore ad esempio) credo risponda più a potenziali collegamenti 'retrospettivi'.

A mio avviso non è affatto imprescindibile.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

L'elemento del crimine

  • Noir
  • Danimarca
  • durata 95'

Titolo originale Forbrydelsens element

Regia di Lars von Trier

Con Michael Elphick, Esmond Knight, Me Me Lei

L'elemento del crimine

FORBRYDELSENS ELEMENT

Nel 1984 Lars von Trier realizza il suo primo lavoro professionalmente e non scolasticamente cinematografico con questo "Forbrydelsens Element" aka 'The Element of Crime' [L'elemento del crimine], primo Capitolo della cosiddetta Europa Trilogy, continuata poi con "Epidemic" ed "Europa".

Il Film parte con una seduta psicanalitica al Cairo per poi trascinarci in una storia pseudo-noir esistenzialista dove l'Europa si configura come un non-luogo distopico e surreale, un auto-stereotipo privo di connotazioni geografiche. L'estrema fiducia, anzi Fede, del "Vecchio Continente" nello sviluppo degli ideali, nella teorizzazione incessante e nella funzionalità dei metodi ha portato gli apparati votati all'amministrazione 'scientifica' del sistema legale ad un totale estraniamento dalla realtà portando ala concretizzazione di un incubo decadente. Sporco, marcio e costantemente sommerso dall'acqua, il Vecchio Mondo, col tempo, non è diventato veramente Antico, ma solo più "rugoso" e queste impressioni vengono rafforzate dalla fotografia giallognola, ottenuta tramite l'utilizzo di lampade al sodio, in cui riesce talvolta ad insinuarsi qualche squarcio bluastro dato da lampadine varie. Questa patina ocra ha un sapore antiquato ma senza il Fascino del Tempo che passa e l'Atmosfera trasuda Unto, Decomposizione, Umidità. Europa è un Macro-Organismo che rifiuta di morire, un Corpo in simbiosi col proprio Virus che protrae la propria esistenza nonostante puzzi di Cadavere, un ordine auto-distrutto che cerca di rispondere al pericolo (per la sua struttura di potere ormai auto-ridicolizzata) incarnato dall'Anarchia con due metodi: abbandonarsi ad un caos assoluto (come fa il capo della polizia Kramer) oppure proporre una forzata resurrezione di teorie morte già in fase d'ideazione (come fa il protagonista Fisher seguendo 'l'elemento del crimine' studiato dal suo mentore Osborne).

Arte dissacrante o auto-masturbazione estetica? Forse entrambi ma a mio avviso l'Autore vuole anche esprimere un'Inquietudine che sente nelle Viscere, senza pretendere di avere risposte perché non esistono. Non bisogna dimenticare, inoltre, che tutto il Film è mostrato sotto ipnosi dal protagonista seguendo i propri ricordi, quindi potrebbe essere tutto manipolato. Interessante notare come lo psicanalista sembri vedere la storia insieme a Fisher, analogamente a ciò che sembrerà accadere in "The House That Jack Built", e a proposito la filastrocca che ispirerà il Titolo del Film del 2018 viene qui recitata dalla prostituta Kim alla figlia, mentre un tizio, fuori da una finestra, fischietta un motivetto (che a me ricorda troppo "Rosastela") presente in "Orchidégartneren".

Chiudendo, "Forbrydelsens Element" è forse il primo vero Tassello imprescindibile nella Filmografia vontrieriana, estremamente stimolante nei contenuti e nell'Estetica e, se si ama l'Autore, anche godibile nella fruizione, ma sicuramente non adatto ad ogni situazione e/o stato d'animo.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Epidemic

  • Drammatico
  • Danimarca
  • durata 106'

Titolo originale Epidemic

Regia di Lars von Trier

Con Allan De Waal, Ole Ernst, Michael Gelting, Colin Gilder, Svend Ali Hamann

Epidemic

EPIDEMIC

Secondo capitolo della "Trilogia in E" (o "Europa Trilogy") di Lars von Trier, se "Forbydelsen Element" era un Noir che tradiva il Noir, "Epidemic" è invece un Horror che tradisce l'Horror. Infatti, nonostante il tema epidemico abbia una lunga tradizione orrorifica e nonostante il film nel film venga descritto ad un certo punto come un horror, il Genere non si avverte per quasi tutto il Film esplodendo soltanto nel Finale, quando le due sfere si incontrano partorendo un concentrato piccolo, 'economico' ma efficace di Orrore, Terrore e Inquietudine.

Ancora una volta abbiamo una Critica all'Idealismo. Nel film dentro al Film l'Idealista è il dr. Mesmer (interpretato da von Trier, come uno dei due Sceneggiatori nella narrazione principale di cornice), opposto ad un sistema medico illogico e auto-negazionista (la Medicina, come dogma religioso, nega la propria missione curativa preferendo un ruolo politico). L'Ideale del giovane medico non ha però meno pretese ieratiche dei suoi anziani colleghi e sotto il suo "eticismo" nasconde, soprattutto a sé stesso, un desiderio di santificazione di fatto egoistico. Come gli altri "eroi dissacrati" della prima Trilogia vontrieriana, anche Mesmer alla fine scopre di essere la vera causa del Male che cerca di combattere. Nella cornice invece l'Idealismo è, forse, rappresentato dalle pretese intellettuali con cui i due Sceneggiatori (anche sceneggiatori effettivi del Film concreto) cercano di coprire la frettolosità con cui scrivono il film, ma forse è l'Idea stessa di Cinema, di Arte ad essere messa in discussione, in quanto rappresentazione ideale di un mondo fittizio, ricostruito e manipolato secondo le proprie volontà e, appunto, idee di mondo.

Collegata a tutti questi discorsi, secondo me, è la scelta di marchiare ogni inquadratura, in alto a sinistra con caratteri rossicci, con il Titolo accompagnato da una ©/(e), come a sottolineare la finzione del film mostrato.

Altro Tema importante, legato con il resto della Trilogia, è l'Ipnosi, qua posta alla fine per detonare la Narrazione e il Genere ma richiamata come pratica nel nome del Protagonista della sceneggiatura in progressione (dr. Mesmer). L'Europa, ovviamente, è fondamentale: pur non nominando così spesso il continente come in "Forbrydelsens Element" e in "Europa" esso, oltre a far sentire la sua presenza e decadenza nei richiami alle pesti storiche, è esplicito nel Viaggio tra Danimarca e Germania (in cui incontrano Udo Kier, poi presenza costante in quasi tutti i lavori successivi di von Trier) compiuto dai due sceneggiatori durante la scrittura del loro "Epidemic.

Si potrebbe dire molto altro sul Film, a partire dalla sensazione di forte Auto-Ironia amara, di presa in giro che domina la cornice "principale" contrastato con la serietà solenne del progetto in fase di costruzione, ma per ora chiudo qui, sperando di non essere scaduto (troppo) in ripetizioni di concetti e didascalismi vari.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Medea

  • Drammatico
  • Danimarca
  • durata 75'

Titolo originale Medea

Regia di Lars von Trier

Con Kirsten Olesen, Udo Kier, Henning Jensen, Solbjørg Højfeldt

Medea

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MEDEA

Film per la tv diretto da Lars von Trier partendo da una sceneggiatura (mai portata in scena) del suo mentore spirituale Carl Theodor Dreyer, a sua volta ispirata all'omonima Tragedia di Euripide e già portata egregiamente al Cinema da Pier Paolo Pasolini, un altro grande Provocatore riflessivo.

Forse, nonostante la breve durata, la visione può risultare pesante in alcuni punti, o così mi sembrò alla prima visione con "attesa" di vedere i momenti salienti della Tragedia (e purtroppo la revisione è stata funestata da disturbi sonori vari). Comunque, pur nascendo sostanzialmente su commissione (infatti Brigitte Price, direttrice del dipartimento deatrale di Denmark Radio, voleva mettere in scena personalmente l'Opera di Euripide salvo poi puntare su von Trier, che invece avrebbe preferito "Romeo and Juliet", una volta notata la sua sintonia con la visione dreyerana), "Medea" viene fin da subito appropriata dal Regista di "Epidemic" diventando un Film molto personale con intenti profondamente artistici e sperimentali, come dimostra la cura per le Immagini: in particolare si notano un abbondante uso di sovrimpressioni (e, forse, anche retroproiezioni), un'atmosfera piuttosto claustrofobica (specialmente nella "reggia" di Creonte), diversi riferimenti all'ascensione (a partire dal memorabile incipit in cui la mdp si allontana, ruotando su se stessa, da Medea, ripresa che studiai anche in qualche corso sul Cinema), onnipresenza dell'Acqua con effetto tutt'altro che purificatore (e le immersioni ricordano l'intro del successivo "Riget"), presenza di volti noti nell'entourage del Cineasta (Olesen ripresa da "Befrielsesbilelder", Kier importato da "Epidemic"...) e così via. A differenza di Pasolini, che dava alla storia un'impronta "barbarica" e aggiungeva nella prima parte l'antefatto del Vello d'oro, Trier non esce dai "confini" del Dramma teatrale ma dà un tocco decisamente "nordico" all'Atmosfera, alterando alcuni particolari soprattutto nel Finale con fondamentale cambiamento di morte per i figli di Medea, qui impiaccati e con il maggiore attivo volontariamente nell'eutanasia del fratellino e di sé stesso: questi tradimenti "eretici" rispetto alla Fonte, oltread avere un'altra analogia con "Riget" (anche lì, nella seconda stagione, un 'bambino' vorrà uccidersi per un bene 'superiore', ma nel suo caso la madre è contraria), consolidano l'attitutine dissacrante di von Trier rispetto ai 'dogmi' (e con Dogme 95 l'"eresia devota", o "devozione eretica", partirà direttamente da sé stesso).

La Protagonista è in linea con altri grandi e controversi Personaggi Femminili del Cineasta danese, esagerata nella crudeltà ma fortissima e rispettabilissima caratterialmente: la sua Vendetta è, come per Euripide, una Tortura inflitta soprattutto a sé stessa più che una punizione per Giasone, che vagherà in un mare d'erba, disperato ed incapace di morire.

Da studiare con attenzione.

 

Tra il 1989 e il 1990 Lasrvon Trier dirige per il duo Laid Back un (altro?) paio di video.
Il primo di questi, l'unico accreditato sul sito ufficiale della band, è "Bakerman", in cui si riprende la band impegnata a suonare e cantare (tenendo inoltre nelle mani altri oggetti tra cui un pane) in skydiving, ovvero quell'attività folle consistente nel gettarsi da un aereo. Non c'è molto altro da dire a riguardo, ma l'effetto visivo è piuttosto intrigante e folle nella sua concezione in sé, e il fatto che il Regista stesso fosse un estimatore del gruppo ritenendolo un esempio di Arte avanguardistica rende ancora più surreale il tutto. Comunque, provando a dire qualcosina di più, l'effetto suscitato dall'atto stesso di precipitarsi nel Vuoto mentre in sottofondo udiamo la melodia rilassante e 'pop' della canzone ha stimolato in me 'emozioni vontrieriane', tra cui una certa angoscia causatami dalla prospettiva dello skydiving. Insomma, un video molto interessante.

 

L'altro video, per "Bet It on You", non è citato nel sito ufficiale dei Laid Back ma il Regista è accreditato alla regia, sceneggiatura e 'video-concept' nella versione caricata sul canale "laidbackofficial", quindi non avrei grossi dubbi a riguardo.
Come per "Bakerman", anche qui è soprattutto l'idea in sé ad essere bizzarra: infatti i Laid Back eseguono il brano, ridacchiando e scherzando tra di loro (come in "Elevator Boy", la collaborazione 'incerta' con von Trier), mentre varia gente cerca di superare dei record strani (sollevare pesi con la barba, far entrare più gente in un'auto, trasportare un'auto a mano, mangiare 'muffin', rompere mattoni, tirare calci ad una palla infuocata, soffiare in una 'sacca d'aria'). Alcuni record vengono battuti, altri no.
Ironicamente 'para-documentaristico', direi.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Europa

  • Drammatico
  • Danimarca, Francia, Germania, Svezia
  • durata 114'

Titolo originale Europa

Regia di Lars von Trier

Con Jean-Marc Barr, Barbara Sukowa, Udo Kier, Eddie Constantine, Ernst-Hugo Järegård

Europa

EUROPA

Nel 1991 Lars von Trier chiude la Trilogia sull'Europa proprio con "Europa" (ma noto anche come 'Zentropa', come la compagnia di treni del Film e poi casa di produzione del Regista).

Influenzato fin dal Titolo (richiamante "Amerika") da Kafka (Scrittore che intendo assolutamente approfondire), il Film è intriso di un Clima soffocante e dalla sensazione perenne di incapacità, per il Protagonista Leopold, di liberarsi dal controllo e dalle accuse (esplicite e implicite) in cui ogni altro Personaggio vuole rinchiuderlo.

Il Tema centrale della Trilogia, l'Idealismo, è qua proposto con uno spirito profondamente critico e ambiguo volto a rappresentare in modo drastico la similitudine tra terzo reich e usa, ma più che il potere è dissacrato il "pacifismo", la gentilezza, la tolleranza del protagonista, rivelandone l'ignavia inconsapevole. La neutralità di Leopold non è contestata tanto per la sua indifferenza (per assurdo, anzi, egli è il più volenteroso e idealista) quanto per l'ipocrisia con cui appunto si giustifica mascherando la sua natura autoritaria. Kessler "gioca" a fare il bravo lavoratore che aiuta la Germania ergendosi al di sopra degli schieramenti e sentendosi arrogantemente "buono", ma non si rende conto della sua profonda stupidità e viene sfruttato a destra e a manca, dalle forze di occupazione, dai 'licantropi' nazisti e dallo zio che continuamente lo umilia obbligandolo a mettere da parte sé stesso per obbedire a futili etichette. Il Finale è un disperato tentativo in extremis del protagonista di far valere la sua Individualità, ma è troppo tardi ormai e il gesto estremo di minacciare tutti col fucile e poi far saltare in aria il treno risponde ai giochi, alle persuasioni dei poteri che lo hanno sempre soggiogato. Il risultato consiste, oltre al massacro di bambini (non innocenti, perché l'Europa e, in particolare, la Germania post-seconda guerra mondiale è priva di innocenza) e al tradimento dei propri ideali, nella propria auto-distruzione fisica e "morale" (intesa come morale personale, orgoglio, ma anche morale emotivo), perché la voce ipnotica, altro Tema importante nella Trilogia e nel Cinema vontrieriano (insieme all'Acqua come elemento anti-purificatore), del Narratore rimarcherà al protagonista (e a noi pubblico) la sua condizione di oggetto (cadavere) totalmente passivo, analogo all'Europa post-bellica, divisa tra un passato di totalitarismi interni e un futuro di dominazione esterna (statunitense, ma anche sovietica).

Stilisticamente siamo di fronte al 'picco virtuosistico' della prima fase vontrieriana, tra straordinari giochi fotografici e di montaggio, con Personaggi spesso posti su sfondi irreali (credo ci sia anche qualche retroproiezione), stacchi e compenetrazioni tra bianco-nero e colori (sporchi, grezzi, spenti), e anche per questo "Europa" è un'Opera artistica che val la pena di studiare con attenzione e, rivedendolo, penso di considerarlo forse il primo possibile Capolavoro di Lars von Trier. Sicuramente è fondamentale nel suo chiudere la prima fase poetica del Regista per aprire le porte alla successiva, tra Premi, Televisione e Dogme 95.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Kingdom - Il regno

  • Serie TV
  • Danimarca
  • 3 stagioni 13 episodi

Titolo originale Riget

Con Kirsten Rolffes, Holger Juul Hansen, Søren Pilmark, Ghita Nørby, Otto Brandenburg

Tag Horror, Storia corale, Ospedale, Mistero, Danimarca, Anni '90

The Kingdom - Il regno

Nel 1992 sono accreditati (su imdb) a Lars von Trier tre video musicali, uno per Manu Katché e due per Kim Larsen & Bellami.

Partendo dal primo, anche qui (come in un paio dei video dei Laid Back) non ho trovato molte informazioni riguardanti i retroscena, però ritengo più che credibile la presenza della mano di von Trier per due motivi principali. Il primo è la presenza di un individuo molto simile a lui e con megafono in bocca nella parte finale (prima che la clip sia 'troncata', nella versione da me recuperata su youtube), individuo che credo sia appunto von Trier stesso. Il secondo, e per me più importante, è lo sviluppo del video in sé: infatti, con un eco twinpeaksiano (che ritornerà nella miniserie "Riget"), il video musicale è evidentemente stato realizzato in reverse, con 'muri' che si rialzano mostrando parti del brano e movimenti innaturali, il tutto ripreso in piano-sequenza (apparente?) e ciò lo rende a mio avviso ancor più impressionante.

 

Dei due video accreditati (su imdb) a Lars von Trier per Kim Larsen & Bellami, "Leningrad" non sembra essere rintracciabile. Più fortunata è la ricerca per Danas Have, presente sul canale ufficiale di Kim Larsen (morto nel 2018). Anche se, oltre a imdb, non si trovano fonti sicure sul coinvolgimento del Regista danese, si nota una messa in scena stilisticamente ironica (soprattutto si colpiscono simboli dell'unione europea) e semi-kafkiana (l'ufficio in cui si svolge buona parte della clip) che ben si sposerebbe con la Poetica vontrierana (specialmente poco dopo "Europa"), così come la sostanziale ambiguità etica del tutto (la citata presa di mira dell'ue potrebbe avere mille implicazioni politiche, ma per accertarmene dovrei leggere una traduzione del testo). Abbiamo anche alcuni inserti animati dal sapore gilliamesco e la melodia è, ad un primo ascolto, simpatica. Non imperdibile ma interessante, che l'abbia diretto effettivamente von Trier oppure no.

 

Nel 1994 (mio anno di nascita) e poi nel 1997 Lars von Trier realizza, aiutato nella scrittura da Niels Vørsel e nella regia da Morten Arnfred, "Riget", miniserie ospedaliera divisa, in originale, in 8 puntate (4+4) poco più lunghe di un'ora. Come in "Twin Peaks" Lynch rielaborava, ironicamente, gli stilemi della serialità thrilling drama e della soap opera innestandovi i propri stilemi Surreali, così Lars von Trier in "Riget" riscrive parodisticamente i codici del dramma ospedaliero con il proprio Stile dissacrante ed esteticamente provocatorio, mettendo in scena un mondo distopico e grottesco costruito su regole bizzarre e popolato da Personaggi schizzati in cui, per assurdo, la maggior lucidità sembra essere posseduta, oltre che da spiriti vari, da una coppia di lavapiatti down. Non manca la Dissacrazione di ogni principio, dall'autoritarismo al liberalismo, evidenziando il dogmatismo religioso insito nelle pretese iper-razionali e anti-spirituali della scienza 'potente', infilando man mano deliri crescenti e gustose sperimentazioni nella costruzione filmica, dalla fotografia marroncina alla scelta intrigante di riprendere varie scene in piani-sequenza ripetuti per poi montarli insieme ottenendo un effetto destabilizzante. Piccola ma fondamentale nota auto-referenziale e/o auto-ironica, va sottolineata la costante apparizione 'hitchcockiana' del Cineasta al termine di ogni episodio, per lanciare qualche commento scherzoso e invitare il pubblico a proseguire la visione (mimando il gesto del crocefisso, per il 'bene', e le corna sataniche, per il 'male). La prima stagione, forse, sembra ad una prima visione un filino migliore rispetto alla seconda, ma questo credo sia dovuto alla mancata 'novità' della commistione tra 'realismo' e 'assurdo' e, per quanto da una certa ottica affascinante, alla chiusura tronca della serie, causata da mancato rinnovamento e morte di diversi interpreti regolari, ma l'anno prossimo dovremmo riuscire ad assistere alla sua risoluzione.

 

Lars von Trier realizza anche "The Shiver", ovvero il video del brano composto dal fidato Joachim Holbek per la sigla di "Riget".

Insieme a spezzoni della Serie, la clip mostra un personale ospedaliero intento a ballare, con tanto di 'tutorial' per il pubblico, il Tema musicale, inserendo anche blooper vari, in particolare risolini (in questo è affine ai lavori, effettivi o 'presunti', svolti per i Laid Back). Sostanzialmente credo sia per metà un divertissement e per l'altra metà materiale auto-promozionale, ma la costruzione è piuttosto buona, l'ironia (auto)dissacrante dell'Autore si avverte per tutta la durata e il Brano in sé è talmente evocativo da non riuscire ancora a 'saziarmi' completamente (lo ascolterei in loop).

 

Tra il 1991 e il 1997 Lars von Trier, aiutato nella sceneggiatura dal fidato Niels Vørsel e prendendo il cast dagli altri suoi lavori del periodo ("Europa", "Riget", "Breaking the Waves"...), inizia a costruire "Dimension", un progetto con finanziamenti danesi e francesi privo di un soggetto definitivo da girare in 33 anni e distribuire nel 2024. Già dopo il 1997 non dovrebbero essere avvenute riprese aggiuntive e, nel 2010, il film viene completamente abbandonato, causa disinteresse vontrieriano, e i 27 minuti raccolti sono ora visibili, credo, in dvd (e sicuramente su youtube).

Non è possibile esprimere un giudizio obiettivo sul lavoro poiché l'incompiutezza estrema (anche l'audio è quello grezzo della presa diretta, con tanto di direzione vontrieriana in chiusura) vanifica ogni sforzo d'individuazione di un qualsiasi percorso artistico o anti-artistico, ma come anteprima di un'opera incompiuta è affascinante, come la prospettiva di una 'parodia interna' del gangster movie.

Rilevanza: 1. Per te? No

Le onde del destino

  • Drammatico
  • Danimarca
  • durata 158'

Titolo originale Breaking the Waves

Regia di Lars von Trier

Con Stellan Skarsgård, Emily Watson, Katrin Cartlidge, Jean-Marc Barr, Adrian Rawlins

Le onde del destino

BREAKING THE WAVES

Dopo "Europa" trascorre un lustro prima che von Trier torni al Cinema con un Lungometraggio: in questo lasso di tempo non resta, però, inattivo realizzando alcuni video musicali, la prima stagione di "Riget" e fondando ne 1995, insieme a Vinterberg e altri, il Movimento Dogme 95 con il suo "rigido" (su carta, ma i fatti poi smentiranno resto il dogmatismo dichiarato, e probabilmente non è mai stata davvero intenzione degli autori l'adesione totale a tutte le regole auto-imposte) decalogo e la promessa di riportare l'Arte cinematografica alla sua 'innocenza'. In questo periodo il Cineasta elabora anche la sceneggiatura di un progetto, per cui cerca fondi, che poi si concretizzerò in "Breaking the Waves".

L'Opera si stacca nettamente dalla stilizzazione della Trilogia Europea ma, pur presentando alcune influenze del Dogme 95, non ne fa chiaramente parte visto che ne tradisce almeno metà dei dettami (set, musica extra-diegetica, regia accreditatata, alienazione temporale: queste solo le violazioni palesi). Si inaugura, inoltre, un'altra Trilogia, quella "Golden Heart" (chiamata così da un libro letto durante l'infanzia dal Regista) poi proseguita con "Idioterne" e conclusa con il Capolavoro "Dancer in the Dark".

Come avverrà nel resto del Trittico, in particolare nel terzo capitolo, come Protagonista (la seconda donna Protagonista in un Lungometraggio vontrieriano dopo "Medea", e da qui una mezza costante nel suo Cinema pur con eccezioni) abbiamo una giovane donna (Bess) dal cuore puro che, però, verrà trascinata dalla sua ingenuità e totale altruismo in azioni estreme che la porteranno a conseguenze tragiche. Anche qui Trier mantiene un approccio sostanzialmente ambiguo sull'osservazione morale dei propri Personaggi e sembra affiorare un certo cinismo, ma credo sia evidente la visione negativa del bigottismo patriarcale della comunità in cui Bess vive, così come mi pare chiaro che, pur mettendo in luce gli effetti negativi dei tentativi di aiuto che riceve dalle persone a lei davvero care, la loro bontà sia tuttavia riconosciuta. Inoltre, pur essendo la storia talmente esagerata nel melodramma da lasciar trasparire una possibile parodia del filone 'strappalaccrime' (interpretazione sposata anche da Žižek, se ho compreso il senso di un breve stralcio di un suo discorso), io avverto un genuino e profondo rispetto per l'innocenza e l'ingenuità della sua Protagonista, cosa che invece non si avvertiva (o, almeno, io non ho avvertito) per i Protagonisti maschili dell'Europa Trilogy, per i quali al massimo si provava pietà.

Sul piano stilistico, il Film presenta uno straordinario miscuglio di sperimentalismo para-documentarista (e filo-Dogme) con estetismo perfezionista, aiutato da un Cast tutto straordinariamente in parte (con la Protagonista, Watson, punta di diamante, come praticamente sempre nelle Opere vontrieriane) e una Colonna Sonora eccellente, soprattutto nelle scelte d'introduzione dei 7 Capitoli + Epilogo (dove, nella versione da me vista e rivista, viene usata "Life on Mars" di Bowie, quindi dovrebbe essere proprio il Director's Cut inizialmente distribuito nelle sale).

Un Gioiellino, anzi un Capolavoro per me e, ne sono sempre più convinto, l'Opera che pone davvero le Basi dell'attuale Poetica di von Trier.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Idioti

  • Drammatico
  • Danimarca
  • durata 117'

Titolo originale Idioterne

Regia di Lars von Trier

Con Jens Albinus, Bodil Jørgensen, Anne Louise Hassing, Troels Lyby

Idioti

IDIOTERNE

Nel 1998 Lars von Trier, dopo aver completato la seconda stagione di "Riget", torna con un lungometraggio in lingua danese.

Secondo capitolo della Golden Heart Trilogy e secondo lavoro ufficiale del movimento cinematografico Dogme 95 (di cui, pur rispettandone lo spirito, viola dichiaratamente alcune regole, nello specifico intervenendo sulla location e sull'illuminazione e inserendo una musica fuori campo, "Le Cygne" di Saint-Saëns, anche se qui la regola viene 'aggirata' registrando lo strumento durante le riprese), "Idioterne" è anche tra i primi film girati interamente in digitale e, inoltre, credo sia stato il primo lavoro di Trier da me puntato, fin dalle medie (ma poi è stato tra gli ultimi effettivamente recuperati di recente).

Il film, con un gusto sospeso, anche e soprattutto per la sua adesione alle regole di Dogme 95, tra l'amatoriale (con frequenti apparizioni di microfoni e altri elementi della crew) e il para-documentaristico, quest'ultimo rafforzato dagli intermezzi di interviste ai personaggi principali con domande poste (fuori campo) da von Trier stesso, racconta il 'gioco-serio' di un gruppo di persone 'ufficialmente sane' (prevalentemente giovani e, a quanto pare, di classe medio-alta) consistente nel fingersi affetti da disturbi mentali, per ritrovare la propria felicità interiore in un mondo alienante e al contempo disturbare la serenità della popolazione 'perbene'. In coerenza con la Poetica vontrieriana (non accreditato alla regia, seguendo qui l'ultima 'legge' di Dogme 95), "Idioterne" mette in scena una provocatoria dissacrazione della società e delle sue ipocrisie che arrivano però a toccare anche il gruppo stesso di finti 'idioti', 'leader' Stoffer in primis con la sua ossessione per l'adesione radicale alla filosofia del gruppo (forse auto-critica cinematografica?). Solo il personaggio 'semi-estraneo' di Karen, l'ultima entrata nel gruppo e 'punto di partenza' dell'opera nonché 'golden heart' (sempre femminile) di questo capitolo della Trilogia ideale, con la sua adesione incompleta, ingenua e sostanzialmente passiva all'esperimento di fatto si salva dalla falsità e dalla crudeltà della società civile che vuole includere i diversi ma tenendosene bene alla lontana e che il gruppo di 'idioterne' vuole condannare ma proprio per questo si ritrova a condividerla. È Significativa, a questo proposito, la sequenza in cui il gruppo incontra dei disabili veri, ed è ugualmente interessante notare come questo confronto, smorzando l'entusiasmo degli altri membri del gruppo, porti invece Karen a trovare la propria idiota interiore.

In diversi punti si ride per poi subito provare vergogna quando l'atmosfera di colpo si drammatizza e/O si intromettono elementi problematici, mantenendo l'individuo spettatore in una situazione di Disagio interiore non piacevole ma, personalmente, degno di apprezzamento.

Un altro Gioiellino di von Trier, fondamentale nella sua maturazione (anti)artistica.

 

Per promuovere "Idioterne", Lars von Trier realizza un videoclip per la cover di "You're a Lady" di Peter Skellern: ad eseguirla, in studio di registrazione, abbiamo von Trier in persona e i personaggi del suo Film, impegnati come idioterne (tranne Karen/Bodil Jørgensen e Susanne/Anne Louise Hassing) ad aggiungere un assai sgraziato coretto sul finale.

Come altri video musicali vontrieriani è il concetto stesso, l'idea di 'trama' su cui si sviluppa la clip ad essere intrigante e spassosa a prescindere: la messa in scena si limita a 'servire' l'intuizione con il gusto semplice e para-documentaristico di "Idioterne", tanto da sembrarne quasi una possibile scena tagliata o un mini spin-off.

Al di là delle cazzate che posso qui scrivere, "Lars Von Trier & The Idiot All Stars: You're a Lady" merita molto di essere visto a mio avviso.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Dancer in the Dark

  • Drammatico
  • Danimarca
  • durata 139'

Titolo originale Dancer in the Dark

Regia di Lars von Trier

Con Björk, Catherine Deneuve, Peter Stormare, David Morse

Dancer in the Dark

In streaming su Chili

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Il 2000 per von Trier si apre con un curioso progetto televisivo intitolato "D-Dag", condiviso con altri soci del Dogme 95 (Vinterberg, Levring e Kragh-Jacobsen): nella notte di Capodanno il quartetto girò in diretta, con regia 'da remoto', una storia divisa in 4 parti su una rapina. Ogni segmento era trasmesso su un diverso canale televisivo nazionale (più uno complessivo in split screen) lasciando così al pubblico l'onore di curare il 'montaggio' da casa con il telecomando. Non essendo riuscito a trovarlo, né il segmento ("Lise") di von Trier né l'edizione montata da Óskarsdóttir nel 2001 (né tantomeno il progetto intero) non posso esprimere opinioni a riguardo: l'idea comunque mi sembra estremamente intrigante (e coerente con l'Anti-Artismo del movimento) ma pare che come esperimento non fu completamente riuscito, soprattutto per problematiche legate alla diretta.

 

DANCER IN THE DARK

nel 2000 Lars von Trier debutta anche a Cannes con "Dancer in The Dark", terzo e ultimo capitolo della "Golden Heart Trilogy", con Protagonista la Musicista islandese Björk, alle prese anche con la colonna sonora . Il Film vince, a sorpresa, la Palme D'Ore e aggiudica alla cantante il Prix d'Interprétation Féminine.

Controversie sono scaturite da recenti dichiarazioni della Cantante su comportamenti disdicevoli del Regista e la forte tensione sul set ha portato all'immediato abbandono del Cinema da parte della donna (che però dovrebbe tornare presto con "The Northman" di Robert Eggers).

Al di là di questo spiacevole dietro le quinte, "Dancer in the Dark" è un Musical unico nel suo genere, parodia tragica e rielaborazione sperimentale del filone, grazie all'estetica para-documentaristica dell'Autore danese (che nelle scene oniriche, in cui avvengono i momenti musicali, modifica l'illuminazione e soprattutto la saturazione dei colori, altrimenti 'spenti' nella maggior parte della Pellicola) e all'utilizzo quasi industrial (marcatamente 'dolce-amaro') di rumori di scena per avviare ed elaborare i Brani cantati.

Se "Breaking the Waves" era per von Trier il momento pre-Dogme 95 e "Idioterne" quello puramente Dogme 95, "Dancer in the Dark" è il Capitolo Post-Dogme 95 della Trilogia. Le regole del Movimento (a metà della sua decennale vita), tra filtri, sonoro fuori campo, spostamento temporale e geografico, scene a effetto e nome del Regista, sono calpestate ma la sua influenza permane nell'approccio anti-drammaticamente drammatico e realisticamente anti-realistico della messa in scena, come anche la sovversione interna dei codici del film strappalacrime, l'irrisione del gusto finto di Hollywood e soprattutto la sensazione di vedere un'opera cinematografica 'spontanea' e 'grezza'.

Personalmente lo ritengo uno dei Film più drammatici che io abbia mai visto e rivisto, dalla storia 'deprimente' costruita da von Trier alla sua messa in scena scarna e disperata, passando per l'intensa interpretazione 'non recitata' di Björk e le sue Canzoni struggenti, con notevole contributo apportato dal resto del Cast. L'elemento auto-parodistico del drammone, che potrebbe portare ad una lettura 'trolleggiante' della Pellicola, non riesce (o non vuole) ad evitare l'accenno di lacrima, ma soprattutto in esso proliferano Temi prettamente vontrieriani come la Disperazione (palpabile in modo disagiante nel Finale) e l'Ingenuità (per me ammirata se non invidiata dall'Autore), arrivando alla messa in discussione nichilistoide e politicamente anti-politica dei valori della società (nello specifico qui statunitensi) e delle sue istituzioni: dalle diseguaglianze enormi del sistema capitalistico (dove essere poveri comporta il rischio costante di perdere salute, felicità e vita) alla sfiducia nella polizia, von Trier mostra, senza enfasi retorica (e magari senza nemmeno intenzione) come la 'Terra delle Opportunità' (titolo non casuale della sua successiva, e incompiuta, Trilogia sugli USA) sia una realtà sterile di opportunità ma prolifera di Crudeltà, Moralismo e Ipocrisia.

Un Gioiellino, anzi un Capolavoro difficile da rivedere per l'Amarezza di sentimenti e riflessioni stimolate ma proprio per questo fondamentale e penetrante: forse è l'Opera che preferisco in assoluto di Lars von Trier, anche se "Melancholia" e "Nymphomaniac" la 'rincorrono'.

Rilevanza: 1. Per te? No

Dogville

  • Drammatico
  • Danimarca, SF, Germania, Italia
  • durata 165'

Titolo originale Dogville

Regia di Lars von Trier

Con Stellan Skarsgard, Nicole Kidman, Siobhan Fallon, Chloë Sevigny, Patricia Clarkson

Dogville

DOGVILLE

A tre anni di distanza dall'acclamazione critica di "Dancer in the Dark", nel 2003 von Trier inizia la trilogia, rimasta incompiuta, "USA - Land of Opportunities" con questo "Dogville", accompagnato nel titolo e nella scheda iniziale da una misteriosa "U" (che sta quasi certamente per "USA"), con il quale torna a competere per la Palme d'Or a Cannes e forse anche per la migliore attrice Nicole Kidman, stavolta però perdendo da una posizione favorita contro "Elephant" di Van Sant. L'accoglienza critica, come sempre, è divisa tra "odio" e "amore", attirandosi diverse accuse (alcune forse da intendere come complimenti) di 'anti-americaneismo', maturando nel tempo un rispetto crescente fino ad entrare in diverse classifiche dei film migliori del nuovo secolo (tra cui una personale stilata da Tarantino).

Ancora una volta il Cineasta danese imprime una svolta nel proprio percorso stilistico, al contempo fedele ed eretico nei confronti della sua Filmografia precedente: il carattere più evidente è la messa in scena 'teatrale' della narrazione, con un set privo di muri fisici, sostituiti da una traccia 'mappale' per terra, e qui la finzione del mezzo cinematografico è perennemente denudato (in questo dovrebbe essere ispirato a Brecht, stando alle mie letture critiche). Questa ibridazione tra Cinema e Teatro, con un pizzico di Letteratura nella massiccia presenza della voce narrante di John Hurt, contravviene a quasi tutte le regole di Dogme 95, essendo l'Opera interamente costruita in set con suoni operati posticciamente (per rievocare rumori come quelli di apertura delle porte) e illuminazione per forza di cose artificiale, mentre la sua spogliatezza estrema è quanto di più lontano potrebbe esserci dall'estetismo degli Esordi vontrieriani. Eppure in questo modo l'Autore arriva al suo più radicale smascheramento della finzione cinematografica, meta di tutta la sua ricerca stilistica, e lo stile di riprese è sempre quello para-documentaristico della macchina a mano.

Sul piano contenutistico emerge l'ennesima provocazione disturbante di von Trier e la sua messa in discussione dei valori 'buoni' della società e dell'idealismo, mettendo in luce in particolare (e il finale lo svela apertamente) l'Arroganza insita in ogni Individuo, sia che intenda apertamente sfruttare il proprio prossimo facendosi guidare dall'ostilità sia che voglia donarsi al mondo spinto dal pietismo. Da un lato infatti si cerca di coprire la propria irriconoscenza e il proprio egoismo con una giustizia sommaria e crudele, dall'altro invece si cerca di coprire la propria pretesa di superiorità morale con una gentilezza che però non è autenticamente disinteressata: ogni azione umana (parole, omissioni e pensieri inclusi) è dettata dall'Egoismo e negarlo per me significa spalancare le porte all'auto-illusione, al dogmatismo e all'ipocrisia.

Visto per la prima volta sul finire del mio periodo di 'approccio' a von Trier, i miei pregiudizi di un pretenzioso teatro filmato furono al contempo confermati e sovvertiti, incontrando numerosi stimoli riflessivi, anche sull'idea stessa di Cinema. Rivedendolo, con occhi ormai 'corrotti' del Cinema 'anti-cinematografico' di Lars von Trier, rafforzo le mie impressioni positive su quest'Opera provocatoria e complessa. 

 

'FLASHBACK'

Nel 2001 Lars von Trier gira un test per provare la scelta concettuale di "Dogville", utilizzando interpreti danesi (un paio almeno da "Idoterne") per interpretare alcune battute e scene di quello che poi sarà il Film. La durata di questo "Pilot" su imdb e wikipedia è indicata intorno ai 15 minuti, ma io son riuscito a vederne solo 6 riguardanti la scena pre-arrivo di Grace, il dialogo sulla panchina tra Tom e la donna durante il 4 luglio, SPOILER lo stupro perpetrato da Chuck e l'epilogo. Si tratta semplicemente di una prova, tra l'altro senza sottotitoli (ma i dialoghi credo siano quelli del film), in cui però già si vede lo scheletro del Gioiellino del 2003. Non imperdibile ma (molto) interessante, soprattutto se si ama "Dogville" e il Cinema vontrieriano.

Rilevanza: 1. Per te? No

Le cinque variazioni

  • Sperimentale
  • Danimarca, Svizzera, Belgio, Francia
  • durata 90'

Titolo originale De fem benspænd

Regia di Jørgen Leth, Lars von Trier

Con Jacqueline Arenal, Patrick Bauchau, Daniel Hernandez Rodriguez, Jørgen Leth

Le cinque variazioni

Nel 2003 esce anche "De Fem Benspænd", interessante esperimento metacinematografico, allo stesso tempo (auto)remake multiplo di "Det Perfekte Menneske", (auto)making of del(l'auto)remake e (auto)analisi di Leth (e von Trier).

Divertissement, dissacrazione, Cinema concettuale, Cinema (anti)politico, o pura psicanalisi svolta dagli Autori su sé stessi? Probabilmente tutti questi aspetti, e altri ancora, sono presenti, e allo stesso tempo non presenti. Il film appartiene a Leth o a von Trier? A entrambi e a nessuno dei due. A tratti risulta spiacevole da guardare (personalmente ho trovato quasi insopportabile il segmento "Bombay" e il suo immaginario colonialista), ma anche per questo "De Fem Benspænd" risulta estremamente intrigante aiutando a dare maggior spessore alle mie stesse convinzioni politiche, collocandosi visceralmente nella Poetica vontrieriana ed evidenziando la 'parentela' con l'estetica di Leth (che ho scoperto solo ultimamente e 'in funzione' del mio approfondimento di von Trier).

Un piccolo Gioiellino.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Manderlay

  • Drammatico
  • Danimarca, Svezia
  • durata 139'

Titolo originale Manderlay

Regia di Lars von Trier

Con Bryce Dallas Howard, Isaach De Bankolé, Willem Dafoe, Danny Glover, Lauren Bacall

Manderlay

MANDERLAY

Nel 2005, a due anni di distanza da "Dogville" e "De Fem Benspænd", von Trier torna nelle sale con il secondo capitolo del progetto trilogico 'USA – Land of Opportunities': "Manderlay", accompagnato (dopo la "U" per il capitolo precedente) da una "S" nel titolo e nella scheda d'apertura. La Protagonista Grace, qui interpretata da Bryce Dallas Howard al posto di Kidman (mentre Willem Dafoe sostituisce Caan nei panni del padre gangster), sposa il suo idealismo 'puro' alla causa di un'altra piccola comunità (Manderlay appunto) dove ancora persiste la schiavitù.

Se a Dogville la giovane fuggiva la propria eredità gangster, qui la pretende per estirpare lo status quo schiavista ed imporre una democrazia gestita, nelle intenzioni, dalla comunità nera, ma le difficoltà saranno molto più ardue del previsto e verranno messe a durissima prova dall'esito finale. Oltre che nei rapporti col padre, è speculare la situazione stessa in cui si trova Grace: a Dogville era lei la schiava a cui la comunità addossava colpe inventate, qui la comunità stessa è quasi interamente composta da schiavi. In entrambi i casi, però, Grace si presenta fin da subito come agente 'benefico' intenzionata a imporre, più che proporre, il proprio aiuto, la propria 'Grazia'.

La Provocazione sociale e 'retorica' non può non mettere a disagio l'individuo spettatore ma questa spiacevolezza aiuta a rendere stimolante la visione sul piano riflessivo. Grace, nel modo benevolmente paternalistico con cui 'guida' la gente ex-schiava nella 'libertà', tradisce un atteggiamento suprematista non meno razzista e autoritario (ma più ipocrita) del vecchio sistema. Anche a Manderlay l'idealismo di Grace sembra rispondere più ad una volontà egoistica di soddisfare il desiderio di costruire una propria comunità ideale, ma il problema consiste nella pretesa di rispondere ad un Assoluto astratto e nella declinazione verticistica del proprio idealismo che, analogamente a "Dogville", viene alla fine ritorto dalla popolazione 'aiutata' contro la sua propugnatrice, che fugge dal ruolo di padrona per cui viene democraticamente eletta, non prima di averne assaporato il piacere (frustando Timothy, il 'massimo traditore' della sua visione del mondo, come Tom era invece il traditore del suo amore) completando così la propria disfatta morale.

"Manderlay" è un altro Gioiellino provocatorio dello stronzissimo Lars von Trier, uno spietato atto d'accusa contro il complesso del 'salvatore bianco' sostenuto da un'estetica al contempo teatralmente anti-cinematografica e cinematograficamente anti-teatrale, da un Cast tutto straordinariamente intenso e da una suggestiva Colonna sonora, arrangiata da Joachim Holbek, per lo più classica, con eccezione per "Young Americans" di David Bowie che, come in "Dogville", accompagna la cattivissima carrellata di foto (tra cui una di Bush jr. sulla strofa «Do you remember, your president Nixon?») che testimoniano il proseguimento del razzismo statunitense.

 

Nel 2005, in terra francese, viene distribuito "Le Court Des Grands", raccolta di corti risalenti agli esordi di dodici grossi nomi della regia: tra questi (oltre a Gilliam e Polanski, per citare i due Autori a cui ho già dedicato in passato delle retrospettive) abbiamo anche Lars von Trier con il suo "Nocturne", di cui già ho parlato, quindi passiamo subito oltre.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Il grande capo

  • Commedia
  • Danimarca, Svezia
  • durata 99'

Titolo originale Direktøren for det hele

Regia di Lars von Trier

Con Jens Albinus, Peter Gantzler, Fridrik Thor Fridriksson, Benedikt Erlingsson, Iben Hjejle

Il grande capo

In streaming su Chili

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DIREKTØREN FOR DET HELE

Tra due trilogie (quella, incompleta, sugli Usa e quella, completa, della Depressione) Lars von Trier, nel 2006, torna a girare in danese realizzando "Direktøren for det Hele".

Lo Sperimentalismo provocatorio del Regista vede un elemento molto interessante nella scelta di adottare la tecnica dell'Automavision, 'inventata' da von Trier stesso e consistente nell'affidare la gestione dell'inquadratura ad un computer, pur pre-settando dei limiti (e il cast, individuando la mdp, ha 'manipolato' a volte la propria posizione nell'inquadratura). La 'casualità meccanica' dell'operazione di ripresa elimina così il principio di ricerca estetica nella costruzione dell'immagine, rafforzando il gusto volutamente anti-artistico dell'Autore.

Sul piano contenutistico, ancora una volta Lars von Trier distrugge ogni idealismo, mettendo in luce, in particolare, la Vacuità dell'Autorità, principio astratto la cui forza è fondata esclusivamente sulla propria 'impalpabilità' (o 'spettralità', tanto per citare Stirner): infatti, quando l'Autorità assume la forma di un un individuo e questo inizia a sviluppare sfaccettature sempre più 'concrete', nel fisico e nella psicologia, il Potere che rappresenta rischia pericolosamente di crollare perdendo la propria credibilità.

Von Trier collega questa riflessione 'sociologica' ad un gioco meta-narrativo, introducendosi 3 volte nel racconto come narratore (e riflettendosi in una vetrata) e prendendosi gioco della figura dell'Attore, significativamente senza indicare un 'regista' (interno al racconto) fisso. La gestione del Personaggio del "Direktøren for det Hele" del Titolo, tradotto credo correttamente in english come 'The Boss of It All' ma significativamente richiamante l'inglese 'director' (regista), è costantemente contesa dall'interprete Kristoffer e da Ravn, il vero 'direttore' della compagnia che assume l'attore per impersonare l'inesistente presidente, ma inconsapevolmente e/o consapevolmente anche altri personaggi (e il pubblico?) gestiscono la figura del 'grande capo' proiettandone le proprie interpretazioni, speranze e timori. Per assurdo, quindi, il ruolo interpretato è il ruolo del Regista/Capo, ovvero di colui che dovrebbe dirigere il 'tutto' (l'azienda? la narrazione?), ma doverlo interpretare significa ammettere che questo Capo/Regista non esiste, e così ci ricolleghiamo al Tema precedente (la natura astratta dell'Autorità) e con esso alla tecnica dell'Automavision, con la quale si annulla, oltre alla figura del direttore di fotografia, il ruolo del Regista come 'Autore'. Lars von Trier sembra quindi aver compiuto la promessa di auto-annullamento del regista fatta con Dogme 95 e in particolare con "Idioterne", da cui non a caso riprende diversi interpreti tra cui Jens Albinus come co-protagonista e per di più chiamato (Kri)Stoffer.

Un Gioiellino, visto con enorme piacere e due settimane dopo rivisto con altrettanto godimento: a mio avviso questo è uno dei Lavori più sottostimati in assoluti del Regista danese.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

A ciascuno il suo cinema

  • Sperimentale
  • Francia
  • durata 110'

Titolo originale Chacun son cinéma

Regia di Amos Gitai, Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne, Theo Anghelopoulos, Ethan Coen, Ken Loach, Zhang Yimou, Wong Kar-wai, Nanni Moretti, Takeshi Kitano, Abbas Kiarostami, Atom Egoyan, Joel Coen, Manoel de Oliveira, Wim Wenders, Olivier Assayas, Lars von Trie

Con Josh Brolin, Grant Heslow, Emilie Dequenne, Jérémie Segard

A ciascuno il suo cinema

Nel 2007, per il 60° anniversario del Festival di Cannes, viene commissionato "Chacun son Cinéma ou Ce petit coup au coeur quand la Lumière s'éteint et que le film commence", antologia di 34 corti, tutti lunghi circa 3 minuti, diretti da vari Autori come Lynch, Cronenberg, Polanski, i Coen e così via. Tra questi c'è anche Lars von Trier, il quale scrive, dirige e interpreta "Occupations": durante la proiezione di "Manderlay", un affarista tormenta von Trier raccontando il suo successo e, quando poi chiede al Cineasta informazioni sul suo lavoro, questi risponde «I kill» e lo uccide con un oggetto che a me pare un piccone. Un cort(issim)o squisitamente vontrieriano in cui non è chiaro se la provocazione abbia un intento riflessivo (il fastidioso 'businessman' si vanta delle sue ricchezze tirando in ballo la tiritera del 'self-made-man') o se sia una 'trollata', ma proprio per questo mi ha divertito.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Antichrist

  • Drammatico
  • Danimarca, Germania, Francia, Svezia, Italia, Polonia
  • durata 100'

Titolo originale Antichrist

Regia di Lars von Trier

Con Willem Dafoe, Charlotte Gainsbourg

Antichrist

ANTICHRIST

Nel 2006 Lars von Trier viene ricoverato/si fa ricoverare per depressione. Qui il Cineasta inizia a sviluppare quello che poi diventerà "Antichrist", ispirandosi alla visione di alcuni horror giapponesi e auto-analizzando' la propria Depressione e le proprie ansie. Durante la lavorazione il Cineasta si rende conto di non essere completamente ristabilito dal suo disturbo, che affronterà in seguito anche con "Melancholia" e "Nymphomaniac" (costituendo così una Trilogia sulla Depressione), ma comunque riesce a finire il Film ottenendo una buona accoglienza critica con debutto (ancora) a Cannes, pur non mancando le controversie, inevitabili e volute, come sempre, dall'Autore.

Il Cast vede come praticamente unici personaggi umani escluso il bambino (le varie comparse sono oscurate nei volti) un Uomo e una Donna, innominati e interpretate rispettivamente da Willem Dafoe, desideroso di tornare a lavorare con von Trier dopo "Manderlay" e affascinato dall'estremismo della storia, e Charlotte Gainsbourg, che tornerà come (co)Protagonista in tutti i Capitoli della Trilogia (credo sia la pèrima volta che capiti: il 'record' di 'protagonismo vontrieriano', per i lungometraggi cinematografici, era intanto fermo al 2 raggiunto da Albinus e Olsen) in seguito a sue insistenze ma la prima attrice presa in considerazione fu Eva Green.

Mia primissima esperienza col Cinema von trieriano, all'epoca (2017) nutrivo sospetti sul Regista, da cui mi aspettavo una sostanziale vacuità artistica imbellettata con della provocazione pseudo-autoriale: la prima visione del Film lasciò quasi intatte le mie perplessità ma già apprezzai certe finezze stilistiche e alla successiva visione (2019) i Dubbi raggiunsero lo status di Domande contraddittorie e stimolanti. Alla terza visione la stima si è rafforzata, sia per le finezze stilistiche sia per le disturbanti riflessioni e dilemmi (anche etici) che inevitabilmente stimola. Masturbazione artistica? Misoginia autentica e/o 'trolleggiante'? Forse, ma anche estremamente intima nell'affrontare problemi sentiti come la Depressione e l'Ansia. Sulla Misoginia, se alla prima sospettosa visione quest'accusa, con tutti i miei dubbi, era presa da me molto in considerazione, oggi, pur mantenendo aperta la mente a tale possibilità, sono sempre più convinto che sia presente, in dimensioni maggiori, un atavico rispetto, da parte dell'Artista, per la Femminilità la quale, anche quando infligge pesante dolore, mantiene una coerenza con la propria spiritualità e individualità. Per contro, invece, il Co-Protagonista maschile è, ancora una volta, un idealista (inconsciamente) arrogante che, come Kessler in "Europa", nella pretesa di poter aiutare la Donna, oltre a cercare di plasmarla secondo la propria idea di sanità produce quella cadena di eventi che porteranno alla psopria sofferenza e alla distruzione di chi intende salvare.

Di argomenti da trattare ce ne sarebbero un'infinità, ma per questa retrospettiva mi fermo qui.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Melancholia

  • Drammatico
  • Danimarca, Svezia, Francia, Germania, Italia
  • durata 136'

Titolo originale Melancholia

Regia di Lars von Trier

Con Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Charlotte Rampling, John Hurt

Melancholia

In streaming su Amazon Prime Video

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MELANCHOLIA

Nel 2011 Lars von Trier torna, di nuovo, a Cannes con questo "Melancholia", acclamato da buona parte della critica e guadagnando a Kirsten Dunst il Prix d'Interprétation Féminine. Il regista invece ottenne il titolo di "persona non grata" al Festival di Cannes a causa della sua arcinota uscita "nazista".

Secondo capitolo della Depression Trilogy concepita dall'Autore affrontando la propria Depressione, "Melancholia" utilizza uno spunto apocalittico osservandolo non dalla prospettiva spettacolosa del cinema catastrofico hollywoodiano o aspirante tale per depistare un'altra volta il Genere in favore di un'analisi intimista dei Personaggi coinvolti.

A differenza di altri suoi Lavori in cui i capitoli si moltiplicano, stavolta von Trier si limita a dividere il Film in due sole parti, una focalizzata su Justine (Dunst), il suo matrimonio auto-fallimentare e le prime avvisaglie della sua grave Depressione, l'altro sulla sorella Claire (Gainsbourg) e le sue ansie evocate dal temibile pianeta Melancholia, il tutto anticipato da un Prologo 'non dichiarato' che spoilera il Finale riuscendo, per apparente paradosso, a rendere ancora più interessante la visione dell'Opera.

Mentre i personaggi maschili, pur con le loro sfaccettature e bontà, subiscono nel corso della Pellicola una costante irrisione, rivelando la propria natura bambinesca. In particolare viene costantemente 'attaccato' John, il marito di Claire, borghesissimo avaro e ossessionato dalle sue proprietà (specialmente le 18 buche da golf) e dal desiderio di controllo, degli eventi ma anche delle emozioni altrui. Non credo sia un caso se, in questo mondo di maschi stupidi e arroganti (nonostante, o forse a maggior ragione, le buoni intenzioni di alcuni), come detto 'infantili', l'unico per cui il Film crea una sincera simpatia (dopo il marito mancato di Justine) sia il figlio bambino di Claire, Leo, il quale riesce a smuovere l'adorata zia Justine portandola alla costruzione del rifugio 'magico' dalla Catastrofe, aiutando così anche Claire a superare il proprio Terrore.

Pregno di genuine provocazioni deprimenti e nichilistiche rese ancor più disarmanti dall'impressione piuttosto forte che il suo Autore sia convinto mentre le esplicita, "Melancholia" è per contro ricco di un'emotività 'calda' e la sua apocalittica chiusura, come dice (ridendo seriamente) von Trier in un'intervista, è effettivamente uno dei Finali più 'positivi' del suo Cinema, insieme alle campane di "Breaking the Waves". Abbracciando la Morte e l'Annichilimento, forse di tutta la Vita nell'Universo, l'Umanità riesce a rinsaldarsi con la Natura e gli Individui si riavvicinano intimamente agli altri Individui, mentre il matrimonio iniziale, secondo i dettami della società 'civile' apertura di una nuova unione relazionale, è in realtà la molla che fa scattare la separazione dei legami rivelando la completa estraneità reciproca delle persone.

"Melancholia" è un Gioiellino artistico sorretto da un Cast in straordinaria forma, da una Fotografia sublime curata da Manuel Alberto Claro e da un Montaggio di Molly Malene Stensgaard che accorda stupendamente le Immagini alle Musiche eccellentemente scelte di Wagner e del suo "Tristan und Isolde".

Alla seconda recente visione rinforzo la mia Adorazione reputandolo un autentico Capolavoro, tenuto per ora un gradino sotto "Dancer in the Dark" nella mia 'classifica' di preferenze vontrieriane,ma più ci ripenso e meno sono sicuro di questa mia 'prudenza'.

Rilevanza: 1. Per te? No

Nymphomaniac

  • Drammatico
  • Danimarca, Germania, Francia, Belgio
  • durata 300'

Titolo originale Nymfomanen

Regia di Lars von Trier

Con Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Jamie Bell

Nymphomaniac

In streaming su Rakuten TV

NYMPHOMANIAC

Nel 2013 giunge nelle sale, diviso in due parti e proposto in due versioni (una 'soft' di 4 ore, l'altra 'strong' di 5 ore e mezza), "Nymphomaniac" è il terzo e ultimo Capitolo della Depression Trilogy e Summa forse del Percorso creativo dell'ultimo von Trier, ponendo inoltre le basi del discorso per certi versi auto-critico (anche cinematograficamente) poi portato avanti da "The House That Jack Built", con il quale condivide la struttura narrativa di confessione di una persona 'peccatrice' ad un ascoltatore dall'interruzione facile. A rafforzare le similitudini tra le due Opere abbiamo, per i 'confessori', una comune Passione culturale mentre i 'penitenti' decidono entrambi di ripercorrere in modo non completamente lineare il proprio racconto, ma più che formare un Dittico per me le analogie sono da imputare alla naturale evoluzione artistica di una Filmografia in continua evoluzione. Mi alletta anche l'idea di vedere "Antichrist", "Melancholia" e "Nymphonaniac" più "The House that Jack Built" come una specie di 'quadrilogia asimmetrica', un po' come son tentato di vedere in questo modo la Trilogia della Vita e "Salò" di Pasolini (e potrebbe non essere casuale il richiamo ai 3 Libri alla base dell'ultimo trittico filmico completato dall'Intellettuale italiano).

Questo lunghissimo Film (eppure facilissimo da gustare, sia nel Director's Cut, il migliore, sia nella versione tagliata) incentrato sul Sesso è coerente con la Poetica di von Trier e le sue innumerevoli auto-contraddizioni, riflesse benissimo nella Protagonista femminile Joe, ancora una volta interpretata da Charlotte Gainsbourg e anche qui affiancata da un personaggio co-protagonista (il fidatissimo Skarsgård) a cui vanno aggiunte le versioni più giovani della donna. "Nymphomaniac" è ricolmo di provocazioni che paiono fini a sé stesse eppure è evidente la volontà di esprimere profondi Dilemmi interiori; è caratterizzato da un'auto-referenzialità quasi narcisistica ma contemporaneamente è palpabile una costante auto-accusa e auto-disprezzo che si tramuta forse in accusa verso chi, come il pacato Co-Protagonista Seligman, vuole privare la persona sedicente 'colpevole' del proprio senso di 'colpevolezza'. Film, Autore, Protagonista prendono molto sul serio quel che vogliono dire ma allo stesso tempo sono intenzionate a infilare siparietti così esasperati da impedire una totale presa sul serio del loro discorso. Anche esteticamente "Nymphomaniac" mantiene e approfondisce quel concentrato di auto-contraddizioni tipiche di von Trier, passando da riprese 'sporche' con camera a mano e montaggio rapido a inquadrature lente ed elegantissime, oltre ad avere diversi inserti 'di repertorio', mutamenti di aspect ratio e un capitolo ("Delirium") in Bianco & Nero. Persino l'insistito realismo sfacciato delle scene di sesso in realtà è 'contraddetto' dall'utilizzo di 'controfigure genitali', il Cast è all'insegna dell'Eterogeneità, come anche la scelta delle Musiche.

Volendo di spunti ce ne sarebbero moltissimi altre, sull'Epilogo cattivissimo (proprio quando von Trier fingeva di volerci far credere di essere giunto ad un Finale ottimista nel senso più tradizionale), sui numerosi simboli, sulla possibilità che tutta la storia sia una vagonata di cazzate elaborata da una donna egocentrica, oltre che sulla dicotomia tra Donne e uomini, ma mi fermo qui.

Per me un Capolavoro.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

La casa di Jack

  • Drammatico
  • Danimarca, Francia, Germania, Svezia, Belgio
  • durata 155'

Titolo originale The House That Jack Built

Regia di Lars von Trier

Con Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman, Siobhan Fallon Hogan, Sofie Gråbøl, Riley Keough

La casa di Jack

In streaming su Amazon Prime Video

vedi tutti

THE HOUSE THAT JACK BUILT

Nel 2015, a 5 anni di distanza da "Nymphomaniac" (credo l'assenza più prolungata nella carriera del Regista), Lars von Trier ritorna nelle sale, pure qui con due versioni (una 'soft',con microtagli, e una uncut), con tanto di proiezione fuori concorso a Cannes, revocando così l''esilio' post-"Melancholia" e ottenendo già in questa occasione un'accoglienza divista, tra la fuga di un centinaio di persone durante la premiere e 10 minuti di standing ovation al suo termine.

Inizialmente concepito per diventare una serie tv ma poi 'maturato' in un Lungometraggio cinematografico (per mia fortuna, avendo così avuto l'occasione di vederlo, uncut e in english, in sala, unica mia esperienza di questo tipo per un'Opera vontrieriana), "The House That Jack Built" prosegue la strada stilistica maturata in "Nymphomaniac", in particolare adottando la struttura di 'confessione' divisa in capitoli (qui "incidents") da parte di un individuo sedicente 'malvagio' ad un ascoltatore esplicitamente intellettuale, infilando nel discorso foto e clip varie, da documentari a spezzoni filmici (con un momento assai 'auto-referenziale') e perfino qualche illustrazione animata. Alcune sottili (ma neanche così tanto) differenze marcano significativamente le due Opere, partendo dal mantenimento fuori campo di confessante e 'confessore' fino al Finale della Pellicola in cui il dialogo viene riproposto, sommariamente, mostrando l'ambiente in cui avveniva, ovvero SPOILER l'Inferno, per poi proseguire il viaggio fino alla punizione del Protantagonista, usando ancora l'Arroganza come 'esca'. Inoltre, se in "Nymphomaniac" era l'ascoltatore quello entusiasta e bramoso di conoscenza, qui Verge (Bruno Ganz in uno dei suoi ultimissimi ruoli) ascolta John (Matt Dillon intenso) per 'dovere' e con radicato scetticismo. Un'altra distinzione importante tra "Nymphomaniac" e "The House" è la presenza, qui, di un Protagonista maschile che, quindi, pur riflettendo forse in parte il Regista e/o la sua immagine stereotipata, si distacca dalla 'grandiosità' ammirata delle Protagoniste femminili vontrieriane e, nello specifico, dall'auto-consapevolezza ferma di Joe per avvicinarsi alla stupidità egocentrica dei Protagonisti maschili del Cineasta danese. Se stavolta questo sembra più 'scaltro' ed empatico, credo che ciò sia dovuto unicamente all'inversione dell'Idealismo portato avanti, qui basato non sulla bontà ma sull'empietà, ma è sempre un Idealismo usato per coprire la propria mediocrità e, di fatto, si riduce tutto ad un moto di esibizionismo egocentrico.

Dopo le due mie visioni (l'ultima risalente all'anno scorso) sono sempre stato assediato da Dubbi ma questi, invece di minare l'apprezzamento per il Film, lo rafforzano rendendolo, ai miei occhi, qualcosa di estremamente stimolante.

Per me "The House That Jack Built" è l'ennesimo Gioiellino vontrieriano che rivedrò ancora, spero molto presto, con immenso piacere sperando di assistere presto al suo ritorno con la Chiusura di "Riget".

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No
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